Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 novembre 2022, n. 33889
Licenziamento collettivo, Violazione dei criteri di scelta,
Illegittimità, Trasferimento d’azienda, Prosecuzione del rapporto alle
dipendenze del cessionario
Rilevato che
1. Il giudice di primo grado ha confermato
l’ordinanza emessa all’esito della fase sommaria che, accertata la violazione
delle regole procedurali relative ai criteri di scelta dei lavori da licenziare
nell’ambito della procedura di mobilità attivata da C.A.I. s.p.a. (da ora
C.A.I.), ha dichiarato risolto il rapporto di lavoro tra le parti alla data del
licenziamento collettivo comunicato il 31.10.2014 e condannato C.A.I. al
pagamento in favore di F.R. di una indennità risarcitoria omnicomprensiva pari
a diciotto mensilità della retribuzione globale di fatto;
2. la Corte d’appello di Roma, pronunziando sul
reclamo principale di C.A.I. e sul reclamo incidentale di F.R., in parziale
riforma della sentenza di primo grado, nel resto confermata, ha condannato A.
SAI S.P.A.
in amministrazione straordinaria (da ora A. S.A.I.)
a reintegrare il lavoratore nel posto di lavoro ed entrambe le società, in
solido, a corrispondergli una indennità risarcitoria commisurata all’ultima
retribuzione globale di fatto oltre che al versamento dei relativi contributi
assistenziali e previdenziali;
3. la decisione di secondo grado è stata fondata
sulla considerazione che: a) vi era stata violazione dei criteri di scelta
stabiliti dagli accordi sindacali del 12 luglio e 24 ottobre 2014, in specifico
riferimento al criterio g) (risorsa assegnata a posizione di lavoro in esubero
senza concorrenza con altri lavoratori), non avendo la società datrice di
lavoro proceduto alla comparazione della posizione lavorativa del R. con quella
degli altri addetti allo stesso settore di pari livello; b) l’annullamento del
licenziamento, con effetti reintegratori nei confronti di C.A.I., comportava
che il rapporto di lavoro, ricostituito con effetto ex tunc in capo a
quest’ultima società, si trasferisse alla impresa cessionaria A. S.A.I., non
essendo da quest’ultima opponibile, alla stregua dell'<<interpretazione
conforme>> al diritto comunitario del comma 4 bis dell’art. 47 legge n. 428/1990, la
circostanza che l’accordo di cessione prevedesse il trasferimento solo di una
parte dei dipendenti dell’azienda ceduta; c) la domanda svolta nei confronti di
A. S.A.I. era compatibile con il rito ex lege n.
92/2012; d) la questione della illegittimità, per violazione dell’art. 2112 cod. civ., della clausola degli accordi
collettivi che escludeva il trasferimento dei rapporti di lavoro non ricompresi
nell’ elenco allegato agli accordi medesimi, non configurava violazione del
divieto di novum in appello essendo stata già proposta in prime cure,
rappresentando gli argomenti apportati in sede di reclamo una più puntuale
qualificazione giuridica dei medesimi fatti;
3. con separati ricorsi le società hanno impugnato
la decisione chiedendo C.A.I., sulla base di tre motivi, e A. S.A.I. in A.S.
sulla base di due motivi, la cassazione della sentenza di secondo grado; F.R.
ha resistito depositando separato controricorso;
4. tutte le parti hanno depositato memoria ai sensi
dell’art. 380-bis .1. cod. proc. civ.;
Considerato che
Motivi di ricorso di C.A.I.
1. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente
deduce violazione e falsa applicazione dell’art.
2697 cod. civ. nonché degli artt. 112 e 115 cod. proc. civ. censurando la sentenza
impugnata per avere posto a fondamento della decisione circostanze non allegate
dal lavoratore il quale non aveva mai rappresentato di avere avuto esperienze
pregresse in altri settori di lavoro ma si era limitato a comparare la propria
posizione con quella di altri lavoratori, a suo dire impiegati in altre
posizioni al momento dell’avvio della procedura di mobilità; in questa
prospettiva denunzia l’ulteriore errore della sentenza impugnata per avere
conferito rilievo alla pretesa mancata contestazione da parte di C.A.I. della
circostanza relativa alla pregressa adibizione del lavoratore ad altri compiti,
circostanza che assume non avere costituito oggetto di allegazione da parte
dell’originario ricorrente. Evidenzia che, in ogni caso, era onere del
lavoratore dimostrare di poter svolgere mansioni fungibili con quelle attuali e
asseritamente pregresse del personale impiegato nella funzione Centro
addestramento ove era addetto ;
2. con il secondo motivo di ricorso denunzia
violazione e falsa applicazione degli Accordi collettivi del 12 luglio 2014 e
del 24 ottobre 2014 nonché degli artt.
4 e 5 L. n. 223/1991. Censura, in sintesi, la sentenza impugnata per avere
interpretato il riferimento ai < <profili professionali eccedenti>>
da indicare nella comunicazione ex art. 4 legge n. 223/1991 come
non limitato alle posizioni di lavoro presenti in azienda al momento dell’avvio
della procedura di mobilità ma riferito al bagaglio professionale dei
lavoratori coinvolti, in tal modo onerando la parte datrice di lavoro di una probatio
diabolica di ricostruzione della complessiva professionalità del lavoratore,
con chiaro pregiudizio delle esigenze di difesa; la Corte di merito aveva
errato mostrando di confondere la nozione di professionalità con i <<
profili professionali>>, espressione avente un significato tecnico
preciso necessariamente correlato alle mansioni ;
3. con il terzo motivo di ricorso deduce violazione
e falsa applicazione dell’art.
5, comma 3, legge n. 223/1991 con riferimento all’articolo 18, commi 4 e 7 legge n.
300/1970 in comb. disp. con gli artt. 414 e
416 cod. proc. civ. censurando la sentenza
impugnata per avere applicato la tutela reintegratoria in assenza del relativo
presupposto; la violazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare,
infatti, giustificativa della tutela reintegratoria, implicava la concreta
dimostrazione, della quale era onerato il lavoratore, che la corretta
applicazione degli stessi avrebbe modificato l’esito del procedimento di
selezione conducendo al licenziamento di un lavoratore al posto di un altro,
verifica in concreto preclusa stante l’assenza di puntuale allegazione a
riguardo da parte del lavoratore ricorrente;
Motivi di ricorso di A. S.A.I. S.P.A in A.S.
4. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente
censura la sentenza impugnata per avere respinto la eccezione di
incompatibilità del rito ex lege n. 92/2012
con l’accertamento richiesto dal lavoratore, incentrato non solo sulla verifica
della illegittimità del licenziamento ma anche sulla esistenza di una
fattispecie traslativa rilevante ai sensi dell’art.
2112 cod. civ.;
5. con il secondo motivo deduce violazione e falsa
applicazione dell’art. 47, comma
4 bis, legge n. 428/1990 nonché degli accordi collettivi di riferimento per
avere la Corte di merito ritenuto non consentita, alla stregua della
interpretazione conforme alla Direttiva comunitaria in tema di trasferimenti di
azienda, la possibilità per le parti di trasferire solo alcuni dei lavoratori
della originaria compagine aziendale oggetto di cessione;
Esame dei motivi di ricorso di C.A.I.
6. il primo motivo di ricorso di C.A.I. è infondato;
6.1. il giudice di appello ha ritenuto la violazione
dei criteri di scelta dei lavoratori da collocare in mobilità, criteri
individuati dai contratti collettivi ai sensi dell’art. 5 legge n. 223/1991,
sulla base del principio per cui in tema di licenziamento collettivo per
riduzione di personale, qualora il progetto di ristrutturazione aziendale si
riferisca in modo esclusivo ad un’unità produttiva o ad uno specifico settore
dell’azienda o a specifiche posizioni lavorative, la platea dei lavoratori
interessati può essere limitata agli addetti ad un determinato reparto o
settore o posizione lavorativa solo sulla base di oggettive esigenze aziendali,
in relazione al progetto di ristrutturazione dell’impresa; il datore di lavoro
non può limitare la scelta dei lavoratori da porre in mobilità ai soli
dipendenti addetti a tale reparto, settore o posizione lavorativa se essi siano
idonei ad occupare altre posizioni lavorative di colleghi addetti ad altri
reparti, con la conseguenza che non può essere ritenuta legittima la scelta di
lavoratori solo perché impiegati nel reparto operativo soppresso o ridotto,
trascurando il possesso di professionalità equivalente a quella di addetti ad
altre realtà organizzative – per il pregresso svolgimento della propria
attività in altri reparti dell’azienda. Ha quindi ritenuto non condivisibile
l’assunto di C.A.I. che, pur affermando, in linea di principio, la necessità di
comparazione della posizione del lavoratore con le posizioni dei lavoratori di
tutte le unità organizzative e funzioni comprese nell’Area di riferimento,
aveva in concreto escluso posizioni di lavoro comparabili con quella del R.
(che aveva svolto mansioni di ” tecnico gestione archivio” ed in
precedenza di “addetto alla organizzazione logistica” nell’Area
” Centro Addestramento”). Secondo il giudice di appello, infatti,
occorreva considerare la professionalità del R. quale formatasi anche in base
alle precedenti esperienze lavorative, la quale non poteva determinare la sua
esclusione dalla comparazione , << in special modo allorquando il
lavoratore deduca di aver operato in tempi non remoti anche in altri
settori>>; in altri termini, se poteva convenirsi sul fatto che la
professionalità del lavoratore non era comparabile con le posizioni di lavoro
appartenenti ad altre funzioni, ovvero a quelle appartenenti ad altre unità
organizzative, stante la diversità delle mansioni di quelle posizioni di lavoro
da quelle attuali e pregresse del ricorrente e se, analogamente, poteva
ritenersi per le posizioni di lavoro appartenenti alla medesima unità
organizzativa del R., con diversa qualifica e livello di inquadramento ovvero
perché – di pari inquadramento – svolgenti mansioni mai in precedenza espletate
dal lavoratore, diversa valutazione andava fatta per le altre posizioni di
lavoro rispetto alle quali la fungibilità doveva presumersi in base alla
incontestata circostanza della pregressa adibizione del lavoratore a quelle
posizioni. Il giudice di appello, premessa quindi la illegittimità della scelta
aprioristica delle posizioni lavorative da sopprimere senza una valutazione
comparativa del personale e senza utili allegazioni in relazione alle ragioni
dell’infungibilità, ha rilevato che, in ogni caso, era mancata la prova
dell’affidamento al R. delle funzioni così come descritte da C.A.I e dalla
stessa soppresse non potendo il R. essere destinatario del provvedimento di
licenziamento per il solo fatto di essere stato nominativamente indicato come
incaricato di dette funzioni; la società nulla aveva inoltre dedotto circa la
infungibilità delle precedenti mansioni;
6.2. la gravata sentenza è conforme al principio affermato
da questa Corte per cui, in tema di licenziamenti collettivi, ai fini
dell’applicazione dei criteri di scelta dettati dalla legge n. 223/1991, art. 5, la
comparazione dei lavoratori da avviare alla mobilità deve avvenire nell’ambito
dell’intero complesso organizzativo e produttivo ed in modo che concorrano
lavoratori di analoghe professionalità (ai fini della loro fungibilità) e di
similare livello, rimanendo possibile una deroga a tale principio solo in
riferimento a casi specifici ove sussista una diversa e motivata esigenza
aziendale; in caso contrario sarebbe possibile finalizzare i criteri di scelta
(eventualmente in collegamento con preventivi spostamenti del personale) ad
esigenze imprenditoriali non esclusivamente tecnico produttive e all’espulsione
di elementi non graditi al datore di lavoro, senza concrete possibilità di
difesa da parte degli interessati (in termini, tra le altre, Cass. n. 7169/ 2003, Cass. n. 9856/2001, Cass. n. 10832/ 1997). La comparazione delle
diverse posizioni dei lavoratori deve essere effettuata nel rispetto dei
principio di buona fede e correttezza di cui agli artt.
1175 e 1375 c.c. e il datore di lavoro non
può limitare la scelta dei lavoratori da porre in mobilità ai soli dipendenti
addetti a un reparto se detti lavoratori sono idonei – per pregresso
svolgimento della propria attività in altri reparti dell’azienda – ad occupare
le posizioni lavorative di colleghi addetti ad altri reparti con la conseguenza
che non può essere ritenuta legittima la scelta di lavoratori solo perché
impiegati nel reparto operativo soppresso o ridotto, trascurando il possesso di
professionalità equivalente a quella di addetti ad altre realtà organizzative
(in termini, tra le altre, Cass. n. 19105/2017, Cass.
n. 203/2015, Cass. n. 9711/2011, Cass. n. 22824/2009, Cass.
n. 22825/2009, Cass. n. 13783/ 2006);
6.3. ciò posto l’accertamento della professionalità
maturata dal R. nell’ attività prestata in altri settori è valutazione
riservata al giudice di merito, incrinabile solo dalla deduzione, ai sensi
dell’art. 360, comma 1 n. 5 cod. proc. civ.,
del vizio di omesso esame di fatto decisivo e controverso, vizio non
prospettato, neppure formalmente, dalla società C.A.I.;
6.4. la dedotta violazione degli artt. 115 e 116 cod.
proc. civ. non è sorretta dalla adeguata trascrizione del contenuto del
ricorso introduttivo in quanto l’odierna ricorrente si è limitata a riportare
solo alcune pagine del ricorso di primo grado, nelle quali le allegazioni del
lavoratore sono dichiaratamente riferite alle sole attività svolte dal R. a
partire dal subentro di C.A.I. ad A.L.A.I. s.p.a., sua originaria datrice di
lavoro; tali allegazioni quindi risultano intrinsecamente inidonee ad escludere
la esistenza in domanda di un più ampio compendio allegatorio riferito alla
complessiva professionalità maturata nel periodo precedente, considerato
altresì che il rapporto di lavoro con A.L.A.I. s.p.a. si era instaurato
nell’aprile 1989;
6.5. in base alle considerazioni che precedono deve
escludersi la violazione dell’art. 2697 cod. civ.,
che si configura se il giudice del merito abbia applicato la regola di giudizio
fondata sull’onere della prova in modo erroneo (cioè attribuendo l’onus
probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di
scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costitutivi
ed eccezioni), non anche quando abbia valutato le prove proposte dalle parti
attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre
(Cass. n. 15107/2013, Cass. n. 4241/2018), come avvenuto. L’eventualità che la
valutazione delle acquisizioni istruttorie sia stata incongrua e che il giudice
abbia errato nel ritenere che la parte onerata avesse assolto l’onus probandi
integrerebbe un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede
di legittimità esclusivamente negli angusti limiti del novellato art.360 n. 5 cod. proc. civ. non ritualmente
dedotti;
7. il secondo motivo di ricorso risulta assorbito
dal rigetto del primo motivo in quanto la affermazione della necessità di
comparazione del lavoratore alla luce alla luce della complessiva
professionalità da questi acquisita, anche sulla base di esperienze pregresse,
non inficiata dalle censure articolate con il primo motivo di ricorso, risulta
di per sé sola idonea a sorreggere la statuizione di illegittimità del
licenziamento;
3. il terzo motivo di ricorso è da respingere;
3.1. non è esatto, a fronte dell’accertamento di
fatto quale operato dal giudice di merito, sostenere che la Corte distrettuale
abbia disatteso il contenuto dell’Accordo del 24.10.2014, perché lo stesso è
stato valutato ed è stato considerato non correttamente applicato per il R., né
che sia stato violato l’art. 2697 cod. civ. in
tema di onere della prova, in quanto giustamente è stato precisato che, in caso
di contestazione dei criteri di scelta, da parte del lavoratore, grava sul
datore di lavoro l’onere di allegare i criteri applicati e di provare la loro
piena applicazione individuale (per tutte Cass. n. 12711/2000);
3.2. la sentenza impugnata ha argomentato che, in
base ai criteri stipulati per accordo collettivo, il R. non avrebbe dovuto
essere licenziato perché la sua posizione avrebbe dovuta essere comparata con
altre ritenute fungibili; il motivo evoca la c.d. prova di resistenza, che
riguarda il caso in cui il datore di lavoro abbia predisposto una graduatoria
di lavoratori indicando posizioni comparabili, per cui la corretta applicazione
del criterio controverso condurrebbe il lavoratore individuato come da
licenziare ad essere collocato fuori dell’ambito numerico delle eccedenze. Si
tratta dell’ipotesi in cui l’individuazione del dipendente destinatario del
provvedimento espulsivo costituisce l’esito di una comparazione con altri
lavoratori (cfr. Cass. n. 13803/2017, nonché, negli stessi termini Cass. n. 24558/2016). La sentenza impugnata ha
però precisato che, nel caso in esame, il R. era stato licenziato in quanto
collocato in posizione in esubero senza concorrenza di altri lavoratori, non
comparabile per un’asserita, ma smentita, peculiarità delle mansioni svolte. Il
criterio della comparazione con altri lavoratori in ipotesi fungibili con la
posizione effettivamente ricoperta da dipendente, cui allude il motivo di
ricorso, non si confronta con le ragioni effettive poste a fondamento della
decisione impugnata e per tale assorbente ragione è inammissibile;
Esame dei motivi di ricorso di A. S.A.I.
4. il primo motivo di ricorso di A. S.A.I. deve
essere respinto alla luce della costante giurisprudenza della Corte di
cassazione secondo la quale la inesattezza del rito non determina di per sé la
nullità della sentenza ove non sia dedotto e dimostrato lo specifico
pregiudizio processuale connesso all’adozione di un rito diverso da quello
prescritto Cass. n. 19942/2008, Cass. Sez. Un. n. 3758/2009, Cass. n. 22325/
2014, Cass. n. 1448/2015), pregiudizio nello specifico neppure dedotto
dall’odierna ricorrente;
5. il secondo motivo di ricorso deve essere
anch’esso respinto in continuità con la giurisprudenza di questa Corte, alla
quale si rinvia anche ai sensi dell’art. 118 disp
att. cod. proc. civ.; il giudice di legittimità ha, infatti, ripetutamente
affermato che in caso di trasferimento che riguardi aziende delle quali sia
stato accertato lo stato di crisi aziendale, ai sensi dell’articolo 2, quinto comma, lett.
c), della legge n. 675 del 1977, ovvero per le quali sia stata disposta
l’amministrazione straordinaria, in caso di continuazione o di mancata
cessazione dell’attività, ai sensi del d.lgs. n.
270 del 1999, l’accordo sindacale di cui all’art. 47, comma 4-bis, della I. n.
428 del 1990, inserito dal d.l. n. 135 del
2009, conv. in I. n. 166 del 2009, può
prevedere deroghe all’art. 2112 c.c.
concernenti le condizioni di lavoro, fermo restando il trasferimento dei
rapporti di lavoro al cessionario, in quanto la locuzione – contenuta del
predetto comma 4-bis – “Nel caso in cui sia stato raggiunto un accordo
circa il mantenimento, anche parziale, dell’occupazione, l’articolo 2112 del codice civile trova applicazione
nei termini e con le limitazioni previste dall’accordo medesimo”, va letta
in conformità al diritto dell’Unione europea ed alla interpretazione che dello
stesso ha fornito la Corte di giustizia, 11 giugno
2009, in causa C- 561/07 (all’esito della procedura di infrazione avviata
nei confronti della Repubblica italiana per violazione della direttiva 2001/23/CE), nel senso che gli accordi
sindacali, nell’ambito di procedure di insolvenza aperte nei confronti del
cedente sebbene non “in vista della liquidazione dei beni”, non
possono disporre dell’occupazione preesistente al trasferimento di impresa. (Fattispecie
relativa a cessione di compendio aziendale da A. CAI ad A. SAI), ex plurimis Cass. n. 10414/2020, Cass. 33154/2021);
6. in base alle superiori considerazioni entrambi i
ricorsi devono essere respinti e, secondo il criterio della soccombenza,
ciascuna società condannata alla rifusione delle spese di lite in favore del
controricorrente R., oltre che al raddoppio del contributo unificato pari a
quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dell’ art. 13 d. P.R. n. 115/2002;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso di C.A.I. s.p.a. e il ricorso di
A. – S.A.I. s.p.a. in amministrazione straordinaria. Condanna le società
ricorrenti alla rifusione delle spese di lite che liquida a carico di ciascuna
in € 5.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese
forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n.
115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il
versamento da parte delle società ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1
bis dello stesso art.13, se
dovuto.