Le ragioni alla base del licenziamento per giustificato motivo oggettivo devono incidere in termini di causa efficiente sulla posizione del lavoratore licenziato. Il datore di lavoro deve provare l’insussistenza di una posizione di lavoro analoga a quella soppressa relativa a mansioni equivalenti o anche inferiori.
Nota a Cass. (ord.) 17 novembre 2022, n. 33892
Fabio Iacobone
La Corte di Cassazione (ord.) 17 novembre 2022, n. 33892) coglie l’occasione per definire il licenziamento per giustificato motivo oggettivo e il conseguente obbligo di repêchage, precisando quanto segue.
Per la legittimità di tale recesso occorre che le ragioni alla base del licenziamento, inerenti all’attività produttiva e all’organizzazione del lavoro, “comprese quelle dirette a una migliore efficienza gestionale ovvero a un incremento di redditività, determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di un’individuata posizione lavorativa”. Le ragioni addotte, inoltre, devono incidere in termini di causa efficiente sulla posizione lavorativa ricoperta dal lavoratore licenziato, soltanto così non risultando il recesso pretestuoso (Cass. 29099/2019; e Cass. n. 8661/2019).
La scelta imprenditoriale di procedere al recesso per soppressione del posto di lavoro non è sindacabile nei suoi profili di congruità ed opportunità, in ossequio al disposto dell’art. 41 Cost. (Cass. n. 10699/2017 e Cass. n. 25201/2016).
Qualora poi la riorganizzazione imprenditoriale concerna non la soppressione tout court della posizione lavorativa, ma, piuttosto, la riduzione di personale in una porzione dell’ambito organizzativo, si pone una questione (nella diversa ipotesi di soppressione di posizione lavorativa: v. Cass. n. 14178/2017) di “valutazione comparativa tra lavoratori di pari livello, interessati dalla riduzione ed occupati in posizione di piena fungibilità” (v., fra tante, Cass. n. 6948/2019; e Cass. n. 26467/2016). Tale valutazione va compiuta nel rispetto del principio di correttezza e buona fede (Cass. n. 20508/2015 e Cass. n. 11124/2004) “anche attingendo ai criteri indicati dall’art. 5 della I. 223/1991, quale standard idoneo ad assicurare una scelta conforme a tale canone, non potendo tuttavia escludersi l’utilizzabilità di altri criteri, purché non arbitrari, improntati a razionalità e graduazione delle posizioni dei lavoratori interessati” (Cass. n. 25192/2016 e Cass. n. 7046/2011).
Quanto all’obbligo di repêchage, il datore ha l’onere di provare “non solo che al momento del licenziamento non sussistesse alcuna posizione di lavoro analoga a quella soppressa per l’espletamento di mansioni equivalenti, ma anche, in attuazione del principio di correttezza e buona fede, di aver prospettato al dipendente, senza ottenerne il consenso, la possibilità di un reimpiego in mansioni inferiori rientranti nel suo bagaglio professionale” (Cass. n. 31653/2018; Cass. n. 4509/2016 e Cass. n. 23698/2015).
Nel caso di specie, la lavoratrice è stata assunta per svolgere le mansioni di cameriera ai piani ed ha contestato che l’assunzione, nei tre mesi successivi al licenziamento, di altra lavoratrice, con mansioni di aiuto – cuoca (sebbene con contratto a tempo determinato), riguardava mansioni corrispondenti a quelle da lei espletate. La Corte ha affermato che, nella vicenda in questione, risulta integralmente esternalizzato il settore pulizie e che non si comprende in che modo possano essere reputate fungibili le mansioni di aiuto — cuoca e quelle di addetta alla pulizia ai piani affidate alla ricorrente, in assenza di qualsivoglia idonea allegazione al riguardo.