Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 01 dicembre 2022, n. 35399
Lavoro, Licenziamento per giusta causa, Utilizzo di materiali aziendali per uso proprio, Occultamento del bene, Proporzionalità della sanzione all’illecito disciplinare, Giudicato interno, Omesso esame di elementi istruttori, Rigetto
Rilevato che
1. Con sentenza n.255 depositata il 1.10.2018, la Corte di appello di Venezia, confermando la pronuncia del giudice di prime cure, ha respinto l’appello di G.A.P. che impugnava, nei confronti di P. s.r.l., la sentenza di rigetto della domanda di illegittimità del licenziamento intimato per giusta causa in data 8.3.2011;
2. la Corte territoriale, ritenuto di confermare l’esito del giudizio di primo grado seppur con motivazione differente, ha rilevato che il materiale istruttorio raccolto confermava l’addebito disciplinare consistito nell’utilizzare, per uso proprio, materiali aziendali per la costruzione di una cornice (trovata nell’armadietto personale) durante l’orario di lavoro;
rilevato che – irrilevante l’entità economica del bene e del danno arrecato all’azienda – il fatto doveva ritenersi di notevole gravità essendo venuto meno, il lavoratore, al dovere fondamentale di tenere a disposizione del datore di lavoro le proprie energie e di non utilizzare materiale aziendale per propri interessi, ed avendo altresì distratto un altro collega dal suo lavoro ordinario (al fine di verniciare il manufatto) nonché occultato il bene nell’armadietto personale, dichiarava legittimo il licenziamento e proporzionata la sanzione intimata all’illecito disciplinare;
3. per la cassazione della sentenza ricorre il lavoratore sulla base di due motivi, illustrati da memoria; resiste la società depositando controricorso;
Considerato che
1. Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione degli artt. 132, 324, 333, 343, 346 c.p.c., 2909 c.c. avendo trascurato, la Corte territoriale, di rilevare la formazione del giudicato interno sul profilo concernente la “sproporzionalità della sanzione” (rispetto alla condotta tenuta dal lavoratore) a fronte della valutazione del giudice di primo grado che aveva ritenuto il lavoratore “non congruamente meritevole del venir meno dell’affidamento datoriale”, ma avesse, poi (con il dispositivo della sentenza e in considerazione del fatto che “la previgente dizione dell’art. 18 legge n. 300 del 1970, ratione temporis applicabile, non consente il ricorso ad intermedie soluzioni di mero carattere patrimoniale”), rigettato la domanda di illegittimità del licenziamento e di condanna alla reintegrazione nel posto di lavoro;
2. con il secondo motivo si deduce omesso esame di un fatto decisivo discusso tra le parti, ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., avendo, la Corte territoriale, erroneamente valutato la deposizione testimoniale di V.P., figlia del lavoratore ricorrente, che aveva esibito in giudizio una cornice delle stesse fattezze di quella oggetto della contestazione disciplinare, seppur di colore diverso;
3. il primo motivo di ricorso non è fondato;
3.1. l’eccezione di violazione del giudicato (interno) prospettata dal ricorrente non appare fondata, dovendosi richiamare il principio, conforme all’insegnamento di questa Suprema Corte, secondo cui il giudicato interno può formarsi solo su di un capo autonomo di sentenza che risolva una questione avente una propria individualità ed autonomia, così da integrare una decisione del tutto indipendente e determinante ai fini dell’accertamento del diritto;
3.2. invero, in base a consolidati e condivisi orientamenti di questa Corte:
a) il giudicato interno si forma solo su capi autonomi della sentenza, che risolvano questioni aventi una propria individualità e autonomia, tali da integrare una decisione del tutto indipendente (Cass. 23 agosto 2007, n. 17935; Cass. 17 novembre 2008, n. 23747), non anche su quelli relativi ad affermazioni che costituiscano mera premessa logica della statuizione in concreto adottata (Cass. 30 ottobre 2007, n. 22863, Cass. 30 giugno 2022 n. 20951; non risulta decisivo il richiamo, nel ricorso, delle sentenze delle S.U. nn. 7700 del 2016 e 11799 del 2017, che hanno esaminato distinte e autonome domande azionate nel medesimo giudizio, quali la risoluzione di un contratto di compravendita e il contratto di garanzia del terzo);
b) costituisce capo autonomo della sentenza, come tale suscettibile di formare oggetto di giudicato anche interno, quello che risolve una questione controversa, avente una propria individualità ed autonomia, sì da integrare astrattamente una decisione del tutto indipendente; la suddetta autonomia non solo manca nelle mere argomentazioni, ma anche quando si verte in tema di valutazione di un presupposto necessario di atto che, unitamente ad altri, concorre a formare un capo unico della decisione (Cass. 20 dicembre 2006, n. 27196, Cass. 30 ottobre 2007, n. 22863; Cass. 17 novembre 2008, n. 23747; Cass. 15 dicembre 2021 n. 40276);
c) ove non sia stata proposta impugnazione nei confronti di un capo della sentenza e sia stato, invece, impugnato un altro capo strettamente collegato al primo, è da escludere che sul capo non impugnato si possa formare il giudicato interno (vedi, per tutte: Cass. 2 marzo 2010, n. 4934);
d) la violazione del giudicato interno si può verificare soltanto quando la sentenza di primo grado si sia pronunziata espressamente su una questione del tutto distinta dalle altre e tale specifica pronunzia non può considerarsi implicitamente impugnata allorché il gravame sia proposto in riferimento a diverse statuizioni, rispetto alle quali la questione stessa non costituisca un antecedente logico e giuridico, così da ritenersi in esse necessariamente implicata, ma sia soltanto ulteriore ed eventuale e, comunque, assolutamente distinta (Cass. 3 dicembre 2008, n. 28739);
4. il vincolo del giudicato, quindi, non può ravvisarsi nel preteso passaggio in giudicato di una parte della sentenza, perché il criterio usato dal Tribunale per valutare “in diritto” la fondatezza o meno della domanda non ha nessuna individualità o autonomia tale da integrare una decisione indipendente, suscettibile di passare in cosa giudicata, ma è una semplice argomentazione adoperata per negare, nel caso concreto, il diritto fatto valere in giudizio;
5. nella specie, è del tutto evidente che il capo della sentenza – relativo alla proporzionalità della sanzione rispetto alla condotta contestata disciplinarmente – sul quale si sarebbe formato il giudicato interno, non integra una decisione autonoma, ma piuttosto rappresenta un passaggio motivazionale della statuizione in concreto adottata;
6. ne consegue che la mancata specifica impugnazione del suddetto passaggio motivazionale non può certamente configurare una situazione di formazione di un giudicato interno e non può essere, quindi, configurata come causa della prospettata nullità della sentenza o di omessa pronuncia;
7. il secondo motivo di ricorso è inammissibile;
7.1. l’interpretazione di questa Corte (da ultimo, Cass. n. 27415 del 2018) ha chiarito come l’art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, abbia introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per Cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia);
8. pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053); costituisce, pertanto, un “fatto”, agli effetti dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod.proc.civ., non una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto”, in senso storico, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante (Cass. Sez. 1, 04/04/2014, n. 7983; Cass. Sez. 1, 08/09/2016, n. 17761; Cass. Sez. 5, 13/12/2017, n. 29883; Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152; Cass. Sez. U., 23/03/2015, n. 5745; Cass. Sez. 1, 5/03/2014, n. 5133);
9. non costituiscono, viceversa, “fatti”, il cui omesso esame possa cagionare il vizio ex art. 360, comma 1, n. 5, cod.proc.civ., le argomentazioni o deduzioni difensive (Cass. Sez. 2, 14/06/2017, n. 14802: Cass. Sez. 5, 08/10/2014, n. 21152); gli elementi istruttori; una moltitudine di fatti e circostanze, o il “vario insieme dei materiali di causa” (Cass. Sez. L, 21/10/2015, n. 21439);
10. è quindi inammissibile l’invocazione del vizio di cui all’art. 360 n. 5 cod.proc.civ. per sostenere il mancato esame di deduzioni istruttorie, di documenti, di eccezioni di nullità della sentenza non definitiva e degli atti conseguenti, di critiche rivolte agli elaborati peritali (ovvero di semplici allegazioni difensive a contenuto tecnico), o per lamentarsi di una “motivazione non corretta”.
11. in conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c.; sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.