Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 05 dicembre 2022, n. 35646

Lavoro, Licenziamento individuale, Comunicazione, Esplicitazione delle ragioni del licenziamento, Scelta dei lavoratori da licenziare, Potere istruttorio del giudice del lavoro, Criterio dei carichi familiari e delle maggiori competenze professionali, Rigetto

 

Fatti di causa

 

La Corte di appello di Trento con la sentenza n. 91/2018 aveva rigettato l’appello proposto da A.F. nei confronti di I.D.M.C. srl avverso la decisione con cui il Tribunale aveva rigettato la domanda dallo stesso proposta diretta alla declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato il 29.11.2016.

La corte territoriale, nel confermare la sentenza del primo giudice, aveva ritenuto non affetta da vizi la comunicazione del licenziamento che, a giudizio del ricorrente, era priva delle ragioni del recesso datoriale. A riguardo il giudice di appello rilevava che la comunicazione del licenziamento individuale, pur come prevista dalla novella dell’art. 1 co. 37 della legge n. 92/2012 (modificativa dell’art. 2 co.2 della legge n. 604/66), richiedeva solo l’esplicitazione delle ragioni del licenziamento, non invece l’indicazione dei criteri adottati nella scelta dei lavoratori da licenziare.

Quanto al merito della scelta effettuata, a seguito della espletata istruttoria da parte del primo giudice, era emerso che l’individuazione del ricorrente era rispondente a criteri oggettivi ispirati a correttezza e buona fede (inquadramento, carichi di famiglia , competenze professionali).

Avverso detta decisione A.F. proponeva ricorso affidato a tre motivi e successiva memoria cui resisteva con controricorso IDMC I.D.M. in liquidazione e successivamente, con ulteriore controricorso, il fallimento della I.D..

La Procura Generale concludeva per il rigetto del ricorso.

 

Ragioni della decisione

 

1) – Con il primo motivo è dedotta, in relazione all’articolo 360 co.1 n.3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’articolo 2 co.2 della legge n. 604/1966 come modificato dall’articolo 1 comma 37 della legge 92/2012 e art. 41 Cost, in punto di motivazione del licenziamento.

Con tale censura parte ricorrente si duole della valutazione svolta dal giudice d’appello circa i requisiti della comunicazione del licenziamento, a suo dire priva di riferimenti ai criteri di scelta utilizzati per individuare il lavoratore da licenziare.

Questa Corte sul punto ha chiarito che “In tema di licenziamento individuale, la novellazione dell’art. 2, comma 2, della I. n. 604 del 1966 per opera dell’art. 1, comma 37, della I. n. 92 del 2012, si è limitata a rimuovere l’anomalia della possibilità di intimare un licenziamento scritto immotivato, introducendo la contestualità dei motivi, ma non ha mutato la funzione della motivazione, che resta quella di consentire al lavoratore di comprendere, nei termini essenziali, le ragioni del recesso; ne consegue che nella comunicazione del licenziamento il datore di lavoro ha l’onere di specificarne i motivi, ma non è tenuto, neppure dopo la suddetta modifica legislativa, ad esporre in modo analitico tutti gli elementi di fatto e di diritto alla base del provvedimento” (Cass. n. 16795/20; Cass. n. 6678/2019).

Il principio evidenzia come la comunicazione indicativa della riduzione di personale quale ragione del licenziamento, (quale quella in esame), soddisfa il disposto legislativo, anche nella sua nuova formulazione, poiché consente di individuare esattamente il motivo del recesso. Ulteriori elementi, quali, tra gli altri, i criteri di scelta del lavoratore da licenziare, attengono non già alla ragione del licenziamento ma alla concreta attuazione della determinazione datoriale anche esplicitata attraverso la modalità di selezione dei lavoratori interessati dal recesso. I criteri e la loro corretta applicazione, peraltro, possono essere oggetto di ulteriori richieste informative da parte del lavoratore e assoggettabili a specifiche contestazioni.

Il motivo deve essere quindi disatteso.

2) – Con il secondo motivo è dedotta la violazione degli artt. 112 e 115 , 1° co. c.p.c. e art. 2697 c.c., in punto di allegazione dei motivi della scelta del ricorrente quale lavoratore da licenziare e del relativo onere della prova.

La censura lamenta la mancata allegazione da parte della società dei criteri di scelta del lavoratore da licenziare ed assume che, per conoscere la situazione degli altri dipendenti, era stata necessaria la disposizione del giudice di acquisizione di necessaria documentazione, in violazione delle regole sugli oneri allegatori e probatori del datore di lavoro.

La sentenza in esame, nel richiamare l’attività istruttoria svolta, dà atto dell’ordinanza disposta dal giudice della fase sommaria relativa alla acquisizione di documentazione inerente la situazione dei dipendenti e soggiunge che ciò era stato effettuato “in assenza di preclusioni istruttorie”.

L’acquisizione documentale risulta pertanto collocarsi nel solco dell’esercizio del potere istruttorio del giudice del lavoro; a riguardo questa Corte ha chiarito che “Nel rito del lavoro, l’attivazione dei poteri istruttori d’ufficio del giudice non può mai essere volta a superare gli effetti derivanti da una tardiva richiesta istruttoria delle parti o a supplire ad una carenza probatoria totale, in funzione sostitutiva degli oneri di parte, in quanto l’art. 421 c.p.c., in chiave di contemperamento del principio dispositivo con le esigenze di ricerca della verità materiale – quale caratteristica precipua del rito speciale – consente l’esercizio dei poteri ufficiosi allorquando le risultanze di causa offrano già significativi dati di indagine, al fine di superare lo stato di incertezza dei fatti costitutivi dei diritti di cui si controverte; ne consegue che tale potere non può tradursi in una pura e semplice rimessione in termini del convenuto tardivamente costituito, in totale assenza di fatti quantomeno indiziari, che consentano al giudicante un’attività di integrazione degli elementi delibatori già ritualmente acquisiti” (Cass. n. 23605/2020; Cass. n. 7694/2018). La richiesta documentazione, in presenza di fatti indiziari evidentemente presenti in giudizio ( la cui valutazione è rimessa alla sola determinazione del giudice del merito), ha consentito e richiesto l’esercizio dei poteri istruttori riconosciuti dall’ordinamento.

La censura deve essere perciò rigettata.

3) Con ultima doglianza è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 5 I.n. 223/91, artt. 1175, 1375 c.c. in punto di comparazione tra lavoratori (operatori subacquei) e indicazione di un criterio oggettivo di ponderazione di due criteri eterogenei. Il motivo lamenta la violazione dell’art. 5 in materia di licenziamenti collettivi e, in particolare, l’utilizzo di differenti criteri.

La censura non ha pregio perché l’art. 5 sopra richiamato è applicabile ai soli licenziamenti collettivi. Peraltro, i criteri esplicitati, applicati tra i lavoratori subacquei, rispondono a correttezza e buona fede poiché, esclusi dalla comparazione i lavoratori con inquadramento e mansioni superiori, (non equiparabili), tra lavoratori di pari livello è stato applicato il criterio dei carichi familiari e, in successione, quello relativo alle maggiori competenze professionali. Il procedimento seguito risulta coerentemente ispirato a correttezza e buona fede e comunque , nel merito, oggetto di una valutazione non sindacabile in questa sede di legittimità.

Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.

Le spese seguono il principio della soccombenza.

Ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, ove dovuto.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in E. 4.000,00 per compensi ed E. 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, ove dovuto.

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