Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 05 dicembre 2022, n. 35645

Lavoro, Rapporto di lavoro interinale, Contratto di somministrazione, Conversione del contratto a tempo indeterminato, Decadenza di cui all’art. 32, comma 4, della L. n. 183/2010, Proroga,  Efficacia “ex nunc” del nuovo termine di decadenza, Rigetto

 

Fatti di causa

 

La Corte di appello di Roma con la sentenza n. 4335/2017, in parziale riforma della decisione del primo giudice, aveva dichiarato l’illegittimità del rapporto di lavoro interinale e del contratto di somministrazione esistente tra S.A. e C. spa, con conseguente conversione del contratto a tempo indeterminato dal 16/06/2003 e giuridica prosecuzione del rapporto dopo il 06/11/2004, condannando C. spa a corrispondere alla lavoratrice l’indennizzo ex articolo 32 comma 5 della legge 183 del 2010, nella misura1 di 8 mensilità oltre rivalutazione e interessi dalla sentenza.

La Corte territoriale premetteva che la S. aveva sottoscritto con O.L., per l’utilizzazione presso C., due contratti a termine: il primo dal 16.6.2003 al 16.12.2003, prorogato sino al 16.6.2004, ricadente sotto la disciplina della legge n. 196/97 che indicava quale ragione “esigenze di carattere temporaneo-casi previsti dal CCNL”, ed il secondo dal 18.10.2004 al 6.11.2004, ricadente nella disciplina del D.lvo n. n. 276/2003, avente come causale ” ragioni di carattere organizzativo relative ad esigenze di lavoro aggiuntivo”.

Preliminarmente la corte d’appello aveva ritenuto fondato il motivo di appello della lavoratrice relativo alla decadenza dall’impugnazione sollevata dalla società; aveva infatti valutato che le lettere del 2007 e 2008 inviate dalla lavoratrice alla società non potevano interpretarsi quali atti utili ad interrompere un termine decadenziale all’epoca ancora non esistente e che l’unico atto valido in tal senso era quello della impugnazione stragiudiziale del 10.2.2012, proposta correttamente entro il termine di 60 giorni decorrenti dal 01/01/2012 (data della dall’entrata in vigore della legge di proroga). Rispetto a tale atto il ricorso giudiziale depositato il 9.10.2012, risultava tempestivo.

La Corte riteneva altresì infondata l’eccezione di difetto dell’interesse ad agire sollevata da C. poiché l’altro giudizio proposto dalla lavoratrice, rivolto alla costituzione di un rapporto a tempo indeterminato a seguito di una procedura di riassunzione, nel quale non era stata sollevata alcuna questione sul pregresso contratto di somministrazione, aveva altro oggetto e causa petendi. Nessuna violazione del principio del ne bis in idem era pertanto riscontrabile.

Nel merito della decisione il giudice di appello riteneva che le ragioni giustificative della apposizione del termine al primo contratto in esame non erano state sufficientemente esplicitate e neppure chiarite in corso di causa, in tal modo facendo escludere la legittimità del contratto a tempo, da intendersi pertanto soggetto a “conversione” ex tunc ( in applicazione art. 1 co.5 I.n.1369/60)

Pur valutando che la accertata illegittimità del primo contratto rendeva assorbite le questioni relative al secondo contratto, comunque statuiva la nullità anche di quest’ultimo per carente specificazione delle effettive esigenze temporanee determinative dell’assunzione.

Avverso detta decisione C. spa proponeva ricorso affidato a due motivi cui resisteva con controricorso A.S. nonché R.I. spa (già O.L. spa).

La causa era esaminata dalla Sesta Sezione che, con ordinanza interlocutoria del 20.3.2019, valutava non ricorressero i presupposti per la trattazione con rito camerale ex art. 380 bis c.p.c., rinviando alla Sezione ordinaria.

 

Ragioni della decisione

 

1) – Con primo motivo C. denuncia la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’articolo 360 co.1 n.3 c.p.c., degli articoli 2964, 2965, 2969 c.c., articolo 32 legge numero 183 del 2010, decreto legislativo n.604/1966 articolo 6 e 2946 c.c. Error in procedendo in relazione alla eccezione di decadenza sollevata.

Parte ricorrente si duole della valutazione circa la valenza dell’ultima raccomandata del 10.2.2012, quale prima e unica impugnazione stragiudiziale da cui far decorrere il termine di cui all’art. 32 I.n.183/2010.

La censura è infondata.

Deve preliminarmente richiamarsi quanto statuito da questa Corte con riguardo ai contratti di somministrazione anche se cessati al 31.12.2011. E’ stato chiarito che “l’art. 32, comma 1 bis, della I. n. 183 del 2010, introdotto dal d.l. n. 225 del 2010, conv. con mod. dalla I. n. 10 del 2011, nel prevedere “in sede di prima applicazione” il differimento al 31 dicembre 2011 dell’entrata in vigore delle disposizioni relative al termine di sessanta giorni per l’impugnazione del licenziamento, si applica a tutti i contratti ai quali tale regime risulta esteso e riguarda tutti gli ambiti di novità di cui al novellato art. 6 della I. n. 604 del 1966, sicché, con riguardo ai contratti a termine, nonché ai contratti a termine in somministrazione, non solo in corso ma anche con termine scaduto e per i quali la decadenza sia maturata nell’intervallo di tempo tra il 24 novembre 2010 (data di entrata in vigore del cd. “collegato lavoro”) e il 23 gennaio 2011 (scadenza del termine di sessanta giorni per l’entrata in vigore della novella introduttiva del termine decadenziale), si applica il differimento della decadenza mediante la rimessione in termini, rispondendo alla “ratio legis” di attenuare, in chiave costituzionalmente orientata, le conseguenze legate all’introduzione “ex novo” del suddetto e ristretto termine di decadenza (Cass. n. 25103 del 2015; Cass. S.U. n. 4913 del 2016; con particolare riguardo all’applicabilità ai contratti in somministrazione già scaduti alla data del 24.11.2010 cfr. Cass. 2420 del 2016, Cass. n. 7788 del 2017).

E’ stato ancora specificato che “In tema di somministrazione di lavoro, la decadenza di cui all’art. 32, comma 4, della I. n. 183 del 2010, e la conseguente proroga, di cui al comma 1-bis del medesimo articolo, si applicano anche ai contratti a termine in somministrazione cessati o stipulati prima della data di entrata in vigore della legge stessa (24 novembre 2010), senza la necessità di una specifica previsione di deroga all’art. 11 disp. prel. c.c., atteso che la nuova norma non ha modificato la disciplina del fatto generatore del diritto ma solo il suo contenuto di poteri e facoltà, suscettibili di nuova regolamentazione perché ontologicamente e funzionalmente distinti da esso e non ancora consumati, dovendosi pertanto escludere ogni profilo di retroattività; né l’introduzione del nuovo termine di decadenza con efficacia “ex nunc” determina una violazione degli artt. 24 Cost., 47 della Carta dei diritti fondamentali della UE o 6 e 13 della CEDU, essendo stato assicurato un ambito temporale quantitativamente congruo per la conoscibilità della nuova disciplina, attesa la proroga disposta “in sede di prima applicazione” dal citato comma 1-bis” (Cass. n. 7788 2017)

I principi richiamati evidenziano come non possa attribuirsi valenza di atto interruttivo della decadenza ad atti antecedenti all’entrata in vigore della disciplina che introduce una nuova modalità impugnatoria. Le due raccomandate del 2007 e 2008, pertanto, non possono assumere un valore giuridico che solo una disciplina successiva introduce nell’ordinamento.

La censura deve essere disattesa.

2) – Con il secondo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione ai sensi dell’articolo 360 co.1 n.3 c.p.c, dell’articolo 100 c.p.c. dell’articolo 2909 c.c. correlato al principio del ne bis in idem, degli articoli 115 e 116 c.p.c., nonché l’omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia articolo 360 co.1 n.5 c.p.c. il motivo censura la statuizione della Corte territoriale che esclude la violazione del principio del ne bis in idem, in relazione ad altro giudizio proposto dalla lavoratrice diretto a richiedere la costituzione del rapporto di lavoro. La Corte di merito aveva valutato differente la causa petendi tra i due giudizi, essendo il primo diretto alla costituzione del rapporto di lavoro in ragione della asserita invalidità di una procedura concorsuale.

Il motivo, nella sua prima parte, risulta infondato in quanto, se pur nel giudizio di cassazione, in caso di giudicato esterno, è dovere del giudice di legittimità nell’adempimento della funzione nomofilattica di cui all’art. 65 dell’ordinamento giudiziario e del dovere di prevenire contrasti tra giudicati, in coerenza con il divieto del “ne bis in idem”(Cass. n. 24740/2015), valutare la esistenza di una precedente statuizione, nel caso in esame sono le stesse parti di quest’ultima, come riportata nel motivo del ricorso, a far escludere la presenza di una controversia con medesimo oggetto della presente.

Si evince infatti, da quanto riportato, che la lavoratrice aveva proposto ricorso per invalidare la procedura selettiva relativa ad un concorso indetto da C. cui aveva partecipato, chiedendo in quella sede la costituzione del rapporto di lavoro. Si tratta, all’evidenza, di causa petendi completamente differente da quella che distingue l’attuale procedimento, diretto alla declaratoria di illegittimità dei termini apposti ai due contratti in esame con conseguente “conversione” in contratto a tempo indeterminato.

Inammissibile deve invece ritenersi la parte del motivo relativo alla omessa insufficiente motivazione. Questa Corte ha chiarito che “La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

(Cass. SU n. 8053/2014; Cass. n. 22598/2018)

Nella fattispecie in esame la doglianza si incentra sul mancato accoglimento delle eccezioni preliminari relative alla esistenza di una duplicazione della domanda ( come sopra indicata), sotto il profilo della carenza motivazionale.

In realtà, come già rilevato, la corte di merito ha correttamente svolto l’esame della eccezione in questione, escludendone la fondatezza. La censura è pertanto inammissibile in quanto alcuna “anomalia motivazionale” si è determinata.

Il ricorso deve essere, pertanto, complessivamente rigettato. Le spese seguono il principio della soccombenza e si liquidano come da dispositivo, con distrazione all’Avvocato antistatario.

Ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, in favore di ciascun controricorrente, liquidate in E. 5.000,00 per compensi ed E. 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge. Con distrazione all’Avvocato antistatario.

Ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.

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