Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 dicembre 2022, n. 36454

Lavoro, Procedimento disciplinare nel rapporto di pubblico impiego, Sospensione in attesa degli esiti del processo penale, Ripresa del procedimento disciplinare sospeso, Natura recettizia della comunicazione di ripresa del procedimento disciplinare, Incidenza sull’efficacia e non sulla validità dell’atto, Decadenza, Rilevanza del ritardo della comunicazione della ripresa solo in caso di compromissione del diritto di difesa dell’incolpato, Rigetto

 

Fatti di causa

 

1. Il Ministero dell’Interno ha licenziato A.B., segretario comunale, perché condannato per il reato di cui all’art. 96 d.p.r. 361/1957 (promessa o somministrazione di utilità per firma di candidatura politica, voto o astensione), così definito dalla Corte di Cassazione, alla cui pronuncia aveva fatto seguito la ripresa del procedimento disciplinare, precedentemente sospeso in attesa degli esiti del processo penale.

Il Tribunale di Ivrea ha respinto l’impugnativa del licenziamento proposta dal B. e fondata sulla violazione del termine per la ripresa del procedimento disciplinare dopo la sospensione di esso e l’irrevocabilità della sentenza penale, ritenendo di valorizzare il principio della scissione degli effetti della comunicazione tra mittente e destinatario (l’invio della contestazione “in riapertura” era tempestivo, mentre la ricezione di essa era avvenuta oltre il termine) e qualificando, comunque, ordinatorio quel termine.

La Corte d’Appello di Torino ha confermato la pronuncia del Tribunale sul primo punto, inerente al rispetto del termine, mandando assorbita la questione sulla sua natura ordinaria o meno.

2. A.B. ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi, resistiti dal Ministero con controricorso.

Il ricorrente ha anche depositato memoria.

 

Motivi della decisione

 

1. Con il primo motivo è denunciata la violazione, falsa od erronea applicazione dell’art. 149, co. 3, c.p.c., nonché l’omessa applicazione degli artt. 1334 e  1335 c.c. ed errata applicazione, agli atti sostanziali non direttamente funzionali alla tutela giurisdizionale, del principio della scissione degli effetti soggettivi della notificazione.

2. Il motivo è infondato e va disatteso.

3. Questa S.C. ha già ritenuto che «in tema di procedimento disciplinare nel rapporto di pubblico impiego contrattualizzato, ai sensi dell’art. 55-bis, comma 4, del d.lgs. n. 165 del 2001, ai fini della decadenza dall’azione disciplinare occorre avere riguardo alla data in cui l’amministrazione datrice di lavoro esprime la propria valutazione in ordine alla rilevanza e consistenza disciplinare della notizia dei fatti rilevanti disciplinarmente e la consolida nell’atto di contestazione, assumendo rilievo l’eventuale ritardo nella comunicazione solo allorché sia di entità tale da rendere eccessivamente difficile l’esercizio del diritto di difesa da parte dell’incolpato» (Cass. 10 agosto 2016, n. 16900).

In quel caso si trattava di altro termine perentorio del procedimento disciplinare del pubblico impiego, ma evidentemente il principio vale anche nell’ipotesi qui in esame, di cui al termine iniziale previsto dal comma 4 dell’art. 55-ter del d.lgs. n. 165 del 2001.

Basti qui riepilogare i passaggi motivazionali essenziali della pronuncia appena richiamata, ove si è richiamata la «questione affrontata dalle SSUU di questa Corte nella decisione n. 8830 del 2010, nella quale è stato affermato che, poiché la decadenza costituisce l’effetto del mancato assolvimento, da parte del titolare dell’interesse giuridicamente tutelato, dell’onere di tenere un determinato comportamento, è imprescindibile l’individuazione dei contenuti e delle modalità di assolvimento dell’ onere – imposto al soggetto interessato – dell’esercizio di un potere entro un dato termine, e, dunque, l’individuazione sistematica delle modalità con cui il soggetto può esercitare il potere entro la scadenza del termine», aggiungendosi che «le SSUU, nel rilevare che il comportamento richiesto, come si ricava dall’ art. 2966 c.c., si concreta nel compimento di un atto, di regola ben definito dalla legge (ovvero dal contratto, o anche dal giudice, o dall’atto amministrativo), hanno osservato che la rilevanza diretta del comportamento, ai fini dell’impedimento della decadenza, costituisce la regola ordinaria, anche se tale comportamento deve consistere in una dichiarazione recettizia, soggetta alla disciplina di cui agli artt. 1334 e 1335 c.c.. Tanto sul rilievo che la dichiarazione è già perfetta con la sua emissione, mentre la sua conoscenza da parte del destinatario costituisce un elemento costitutivo, non della dichiarazione, bensì della fattispecie in cui essa si inserisce», sicché la «comunicazione all’interessato dell’atto (qui, di riapertura, n.d.r.) per sua natura recettizio, inerisce all’efficacia dell’atto stesso (art. 1334 c.c.)» e non alla sua validità anche al fine di evitare la decadenza, impedita in sé dall’esercizio nei termini del potere.

Semmai potrebbero riconnettersi effetti decadenziali alla tardività della comunicazione dell’atto di riapertura tempestivamente adottato, se i tempi di tale comunicazione risultassero tali da creare un vulnus al diritto di difesa: ma nel caso di specie ciò non può essere, visto che tra la scadenza del termine per la riapertura (4.3.2017) e la ricezione della comunicazione (7.3.2017) sono trascorsi pochi giorni; quindi, prerogative e potenzialità difensive del destinatario sono rimaste intatte.

4. La reiezione della prima censura manda assorbito il secondo ed il terzo motivo: una volta accertato l’avvenuto rispetto del termine, è vano discuterne la natura ordinatoria o perentoria.

5. Infine, il quarto motivo è inammissibile perché non contiene una reale censura al provvedimento impugnato, limitandosi ad evidenziare evidenzia che, qualora il ricorso per cassazione fosse accolto, ne sarebbe caducata anche la pronuncia alle spese, come è pacifico per effetto dell’art. 336 co. 1° c.p.c.

6. All’integrale reiezione del ricorso segue la regolazione secondo soccombenza delle spese del grado.

7. Può altresì essere definito, in continuità con i precedenti seppur riguardanti altro termine del procedimento disciplinare, il seguente principio: «in tema di procedimento disciplinare nel rapporto di pubblico impiego contrattualizzato, il termine perentorio di sessanta giorni dalla comunicazione della sentenza all’amministrazione di appartenenza del lavoratore per la ripresa o riapertura del procedimento disciplinare in esito al giudizio penale, di cui all’art. 55-ter, comma 4, del d.lgs. n. 165 del 2001, si ha per rispettato se l’amministrazione datrice di lavoro formi entro tale termine l’atto di rinnovo della contestazione dell’addebito, assumendo rilievo l’eventuale superamento di quel termine per ritardo nella comunicazione solo allorquando esso sia di entità tale da rendere eccessivamente difficile l’esercizio del diritto di difesa da parte dell’incolpato».

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 dicembre 2022, n. 36454
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