I pregiudizi derivanti da condizioni ordinariamente usuranti dal punto di vista psichico non sono in sé ragione di responsabilità datoriale quando non si ravvisano gli estremi della colpa insiti nell’art. 2087 c.c. Lo sono invece le richieste di prestazioni eccedenti, sotto il profilo fisiopsichico, la portata naturalmente faticosa ed usurante della prestazione stessa.
Nota a Cass. (ord.) 28 novembre 2022, n. 34976
Maria Novella Bettini
“La richiesta di prestazioni che eccedano, sotto il profilo fisiopsichico, la portata naturalmente faticosa ed usurante della prestazione, secondo le modalità proprie di ciascun ambito lavorativo, costituisce inadempimento agli obblighi datoriali di cui all’art. 2087 c.c. e fonte di danno risarcibile, rispetto al quale possono avere altresì rilievo, nel delineare la gravità concreta dell’accaduto, anche comportamenti isolatamente non illegittimi, ma assunti nel medesimo contesto lavorativo e tali, se valutati nella loro portata stressogena ed in connessione con i primi, da contribuire a determinare il complessivo indebito danno alla sfera personale del lavoratore”.
Questo, l’importante principio espresso dalla Corte di Cassazione (ord. 28 novembre 2022, n. 34976, diff. da App. Napoli), la quale coglie l’occasione per sintetizzare alcuni parametri fondamentali relativi al c.d. stress da superlavoro e responsabilità datoriale, muovendo dalla definizione di mobbing e rimettendo al giudice del rinvio una nuova valutazione dell’intera platea dei fatti denunciati dalla ricorrente con particolare riguardo al nesso causale fra vari episodi (mancato elogio; assenza di esiti della contestazione disciplinare; forte contrapposizione dialettica con la dirigente) sfociati in una lesione della sua salute.
Nello specifico, la Corte rileva che per la configurabilità del mobbing con conseguente responsabilità risarcitoria del datore di lavoro rilevano: a) una pluralità continuata di comportamenti pregiudizievoli per la persona interni al rapporto di lavoro; b) e l’elemento soggettivo dell’intendimento persecutorio nei confronti della vittima (v. Cass. n. 12437/2018 e Cass. n. 26684/2017). Ciò, “a prescindere dalla illegittimità intrinseca di ciascun comportamento, in quanto la concreta connotazione intenzionale colora in senso illecito anche condotte altrimenti astrattamente legittime, il tutto secondo un assetto giuridico pianamente inquadrabile nell’ambito civilistico, ove si consideri che la determinazione intenzionale di un danno alla persona del lavoratore da parte del datore di lavoro o di chi per lui è in re ipsa ragione di violazione dell’art. 2087 c.c. e quindi di responsabilità contrattuale, anche con i maggiori effetti di cui all’art. 1225 c.c. per il caso di dolo”.
È inoltre configurabile il fenomeno dello straining quando vi siano comportamenti stressogeni scientemente attuati nei confronti di un dipendente, anche se manchi la pluralità delle azioni vessatorie, come nel caso del demansionamento (v. Cass. n. 18164/2018, in q. sito con nota di M. BONI).
Quanto al c.d. “superlavoro”, lo svolgimento della prestazione “secondo le modalità nocive onera il datore di comprovare il regolare adempimento all’obbligo di garantire la sicurezza del lavoro, di cui all’art. 2087 c.c., secondo i principi generali in tema di responsabilità contrattuale” (v. Cass. SU. n. 13533/2001 e Cass. n. 4766/2006).
Ed è illegittimo che il datore di lavoro permetta, anche colposamente, che si mantenga in azienda un ambiente stressogeno fonte di danno alla salute dei lavoratori (v. Cass. n. 3291/2016, in q. sito con nota di F. ALBINIANO). Vi è cioè una responsabilità colposa del datore di lavoro (secondo le regole generali sugli obblighi risarcitori conseguenti a responsabilità contrattuale – artt. 1218 e 1223 c.c.), il quale tolleri indebitamente l’esistenza di una condizione di lavoro lesiva della salute, ai sensi dell’art. 2087 c.c., laddove si riscontri un nesso causale con un danno alla salute del dipendente, come nel caso di applicazione di plurime sanzioni illegittime (v. Cass. n. 16256/2018) e di condotte che in concreto determinino svilimento professionale (v. Cass. n. 9901/2018).
Per converso, sono esenti da responsabilità i pregiudizi:
1) “derivanti dalla qualità intrinsecamente ed inevitabilmente pericolosa o usurante della ordinaria prestazione lavorativa” (Cass. n. 1509/2021; Cass. n. 3028/2013);
2) limitati “a meri disagi o lesioni di interessi privi di qualsiasi consistenza e gravità, come tali non risarcibili” (Cass. S.U. 22 febbraio 2010, n. 4063; Cass. S.U. 11 novembre 2008, n. 26972);
3) determinati da condizioni ordinariamente usuranti dal punto di vista psichico (Cass. n. 3028/2013, cit. e prima Cass. n. 10361/1997) a causa della “ricorrenza di contatti umani in un contesto organizzativo e gerarchico”. Tali condizioni possono “eventualmente costituire fondamento per la tutela assicurativa pubblica (D.P.R. n. 1124/1965 e D.LGS. n. 38/2000, nelle forme della c.d. ‘costrittività organizzativa’)”, ma non sono in sé ragione di responsabilità datoriale quando non si ravvisano gli estremi della colpa “comunque insiti nel disposto dell’art. 2087 c.c.”. Ciò poiché “è evidente che, se il datore di lavoro abbia tenuto un comportamento consono al contesto, per escludere il danno dovrebbe in realtà vietarsi l’attività, il che non può essere se non quando la legge lo stabilisca” (v. anche Cass. n. 1509/2021, cit.).
Nella fattispecie, i giudici rilevano la sussistenza di una situazione di superlavoro che “certamente intercetta, almeno in astratto, un inadempimento datoriale ad obblighi di appropriatezza nella gestione del personale, rilevanti ai sensi dell’art. 2087 c.c. (v., Cass. n. 8267/1997 e, in ambito di eccessi nella richiesta prestazionale medica, Cass. n. 16711/2020) e che, a parere della Corte, richiede una nuova valutazione al fine di accertare la complessiva legittimità o meno, ai sensi dell’art. 2087 c.c., dei comportamenti datoriali rispetto all’obbligo di evitare lo svolgimento della prestazione con modalità ed in un contesto indebitamente stressogeno.