Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 novembre 2022, n. 35233

Lavoro, Licenziamento per giusta causa, Interrogatorio formale, Travisamento della prova, Inammissibilità

 

Fatti di causa

 

1. Con sentenza n. 3003/2015, il Tribunale di Milano, in accoglimento del ricorso proposto da F.M. contro l’Avv. P.G.B., dichiarava l’illegittimità del licenziamento per giusta causa che quest’ultimo aveva intimato alla prima in data 20.3.2014 e, per l’effetto, condannava il B. a riassumere la F. o, alternativamente, a pagarle un’indennità risarcitoria pari ad € 7.459,96, oltre accessori; condannava, inoltre, il B. a corrispondere alla F. l’indennità sostitutiva del preavviso, liquidata in € 7.459,96, oltre accessori, nonché a corrispondere all’attrice la metà delle spese di lite, come liquidate, compensando la restante metà, e rigettando le ulteriori domande.

2. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte d’appello di Milano rigettava l’appello che l’Avv. B. aveva proposto contro la sentenza di primo grado, condannava l’appellante al pagamento delle spese del secondo grado, come liquidate, e dichiarava sussistenti i presupposti per il pagamento del raddoppio del contributo unificato.

3. Per quanto qui interessa, la Corte territoriale premetteva che l’Avv. B. aveva contestato alla F., sua dipendente quale segretaria nel proprio studio professionale, di non averlo avvisato in alcun modo di un pagamento, pari ad € 500,00, effettuato nel dicembre 2013 a mani della F. da un soggetto incaricato, tale F.R., da un cliente del professionista (Z.); nonché di aver lasciato incustodita la somma così ricevuta dalla segretaria.

Indi, nel respingere i primi quattro motivi d’appello del B., che esaminava congiuntamente (giudicandoli tutti attinenti all’errata valutazione e gestione delle prove), giungeva alla conclusione che non era stata dimostrata la consegna di denaro alla F. a dicembre 2013, e che neppure era stata dimostrata l’avvenuta confessione della stessa di aver preso il denaro in quel dicembre.

Riteneva, pertanto, inutile l’esame del quinto motivo d’appello (con il quale l’impugnante chiedeva di valutare la sussistenza di un eventuale motivo soggettivo atto a sorreggere il licenziamento), perché non erano stati provati i fatti suddetti.

4. Avverso tale decisione il B. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi.

5. Ha resistito l’intimata con controricorso.

6. Entrambe le parti hanno prodotto memoria.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia “Violazione e falsa applicazione degli artt. 420 e 437 c.p.c. – Violazione del diritto di difesa – Omessa ammissione dell’interrogatorio formale del ricorrente e comunque omessa ammissione dei capitoli di prova dedotti in ricorso ed in appello con i testi ivi indicati – Omessa motivazione ed omesso esame di fatti storici decisivi per il giudizio (art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.)”.

Deduce che anche nel giudizio di secondo grado – erroneamente – e in assenza di motivazione sul punto non era stato ammesso l’interrogatorio formale della F., che, se disposto, avrebbe consentito di invalidare la diversa ed errata interpretazione attribuita (siccome fondata esclusivamente sulla presunta inattendibilità) alle dichiarazioni testimoniali che avevano determinato l’erroneo convincimento del giudice. Ivi insiste, inoltre, per l’ammissione delle prove per testi di F.Z. e di F.R. sui capitoli di prova articolati in memoria difensiva di primo grado, non sottoposti dal giudice di primo grado ai predetti e comunque riproposti con il ricorso in appello; capitoli dal n. 17 al n. 30 compreso, riprodotti alle pagg. 21-23 del ricorso per cassazione.

2. Con il secondo motivo, denuncia “errata e/o omessa lettura delle dichiarazioni testimoniali – Omessa motivazione ed omesso esame di fatti storici decisivi per il giudizio (art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.)”. Ivi assume che la gravata sentenza è, altresì, errata nella parte in cui assume che l’istruttoria svolta in primo grado è stata completa ed esaustiva e che le dichiarazioni testimoniali avrebbero confermato la fondatezza dell’impugnazione della F., ma che così non era per le ragioni esposte dall’impugnante.

3. Con il terzo motivo, deduce: “Assolvimento dell’onere probatorio da parte del datore di lavoro in punto fatti contestati – Omessa motivazione ed omesso esame di fatti storici decisivi per il giudizio (art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.)”. Sostiene che la gravata sentenza è pure errata nella parte in cui conclusivamente afferma che “non è dimostrata la consegna del denaro a F. a dicembre 2013; non è dimostrata la avvenuta confessione di F. dopo aver preso il denaro a dicembre (anzi, viene proprio smentito che F. abbia confessato il fatto)”, esponendo le circostanze dalle quali risulterebbe il contrario e deducendo che la stessa sentenza “nulla ha motivato in merito alle circostanze” sostenute.

4. Con il quarto motivo, denuncia: “Omesso esame del procedimento disciplinare e delle giustificazioni rese dalla dipendente, della mancata specifica contestazione da parte della dipendente dell’avvenuta confessione e della specificità degli addebiti – Omessa motivazione ed omesso esame di fatti storici decisivi per il giudizio (art. 360, comma 1, n. 5)”. Assume che la gravata sentenza è ancora errata per aver completamente ignorato lo svolgimento del procedimento disciplinare, che aveva preceduto il provvedimento di licenziamento, con particolare riferimento a quanto affermato – o meglio non contestato – dalla lavoratrice nella lettera di giustificazioni a fronte di circostanziata e precisa contestazione sul punto.

5. Si deve dare conto che l’esposizione degli effettivi motivi di ricorso per cassazione è preceduta nell’atto d’impugnazione da apposito paragrafo (cfr. pagg. 12-18 del ricorso), nel quale il ricorrente, all’evidente scopo di contrastare il relativo rilievo officioso o un’eccezione a riguardo dell’intimata (puntualmente poi formulata:

cfr. in particolare pagg. 13-15 del controricorso), si è premurato in anticipo di sostenere perché i motivi di ricorso sarebbero ammissibili, anche ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., per l’insussistenza dei presupposti di cui all’art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c., essendo diverse le motivazioni delle due sentenze di merito, e perché vi era travisamento delle prove nelle parti motive singole e comuni delle due sentenze di merito.

5.1. Giova, allora, ricordare che, secondo un ormai consolidato indirizzo di questa Corte, ricorre l’ipotesi di c.d. “doppia conforme”, ai sensi dell’art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (in tal senso Cass. civ., sez. VI, 9.3.2022, n. 7724).

E’ stato, inoltre, specificato che, nell’ipotesi di “doppia conforme” prevista dal quinto comma dell’articolo 348-ter del c.p.c., il ricorrente per cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’articolo 360 del c.p.c., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (così Cass. civ., sez. II, 14.12.2021, n. 39910; id., sez. III; 3.11.2021, n. 31312; id., sez. III, 9.11.2020, n. 24974).

5.2. Osserva, quindi, il Collegio che la Corte territoriale si è fatta carico di premettere in modo abbastanza esteso su quali basi il primo giudice avesse accolto le domande dell’attrice e respinto le tesi sostenute dal convenuto B. (cfr. pagg. 3-5 della sua sentenza), dando conto, inoltre, dei motivi d’appello formulati da quest’ultimo (cfr. pagg. 7-8 della stessa sentenza). La Corte di merito, poi, quando si è pronunciata sull’appellatum, a più riprese ha espresso la propria condivisione di quanto ritenuto dal Tribunale, ad es., dove ha scritto che: “L’esame delle dichiarazioni rese dai testi è stato preciso ed attento, ed è anzi sceso nel merito delle specifiche circostanze”, o dove ha giudicato un “ragionamento decisamente logico e coerente che il Collegio condivide appieno” ciò che già il Tribunale aveva ritenuto circa l’inattendibilità anzitutto sul piano soggettivo dei testi Z. e R. (cfr. pagg. 8-9 dell’impugnata sentenza). Più in generale, dal confronto tra le due motivazioni si desume chiaramente che sui fatti principali oggetto di causa il giudice di primo grado e quello d’appello si sono espressi seguendo il medesimo percorso logico-argomentativo, salvo il dover ovviamente la Corte distrettuale rispondere ai motivi d’appello allora proposti dall’attuale ricorrente.

5.3. Ebbene, il ricorrente, nella propria anticipata difesa sull’ammissibilità del ricorso (ribadita nella propria memoria ex art. 380 bis.l. c.p.c.), si sofferma, invece, su marginali difformità motivazionali tra le due pronunce di merito, che non assumono alcun rilievo dal punto di vista in esame o lo hanno perso. Ad es., anche la Corte d’appello ha dato conto, solo nella propria ricostruzione della vicenda processuale, che il Tribunale aveva “aggiunto che, anche ammesso che il fatto si fosse effettivamente verificato, non assumeva la gravità necessaria per giustificare la grave sanzione” (così a pag. 5 della sua sentenza), ma poi non si è più occupata di tale questione. E’ del tutto evidente, infatti, che il passo così riportato della sentenza di primo grado era espressivo di una motivazione solo subordinata, che, peraltro, non formava oggetto d’appello, sicché la Corte, non essendo chiamata ad esprimersi a riguardo, si è piuttosto di nuovo pronunciata sul thema decidendum et probandum primordiale; ed è giunta alla medesima conclusione cui era pervenuto il Tribunale, e cioè che il fatto contestato non fosse stato provato (cfr. pag. 5 e pag. 11 della sua sentenza).

5.4. Erroneamente, poi, l’impugnante assume che l’inammissibilità dei suoi motivi di ricorso ex art 348 ter, commi quarto e quinto, c.p.c., sarebbe esclusa perché “in entrambe le decisioni di merito – singolarmente ed anche nelle residue motivazioni comuni – è rilevabile il travisamento delle prove acquisite”.

Premesso, infatti, che per travisamento della prova s’intende la constatazione di un errore di percezione o di ricezione della prova da parte del giudice del merito (cfr. ad es. Cass. civ., sez. lav., 3.11.2020, n. 24395), nel caso di specie, da un lato, non risulta che il ricorrente nei singoli motivi come sopra riassunti abbia fatto valere dei travisamenti della prova nel senso testé precisato, e, dall’altro, le motivazioni delle decisioni di merito (al netto delle difformità irrilevanti di cui s’è detto) sarebbero in ogni caso anche sotto tale profilo accomunate dal medesimo preteso vizio, rendendo così operante la preclusione di cui all’art. 348-ter, ultimo comma, c.p.c.

6. Rileva ora il Collegio che tutti i motivi di ricorso fanno esclusivo riferimento al mezzo di cui all’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c.

Nondimeno nel primo motivo di ricorso si assume anzitutto la violazione e falsa applicazione degli  artt. 420 e 437 c.p.c., sebbene in termini non meglio specificati nello svolgimento della censura in relazione al contenuto normativo di tali disposizioni, così come altrettanto genericamente ivi si lamenta una violazione del diritto di difesa.

6.1. Sennonché, il ricorrente ivi si duole dell’ “omessa ammissione dell’interrogatorio formale della ricorrente e comunque dei capitoli prova dedotti in ricorso e in appello con i testi ivi indicati”.

Ebbene, secondo un consolidato orientamento di questa Corte, il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale o di altra prova denunciato per cassazione solo nel caso in cui esso investa un punto decisivo della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa o non esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi risulti priva di fondamento (così, tra le altre, Cass. civ., sez. II, 14.2.2022, n. 4716; id., sez. II, 11.2.2022, n. 4476; id., sez. III; 27.10.2020, n. 23660; id., sez. I, 7.2.2020, n. 2978; id., sez. II, 29.10.2018, n. 27415).

Tale vizio è denunciabile sempre ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c., di talché si ricade comunque nella preclusione sopra illustrata.

6.2. Soggiunge la Corte che il motivo sarebbe comunque ex se inammissibile, per difetto del requisito di specificità/autosufficienza ex art. 366, comma primo, n. 4) c.p.c.

Come si è visto, infatti, è lo stesso ricorrente a riferire che la Corte di merito aveva scritto che: “L’istruttoria svolta in primo grado è stata completa ed esaustiva. Il Tribunale ha ammesso ben cinque testi, sentiti su tutte le circostanze rilevanti. La censura relativa alla violazione del diritto di difesa è quindi decisamente infondata”.

E sempre il ricorrente riferisce che con il primo motivo del suo appello aveva dedotto “violazione del diritto di difesa per omessa ammissione del richiesto interrogatorio formale della ricorrente senza motivazione alcuna – richiesta subordinata di giuramento decisorio e in ulteriore subordine suppletorio” (cfr. pag. 11 del ricorso in esame).

Del resto anche nella sentenza qui impugnata è scritto (all’inizio di pag. 7) che: “Il primo motivo di appello si incentra sulla violazione del diritto di difesa, per non aver il primo Giudice ammesso l’interrogatorio formale della F. ed il giuramento suppletorio del B. (istanze riproposte anche in sede di discussione)”, non facendosi cenno, per la verità, a un giuramento decisorio.

Non risulta, quindi, assolutamente, per quanto dedotto dallo stesso impugnante, che in sede d’appello lo stesso avesse formulato motivo volto a sentir ammettere le testimonianze di F.Z. e F.R., segnatamente sui capitoli di prova riportati alle pagg. 21- 22 del ricorso per cassazione, né in ipotesi di riascoltare gli stessi su quelle circostanze. A quanto pare di poter arguire, essendo certo che i testi suddetti siano stati escussi in primo grado, il ricorrente ora assume che quei capitoli, benché ammessi, sarebbero stati in concreto “non sottoposti dal Giudice di primo grado”, nel senso che quei due testi non sarebbero stati interrogati su quegli specifici articoli di prova. Ma, se così fosse da intendere detta non chiara deduzione, tale ipotetico vizio nell’assunzione della prova doveva essere fatto valere con apposito motivo dell’appello rivolto alla Corte territoriale; il che neanche risulta da quello che deduce il ricorrente.

Nondimeno, detta Corte, come si è visto, aveva ritenuto che i cinque testi ascoltati in primo grado erano stati “sentiti su tutte le circostanze rilevanti”.

Il difetto anche di autosufficienza nel motivo in esame, inoltre, è apprezzabile perché il ricorrente neppure indica il provvedimento del Tribunale con il quale si era provveduto sulle richieste di prova, onde rendere possibile il riscontro del perché non fosse stato ammesso l’interrogatorio formale che egli intendeva deferire all’attrice (o se esso non fosse stato ammesso senza alcuna motivazione).

In ogni caso, è insostenibile a riguardo un vizio di omessa pronuncia o di omessa motivazione da parte della Corte di merito perché è lo stesso ricorrente a riconoscere che essa si era invece espressa (circa il primo motivo d’appello su visto) nel senso di ritenere completa ed esaustiva l’istruzione svolta in primo grado nei termini su visti.

7. Nel secondo motivo di ricorso non è evincibile la deduzione di mezzi diversi da quello di cui all’art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c.

In ogni caso, la censura sarebbe inammissibile, oltre che per la preclusione di cui s’è detto, anche perché con la stessa si prospetta ulteriormente un’errata lettura delle dichiarazioni testimoniali, che non può essere fatta valere in questa sede di legittimità in tali termini, in quanto la valutazione del materiale probatorio è riservata al giudice del merito.

Peraltro, analogamente a quanto detto per il primo motivo, anche in questo caso il ricorrente fa riferimento ad un aspetto sul quale il giudice d’appello s’è in realtà espresso.

In particolare, nella propria sommaria esposizione dei fatti della causa, l’impugnante riferisce che il 10.6.2014 egli sporgeva denuncia-querela contro ignoti per il furto degli € 500,00, senza quindi indicare assolutamente la F. come possibile responsabile del furto stesso, e neppure profilandola come possibile responsabile del delitto di appropriazione indebita aggravata, coerentemente – si noti – con la contestazione disciplinare nel frattempo già rivolta alla F.. Tale contestazione, invero, non è specificamente riportata in tale esposizione sommaria dei fatti di causa (manchevole sotto tale punto di vista ex art. 366, comma primo, n. 3) c.p.c.), ma era quella riportata nella narrativa di questa sentenza (desunta dalla decisione gravata e che trova conferma nel più preciso, ordinato e completo resoconto dei fatti di causa a riguardo, contenuto nel controricorso: cfr. le pagg. 1-5 di tale scritto).

Dunque, la Corte distrettuale aveva considerato che già il primo giudice aveva correttamente “rilevato come i fatti addebitati non fossero relativi ad una possibile appropriazione della somma, ma circoscritti a due punti specifici: aver ricevuto il denaro senza riferirlo al titolare; aver lasciato la somma incustodita”.

Orbene, a più riprese nel ricorso in esame, ed anche nel secondo motivo, si sottolinea che il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Milano aveva chiesto l’archiviazione del procedimento penale, instauratosi a seguito della suddetta denuncia-querela dell’Avv. B., in quanto “dall’esame degli atti non è emerso alcun elemento per risalire all’identificazione degli autori del reato, così come si evince dalle indagini e dagli atti trasmessi dalla Polizia Giudiziaria”, giusta richiesta in tal senso che la difesa dell’attuale ricorrente aveva prodotto all’udienza del 18.3.2019 innanzi alla Corte territoriale; vale a dire, una mera richiesta del magistrato titolare delle indagini, priva di qualsivoglia rilevanza, visto che anche il decreto del G.I.P. che accolga la richiesta del P.M., pur se nei medesimi termini da quello avanzata, è pacificamente privo di attitudine al giudicato, men che meno in sede civile.

In ogni caso, è lo stesso ricorrente a dedurre che: “Di tale accertamento la Corte territoriale nulla dice in sentenza, anzi priva di rilievo la circostanza, assumendo che il decreto del PM sarebbe assolutamente irrilevante (pag. 11 sentenza impugnata)”. In disparte, infatti, che si trattava di una richiesta, e non di un decreto, del P.M. (il decreto di archiviazione è riservato al G.I.P.), la Corte di merito si è comunque espressa sui “documenti depositati in udienza”, reputandoli “assolutamente irrilevanti, perché, appunto, relativi a fatti del tutto estranei al giudizio” (cfr. alla fine di pag. 11 dell’impugnata sentenza).

Pertanto, non ricorrerebbe comunque il difetto di omessa motivazione, fatto valere dal ricorrente.

7.1. Per il resto, lo sviluppo del secondo motivo rende del tutto evidente che l’impugnante ivi prospetta una propria rilettura delle risultanze processuali (cfr. pagg. 23-31 del ricorso), che ovviamente non può essere presa in considerazione in questa sede.

E lo stesso è a dirsi, a maggior motivo, per il terzo motivo, il quale, sia pure sempre e soltanto basato sul mezzo di cui all’art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c., è volto a sostenere l’assolvimento dell’onere probatorio incombente sul datore di lavoro circa i fatti contestati.

8. Infine, in disparte quanto già ritenuto sulla preclusione ex art. 348-ter, ultimo comma, c.p.c., anche il quarto ed ultimo motivo di ricorso sarebbe comunque ex se inammissibile.

8.1. Invero, nello svolgimento di tale ultimo motivo si asserisce che: “In sentenza si riporta infatti solo un brevissimo cenno alla contestazione (doc. 38 fasc. 1° grado), senza alcun riferimento agli specifici contenuti della stessa e senza alcun riferimento alle “giustificazioni” (NON) fornite dalla lavoratrice rispetto alla confessione di avere ritirato nel dicembre 2013 € 500,00 dal sig. R. e di averli messi nella cassetta posta nella cassettiera della scrivania, confessione resa appena tre giorni prima”.

Come già notato, però, è piuttosto l’impugnante a non aver mai riportato nel ricorso in esame gli esatti e completi termini della contestazione disciplinare rivolta alla dipendente, che questo Collegio ha desunto anzitutto proprio dalla sentenza qui impugnata (cfr. pag. 3 della stessa), trovandone conferma nelle deduzioni della controricorrente e nei documenti ivi richiamati.

Nella stessa sentenza, poi, si dà conto in realtà del procedimento disciplinare e segnatamente del fatto che “le difese della F., che negava di aver ricevuto un pagamento del genere da parte di R. a dicembre 2013 ma semmai, a luglio dello stesso anno (per il quale però esisteva ricevuta) e di aver confessato alcunché, sono state respinte e il datore di lavoro ha irrogato il licenziamento” (cfr. sempre pag. 3 dell’impugnata sentenza).

Va da sé, allora, che la differente interpretazione che il ricorrente propone della lettera di giustificazioni della lavoratrice, in termini peraltro di non contestazione, non già dei fatti addebitati, ma di una pretesa precedente ed immediata “confessione” di aver ricevuto quella somma nel dicembre 2013 dal R. (ossia, di un fatto da dimostrare in giudizio, trattandosi di confessione stragiudiziale e non resa per iscritto), rappresenta appunto un’interpretazione di quella nota di giustificazioni; ma non può essere fatta valere con il vizio di omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c.

9. Alla stregua di tutte le superiori considerazioni, resta confermata l’inammissibilità dei singoli motivi di ricorso e quindi dell’intera impugnazione.

10. Il ricorrente, pertanto, di nuovo soccombente, dev’essere condannato al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuto al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 200,00 per esborsi e Euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15% e I.V.A e C.P.A. come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 30 novembre 2022, n. 35233
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