Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 dicembre 2022, n. 37046

Lavoro, Pensione di anzianità, Maggiorazione contributiva per l’esposizione all’amianto, Decorrenza del trattamento pensionistico di anzianità correlato alla detta maggiorazione, Rigetto

 

Rilevato che

 

la Corte d’appello di Cagliari, con sentenza n. 194 del 2020, ha rigettato l’impugnazione proposta dall’INPS nei confronti di G.F. avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto la domanda proposta dal medesimo F. al fine di vedersi riconoscere la pensione di anzianità di cui fruiva sin dal marzo 2011, momento in cui aveva maturato il requisito contributivo relativo alla maggiorazione per l’esposizione all’amianto come riconosciuto con sentenza della Corte d’appello di Cagliari del 10 marzo 2015, passata in giudicato;

con ricorso dell’8 ottobre 2015, introduttivo del presente giudizio, G.F. aveva convenuto l’Inps dinanzi al Tribunale di Cagliari, esponendo di aver intentato causa all’Istituto nel 2008 per ottenere la declaratoria del proprio diritto alla rivalutazione contributiva per esposizione all’ amianto ex art. 13 legge n. 257/1992; di aver ottenuto il riconoscimento di tale diritto con la citata sentenza della Corte d’Appello del 10 marzo 2015, divenuta definitiva; di avere presentato nelle more, in data 18 febbraio 2011, la domanda amministrativa di pensione di anzianità, allegando anche la richiesta di maggiorazione della provvista contributiva ai sensi della legge citata;

aveva in effetti ottenuto il pensionamento dal maggio 2015 ad altro titolo e l’INPS, in considerazione del giudicato sulla maggiorazione contributiva per l’esposizione all’amianto, si era limitato ad accreditare i contributi rivalutati ma al solo fine dell’ammontare dei ratei;

con domanda del 22 giugno 2015, aveva quindi chiesto la retrodatazione della pensione al primo giorno del mese successivo alla domanda del febbraio 2011, dal momento che la sentenza della Corte d’Appello del 10 marzo 2015 aveva sancito espressamente che nel suo caso la rivalutazione operava anche al fine della decorrenza, e non solo dell’importo; il ricorrente aveva quindi chiesto che fosse accertato il proprio diritto alla pensione di anzianità dal marzo 2011 e la condanna dell’Inps a pagargli la differenza tra tale trattamento e l’indennità di mobilità, assai inferiore, di cui aveva goduto da tale giorno fino al pensionamento effettivo, per un totale di euro 87.241,82;

ad avviso della Corte territoriale, la tesi del ricorrente era da accogliere in quanto, una volta presentata in via amministrativa la domanda di pensione di anzianità il 18 febbraio 2011, che l’Istituto aveva rigettato, il F. non aveva alcun onere di proporre la relativa causa entro i termini decadenziali dettati dall’art. 47 d.P.R. n. 639/1970, per la semplice ragione che tale causa era già pendente fin dall’11 luglio 2008, giorno del deposito del ricorso in cancelleria; nelle conclusioni egli, infatti, espressamente aveva chiesto, oltre all’accertamento del suo diritto al beneficio contributivo connesso all’esposizione all’amianto, anche “condannare l’Inps a liquidare detta prestazione pagando anche i ratei già maturati a quella data, con gli interessi legali (o la rivalutazione monetaria Istat se di importo maggiore) dalle singole scadenze al saldo”; avverso tale sentenza, ricorre l’Inps sulla base di un unico motivo successivamente illustrato da memoria; resiste G.F. con controricorso e successiva memoria;

 

Considerato che

 

con l’unico motivo di ricorso, si denuncia violazione dell’art. 47 del d.P.R. n. 639/1970. L’ Istituto si duole poiché la Corte territoriale non ha ravvisato la decadenza triennale pur trattandosi di fattispecie in cui l’assicurato ha instaurato il giudizio in data 8 ottobre 2015 a fronte di domanda amministrativa di pensione di anzianità presentata il 18 febbraio 2011;

il motivo è infondato;

è opportuno premettere che oggetto del presente giudizio è la integrale applicazione degli effetti derivanti dal giudicato costituito dalla sentenza della Corte d’appello del 10 marzo 2015, relativa alla maggiorazione contributiva da esposizione all’amianto; in particolare, il F. aveva introdotto il relativo giudizio l’11 luglio 2008 e, con tale giudizio, aveva domandato il riconoscimento del diritto alla maggiorazione contributiva ed anche alla pensione di anzianità; tale secondo capo della domanda non aveva formato oggetto di pronuncia né in primo in grado, né in appello e l’INPS, una volta formatosi il giudicato, vi ha dato esecuzione adeguando l’importo della pensione alla contribuzione maggiorata, senza però operare sulla corrispondente decorrenza; a sua volta, nelle more del giudizio definito con la sentenza del 10 marzo 2015, il F. aveva presentato nuova domanda amministrativa relativa alla pensione di anzianità (il 18.2.2011) che gli era stata rigettata ed in seguito alla quale non aveva proposto azione giudiziaria;

su tali basi in fatto, sostanzialmente pacifiche, si innesta la questione controversa;

l’INPS, infatti, dopo aver sostenuto nei gradi di merito che l’anticipazione della decorrenza del diritto alla pensione sarebbe stata preclusa anche per effetto del giudicato formatosi sulla omessa pronuncia, in questa sede ribadisce l’altro motivo di contrasto relativo alla decadenza in cui sarebbe incorsa la parte per non aver proposto ricorso al giudice entro il termine triennale previsto dall’art. 47 d.P.R. n. 639 del 1970, in seguito alla reiezione della domanda presentata il 18 febbraio 2011;

l’assunto dell’INPS è infondato;

il diritto “autonomo” al beneficio contributivo da esposizione all’amianto è stato pacificamente riconosciuto dalla Corte d’appello di Cagliari con la sentenza del 10 marzo 2015 n. 16/2016, sia agli effetti della misura che del diritto a pensione con coefficiente pari ad 1,5 in applicazione dell’art. 13, comma 8, l. n. 257 del 1992;

qui si discute della decorrenza del trattamento pensionistico di anzianità correlato alla detta maggiorazione che, nonostante tale giudicato, l’INPS ritiene esclusa per decadenza, posto che il F., in pendenza di giudizio conclusosi positivamente per lui, aveva reiterato la domanda di pensione con altra domanda del 18 febbraio 2011, respinta e non seguita da giudizio nel triennio;

in realtà tale decadenza non esiste in quanto, come correttamente rilevato dalla sentenza impugnata, il procedimento amministrativo relativo alla domanda di pensione di anzianità previo riconoscimento del beneficio da esposizione all’amianto (oggetto di domanda amministrativa proposta il 9 maggio 2007, cui aveva fatto seguito l’iniziativa giudiziaria del 2008 culminata nel giudicato favorevole), era già transitato in sede giudiziaria;

la ulteriore domanda amministrativa di pensione presentata nel 2011 e rigettata dall’INPS, in realtà, si risolve in una attività che, non comportando di certo effetti abdicativi sulla pendenza del giudizio precedentemente incoato, non assume rilievo ai fini pretesi dall’Istituto;

infatti, con la domanda del 18 febbraio 2011 l’interessato azionò per la seconda volta un autonomo procedimento amministrativo che certo non gli avrebbe consentito di sanare una eventuale pregressa decadenza (secondo la costante giurisprudenza di questa Corte vd. Cass. n. 21039 del 2018), ma, allo stesso modo e specularmente, non può neanche aver determinato la perdita sostanziale del medesimo diritto già oggetto di domanda amministrativa impugnata giudiziariamente ed ancora sub iudice;

è incontestato, infatti, che sia con la domanda amministrativa del 9 maggio 2007 (preordinata al giudizio iniziato nel 2008 definito nel 2015 con la sentenza passata in giudicato) che con quella del 18 febbraio 2011, il ricorrente aveva chiesto il riconoscimento del medesimo diritto a pensione in conseguenza del riconoscimento del beneficio da esposizione all’amianto;

sulla prima domanda, coltivata tempestivamente in giudizio, vi fu pacificamente una omessa pronuncia che non ha formato oggetto d’impugnazione (tanto che l’INPS, erroneamente, eccepì nei gradi di merito il formarsi giudicato) e che legittimamente è stata riproposta in applicazione del principio (vedi Cass. n. 2718 del 04/05/1981; Cass. n. 1088 1993), secondo cui, in considerazione dell’art. 346 c.p.c., che sancisce l’implicita rinuncia alle domande ed alle eccezioni non accolte dalla sentenza di primo grado e non espressamente riproposte in appello, è necessario distinguere, ai fini della formazione del giudicato, le domande e le eccezioni respinte da quelle non esaminate, in quanto per le seconde, il giudicato si costituisce solo se siano assorbite dalla decisione di domande o di eccezioni da cui esse dipendono, diversamente potendo le pretese che ne formano oggetto essere fatte valere in un diverso processo, per avere la rinuncia implicita solo valore processuale e non anche sostanziale;

in definitiva, il ricorso va rigettato;

le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo;

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 4500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli esborsi liquidati in € 200,00 e gli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.

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