Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 dicembre 2022, n. 37039

Lavoro, Contratti a progetto, Riqualifica in contratti a tempo indeterminato, Notifica al trasgressore del processo verbale di accertamento della infrazione, “Dies a quo” del termine previsto dall’art. 14, comma 2, della L. n. 689/1981 per la notifica degli estremi della violazione, Presunzione assoluta di subordinazione dei rapporti di collaborazione sforniti di specifico progetto, Rigetto

 

Rilevato che

 

Con la sentenza impugnata è stata confermata la pronunzia del Tribunale di Milano con la quale era stata rigettata l’opposizione, proposta da P.M.S., avverso l’ordinanza n. 331/11/1 emessa dalla DTL di Mantova il 6 maggio 2013, notificata il 13 luglio 2013, con la quale era stato al medesimo ingiunto, quale rappresentante legale della “M. s.r.l.”, il pagamento della somma di € 40.933,25, in ragione di varie violazioni (di cui agli artt. 9 bis della I. n. 608 del 1996, 4 bis, comma 2, del d.lgs. n. 181 del 2000, 1 e 3 della I. n. 4 del 1953, 39, commi 1 e 2, del d.l. n. 112 del 2008, conv. in I. n. 133 del 2008) derivanti dalla accertata illegittimità di quindici contratti a progetto, stipulati dalla menzionata società negli anni 2007 e 2008, riqualificati in contratti di lavoro a tempo indeterminato;

per la cassazione della decisione ha proposto ricorso P.M.S., affidato a cinque motivi;

l’Ispettorato Provinciale del Lavoro di Milano ha resistito con controricorso;

il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali si è costituito ai fini della partecipazione all’udienza di discussione della causa;

il P.G. non ha formulato richieste.

 

Considerato che

 

con il primo motivo il ricorrente – denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 28 della I. n. 689 del 1981 e 2943 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. – si duole che il giudice del gravame abbia ritenuto l’idoneità del verbale di accertamento-contestazione della violazione, notificato in data 27 gennaio 2011, ad interrompere la prescrizione (quinquennale e decorrente dal giorno in cui è stata commessa la violazione, ai sensi del citato art. 28);

con il secondo motivo – denunziando violazione e falsa applicazione degli artt. 14 della I. n. 689 del 1981 e 2 della I. n. 241 del 1990, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., nonché violazione dell’art. 132, n. 4, c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. – lamenta che il predetto giudice, con motivazione tautologica, abbia ritenuto non violato il termine di novanta giorni prescritto per la notifica del verbale di accertamento, benché il primo accesso presso la società, ad opera degli ispettori (i quali, peraltro, avevano effettuato in precedenza un identico accertamento per contratti a progetto conclusi dal 2006 al 2008), sia avvenuto il 15 settembre 2010 e gli accertamenti si siano conclusi il 3 gennaio 2011;

con il terzo motivo – denunziando violazione e falsa applicazione degli artt. 61 e 69 del d.lgs. n. 276 del 2003, nonché dell’art. 409, n. 3, c.p.c., in relazione all’art. 3 Cost. in connessione con l’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. – si duole, da un lato, che la Corte territoriale, nel ravvisare l’insussistenza dello specifico progetto, abbia applicato “sic et simpliciter” i principi giurisprudenziali sorti sull’art. 61 del d.lgs. n. 276 del 2003 nella versione originaria, senza applicare i principi desumibili anche dalla prassi esistente in materia e senza considerare la normativa sopravvenuta introdotta dall’art. 24 bis, comma 7, del d.l. n. 83 del 2012, conv. nella I. n. 134 del 2012 (che ha escluso dall’applicabilità della disciplina dei co.co.pro. le attività dei “call center” in “outbound”), in tal modo violando l’art. 3 Cost., “non essendo legittimo che la stessa, identica fattispecie venga disciplinata in modo diverso solo per lo scorrere del tempo”; in subordine, si duole che il giudice del gravame non abbia adottato una interpretazione sorretta da canoni di ragionevolezza incentrata sui meno rigorosi criteri elaborati dalla giurisprudenza e dei principi dettati dallo stesso Ministero del Lavoro nelle circolari emanate in “subiecta materia” in relazione alla specifica regolamentazione del contratto a progetto nei “cali center”, e, in sostanza, non abbia rilevato che tutti i contratti a progetto erano da ritenersi legittimi e pienamente rispondenti ai dettati di legge; lamenta, dall’altro, che il giudice del gravame non abbia ritenuto sussistente, nel caso, a fronte della ritenuta mancata specificità dei progetti, una presunzione di subordinazione “iuris tantum”, essendo stata la presunzione assoluta introdotta dal legislatore solo in relazione ai contratti di collaborazione stipulati successivamente alla data di entrata in vigore della I. n. 92 del 2012;

con il quarto motivo – denunciando, in subordine, violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e 11 della I. n. 689 del 1981, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. – lamenta che la predetta Corte abbia ritenuto sussistente la coscienza e volontà degli organi amministrativi della società, i quali invece “hanno attuato in toto tutti gli adempimenti amministrativi e formali in relazione agli instaurati rapporti di collaborazione a progetto”, per di più facendo affidamento sul contenuto di alcune circolari del Ministero del Lavoro, tra cui la n. 4 del 29 gennaio 2008, “che vedeva stabilire quali attività lavorative potessero essere oggetto di collaborazione e quali no”; con il quinto motivo – denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 8 e 11 della I. n. 689 del 1981, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. – si duole che il giudice del gravame non abbia considerato che la somma portata nell’ordinanza ingiunzione era da ritenersi incongrua, non essendosi tenuto conto, nella relativa determinazione, degli istituti del cumulo giuridico e della continuazione, per converso applicabili, essendo le violazioni connesse alla materia della previdenza e dell’assistenza obbligatoria.

 

Ritenuto che

 

il primo motivo di doglianza è da rigettare, avuto riguardo al consolidato orientamento di cui è espressione Cass. 20/07/2016, n. 14886 (e ribadito, da ultimo, da Cass. 11/05/2022, n. 14861), secondo cui «In tema di sanzioni amministrative, la notifica al trasgressore del processo verbale di accertamento della infrazione è idonea a costituire in mora il debitore ai sensi dell’art. 2943 c.c. atteso che ogni atto del procedimento previsto dalla legge per l’accertamento della violazione e per l’irrogazione della sanzione ha la funzione di far valere il diritto dell’Amministrazione alla riscossione della pena pecuniaria e costituisce esercizio della pretesa sanzionatoria»;

l’orientamento in questione vale anche con riguardo alle violazioni in materia di diritto del lavoro, non essendo di alcun ostacolo la previsione di una misura delle sanzioni variabile tra un minimo ed un massimo, né la dedotta circostanza che il verbale conclusivo di accertamento (peraltro non indicato nella parte di interesse, in contrasto con il principio di autosufficienza) non riporti una “espressa dicitura sulle conseguenze che derivano dal mancato adempimento alle relative previsioni”;

il secondo motivo è anche da rigettare, poiché, ai fini dell’individuazione del “dies a quo” di decorrenza del termine di novanta giorni, occorre aver riguardo al momento in cui è avvenuto l’accertamento, inteso come avvenuta acquisizione della conoscenza della violazione (cfr., sul punto, Cass. 25/10/2019, n. 27405, ove è affermato che «In tema di sanzioni amministrative, qualora non sia avvenuta la contestazione immediata dell’illecito, il momento dell’accertamento – in relazione al quale va collocato il “dies a quo” del termine previsto dall’art. 14, comma 2, della I. n. 689 del 1981 per la notifica degli estremi della violazione – non coincide con quello di acquisizione del fatto nella sua materialità da parte dell’autorità che ha ricevuto il rapporto, ma va individuato nella data in cui detta autorità ha completato l’attività intesa a verificare la sussistenza degli elementi oggettivi e soggettivi dell’infrazione; compete al giudice di merito valutare la congruità del tempo utilizzato per tale attività, in rapporto alla maggiore o minore difficoltà del caso, con apprezzamento incensurabile in sede di legittimità, se correttamente motivato»); e, nel caso, il giudice del gravame ha ritenuto circostanza non contestata l’avvenuta conclusione degli accertamenti ispettivi il 29 novembre 2010 (data, pertanto, di decorrenza dei novanta giorni), ravvisando la congruità del tempo utilizzato (i.e.: circa due mesi) dagli ispettori per addivenire agli accertamenti in questione, in ragione alla complessità delle verifiche desumibili implicitamente dalla molteplicità di violazioni e dal numero dei lavoratori coinvolti; e ciò anche mediante il richiamo a Cass. 6/11/2009, n. 23608, ove è affermato che «In tema di sanzioni amministrative, i limiti temporali entro i quali, a pena di estinzione dell’obbligazione di pagamento, l’Amministrazione procedente deve provvedere alla notifica della contestazione devono ritenersi collegati all’esito del procedimento di accertamento, la legittimità della cui durata va valutata in relazione al caso concreto e sulla base della complessità delle indagini, e non anche alla data di commissione della violazione, dalla quale decorre il solo termine iniziale di prescrizione di cui all’art. 28 della legge n 689 del 1981. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito, che aveva ritenuto tempestiva la contestazione in relazione alla data di notifica del verbale di accertamento, senza che assumesse rilievo la data di accesso al cantiere o quella successiva di invio della documentazione da parte dell’impresa, attesa la complessità degli accertamenti compiuti, relativi ad una molteplicità di violazioni e a numerosi lavoratori)»;

il terzo motivo è da disattendere, per varie ragioni; in primo luogo, quanto alla censura concernente la violazione dell’art. 3 Cost., perché «la violazione delle norme costituzionali non può essere prospettata direttamente col motivo di ricorso per cassazione ex art. 360, n. 3, c.p.c., in quanto il contrasto tra la decisione impugnata e i parametri costituzionali, realizzandosi sempre per il tramite dell’applicazione di una norma di legge, deve essere portato ad emersione mediante l’eccezione di illegittimità costituzionale della norma applicata» (così, da ultimo, Cass., SU, 6/04/2022, n. 11167);

in secondo, poiché si risolve in una mera critica all’impianto decisionale della sentenza, ove invece è correttamente fatto richiamo al costante orientamento giurisprudenziale incentrato sulla sussistenza di una presunzione assoluta di subordinazione dei rapporti di collaborazione sforniti di specifico progetto anche in data precedente a quella di entrata in vigore della I. n. 92 del 2012 (cfr., di recente, Cass. 5/08/2022, n. 24383); infine, perché l’affermazione della sussistenza di un valido progetto mira a rimettere in discussione l’insindacabile accertamento in fatto compiuto dal giudice di merito;

il quarto motivo di censura è inammissibile, perché si risolve in una critica alla valutazione di fatto compiuta dal giudice di merito, il quale non ha errato nell’interpretazione del parametro normativo, ma ha ritenuto che la colpa dell’agente fosse ravvisabile sulla base della condotta contestata, anche in conformità al criterio presuntivo seguito dalla giurisprudenza  cfr., sul punto, Cass. 18/06/2020, n. 11777, ove è affermato che «Il principio posto dall’art. 3 della legge n. 689 del 1981 secondo il quale, per le violazioni amministrativamente sanzionate, è richiesta la coscienza e volontà della condotta attiva od omissiva, sia essa dolosa o colposa, postula una presunzione di colpa in ordine al fatto vietato a carico di colui che lo abbia commesso, non essendo necessaria la concreta dimostrazione del dolo o della colpa in capo all’agente, sul quale grava, pertanto, l’onere della dimostrazione di aver agito senza colpa»);

il quinto motivo va disatteso, perché, da un lato, esso si risolve in una inammissibile richiesta di rideterminazione della sanzione in sede di legittimità, senza che venga precisato in qual modo la decisione del giudice del gravame (di adesione alla pronunzia del giudice di primo grado) sul punto abbia violato la previsione del predetto art. 11; dall’altro, esso non si confronta con la “ratio decidendi” della sentenza impugnata, nella quale, quanto alle violazioni contestate ed indicate alla pag. 41 del ricorso (Le.: omesse o inesatte registrazioni sulla documentazione obbligatoria e mancata consegna o errata/inesatta elaborazione di buste paga) risulta esser stato applicato il cumulo giuridico (comportante lo stesso beneficio della continuazione), per converso non applicabile alle altre violazioni, delle quali in ricorso non è affermata la riconducibilità alla materia della previdenza o assistenza obbligatoria (che renderebbe applicabile per tutte la continuazione; cfr., da ultimo, Cass. 22/06/2022, n. 20129, ove è affermato che l’istituto della continuazione di cui all’art. 81, comma 2, c.p., è utilizzabile solo per le violazioni in materia di previdenza ed assistenza);

le spese del presente giudizio tra il ricorrente e l’Ispettorato, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza; nulla per le spese tra il ricorrente e il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali;

ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese nei confronti dell’Ispettorato Provinciale del Lavoro di Milano, che liquida in euro 4.500,00, oltre spese prenotate a debito; nulla per le spese tra il ricorrente e il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 dicembre 2022, n. 37039
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