Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 20 dicembre 2022, n. 37244
Lavoro, Invalidità civile, Assegno mensile di invalidità, Articolo 9 D.L. 509/1988, Revoca della prestazione ritenuta illegittima, Clausola di salvaguardia dei diritti acquisiti, Rigetto
Svolgimento del processo
Con sentenza del 20.10.15 la Corte d’Appello di Perugia, in riforma di sentenza del tribunale della stessa sede, ha dichiarato che l’assistita in epigrafe era invalida civile al 67% all’epoca della visita di revisione e ha condannato l’INPS al ripristino dell’assegno mensile di invalidità con decorrenza dalla data della revoca, dichiarando infondata la richiesta di restituzione delle somme corrisposte avanzata dall’INPS.
In particolare, la corte ha ritenuto che poiché la prestazione era stata riconosciuta sotto la vigenza della legge che prevedeva un’invalidità del 67% non era applicabile la disciplina dettata dall’articolo 9 DL 509 dell’88 (che richiedeva la superiore grado di invalidità del 74%), e ciò in quanto lo stesso articolo 9 prevede la salvezza dei diritti di coloro che fossero titolari dell’assegno mensile o avessero già ottenuto il riconoscimento dei requisiti sanitari, applicandosi le nuove disposizioni solo a coloro che avessero avanzato la domanda amministrativa dopo l’entrata in vigore del citato articolo 9 e in particolare del DM 5 febbraio 92.
Avverso tale sentenza ricorre l’INPS per un motivo, lamentando l’attribuzione della prestazione nonostante la mancanza del diverso grado di invalidità richiesto dalla nuova norma, in violazione dell’art. 13 legge n. 118/1971, dell’art. 9 d.lgs. n. 509/1988, della tabella di cui al D.M. Sanità 05.02.1992 e dell’art. 149 disp.att. c.p.c.; resiste con controricorso, illustrato da memorie, l’assistita.
Ragioni della decisione
Il ricorso è infondato.
In fatto, occorre premettere che dagli atti risulta che l’originaria prestazione, presupponente una invalidità del 67%, riconosciuta con decorrenza dal 1991, era stata revocata una prima volta per asserito difetto del requisito sanitario, ma la revoca era stata annullata con provvedimento giudiziale, che aveva riconosciuto una invalidità del 74% ed era poi passato in giudicato. Tale riconoscimento dell’invalidità (che non modifica l’originario diritto dell’assistita, che trovava anzi conferma) veniva poi nuovamente revocato in sede amministrativa per asserito difetto del requisito sanitario con il provvedimento impugnato in questa sede, provvedimento ritenuto illegittimo dal giudice di merito che ha confermato il possesso da parte dell’assistita del requisito sanitario richiesto sin dalla data della domanda amministrativa.
In diritto, pare insuperabile invero il dato normativo di cui al richiamato articolo 9, secondo cui “1. A modifica dell’articolo 13, primo comma, della legge 30 marzo 1971, n. 118, la riduzione della capacità lavorativa indicata nella misura superiore ai due terzi è elevata alla misura pari al 74 per cento a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto di cui all’articolo 2, comma 1. 2. Restano salvi i diritti acquisiti dai cittadini che già beneficiano dell’assegno mensile o che abbiano già ottenuto, alla data di cui al comma 1, il riconoscimento dei requisiti sanitari da parte delle competenti commissioni”.
La detta norma e la relativa clausola di salvezza hanno inteso rendere insensibili le prestazioni già riconosciute all’epoca della entrata in vigore delle nuove disposizioni al mutato (e più gravoso) requisito sanitario dalle stesse richiesto.
La sentenza impugnata fa diretta applicazione della norma ed è pertanto immune dalle censure proposte dal ricorrente.
Il principio ha trovato applicazione in giurisprudenza in Cass. Sez. L, Sentenza n. 158 del 10/01/2006 (Rv. 585811 – 01), in relazione al nuovo regime di valutazione delle minorazioni e malattie invalidanti, previsto dal d.lgs. n.509 del 1988 e fissato dal decreto del Ministero della Sanità 5 febbraio 1992, entrato in vigore il 12 marzo 1992, in relazione al quale si è ritenuto che l’assistito che abbia presentato domanda prima di tale data ha diritto ad una valutazione delle proprie condizioni di validità con la percentuale più favorevole, anche per le azioni dirette al ripristino di una prestazione revocata, rilevando la domanda originaria, prima accolta e poi revocata.
Nel medesimo senso si è detto (Sez. 6 – L, Ordinanza n. 26091 del 23/12/2010 (Rv. 615651 – 01) che, in tema di assegno mensile ex art. 13 della legge 30 marzo 1971, n. 118, la salvezza dei diritti acquisiti prevista – in relazione all’elevazione della riduzione della capacità lavorativa richiesta ai fini del diritto all’assegno di invalidità civile al 74 per cento, a decorrere dalla data di entrata in vigore (12 marzo 1992) della nuova tabella delle invalidità, approvata con decreto del Ministro della sanità in data 5 febbraio 1992, ai sensi dell’art. 2 del d.lgs. 23 novembre 1988 n. 509 – dall’art. 9 del medesimo d.lgs. riguarda, per effetto della dichiarazione di illegittimità costituzionale di cui alla pronuncia della Corte costituzionale 31 maggio 1995 n. 209, non solo i cittadini che già beneficiassero dell’assegno mensile o che avessero già ottenuto, alla data di entrata in vigore della nuova normativa, il riconoscimento dei requisiti sanitari da parte delle competenti commissioni, ma anche i cittadini per i quali questo riconoscimento sia intervenuto successivamente, ma in relazione a domanda e situazione di fatto anteriori alla data in questione, dovendosi far riferimento alle nuove tabelle e alla nuova percentuale di invalidità lavorativa solo quando l’evento protetto si sia verificato nel periodo successivo al 12 marzo 1992.
La soluzione ha trovato poi definitiva conferma nella recente pronuncia delle Sez. U, Sentenza n. 14561 del 09/05/2022 (Rv. 664659 – 01), nella quale, superandosi l’orientamento espresso da Sez. L – , Sentenza n. 28445 del 05/11/2019 (Rv. 655848 – 01) e Sez. L – , Sentenza n. 27355 del 30/11/2020 (Rv. 659660 – 01), si è affermato che, in tema di invalidità civile, ai fini della proponibilità dell’azione giudiziaria con la quale, in caso di revoca di una prestazione assistenziale, si intenda accertare la persistenza dei requisiti costitutivi del diritto alla prestazione di invalidità, non è necessario presentare una nuova domanda amministrativa, dovendosi dunque far implicito riferimento ai requisiti originari dell’unica domanda amministrativa.
Ciò vale in particolare nelle ipotesi di revoca della prestazione che sia ritenuta illegittima dal giudice ed annullata, in quanto in tale ipotesi si conferma l’originaria concessione della prestazione con i requisiti previsti all’epoca. Come precisato da Cass., sez. L, sentenza n. 1839 del 2009, infatti, non essendo stata la revoca della prestazione conforme alla situazione di fatto, che è invece perfettamente sovrapponibile a quella già accertata all’epoca della domanda amministrativa, occorre far riferimento ai requisiti sanitari richiesti dalla legge all’epoca di questa (in tema, anche Sez. VI-L, n. 15170 del 2020).
Non si tratta del resto di un nuovo diritto del tutto diverso, ancorché identico nel contenuto, da quello estinto per revoca, ma proprio dell’originario diritto di cui all’unica domanda amministrativa.
Applicati questi principi al caso di specie, si evidenzia che alla ritenuta illegittimità della revoca non possa che accompagnarsi l’applicazione dei requisiti (ed in particolare del requisito sanitario e della percentuale invalidante per essa previsto) della prestazione vigenti all’epoca della domanda amministrativa, senza influenza dei sopravvenuti mutamenti normativi del requisito sanitario.
Ne deriva il rigetto del ricorso dell’INPS.
Le spese di lite seguono la soccombenza, con distrazione.
Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento in favore della contro ricorrente delle spese di lite, che si liquidano in euro 5000 per compensi professionali ed euro 200 per esborsi, oltre spese forfetarie al 15% ed accessori come per legge, con distrazione in favore dell’avv. C.M..
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.