Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 20 dicembre 2022, n. 37325

Lavoro, Dipendente comunale, Congedo straordinario retribuito previsto dall’art. 42, comma 5, D.Lgs. n. 165/2001-  Licenziamento con preavviso, Impropria fruizione dei benefici, Prova della “non convivenza” e della “non assistenza”, Rigetto

 

Svolgimento del processo

 

M.C.G. ha esposto che:

era dipendente del Comune di Piacenza dal 3 dicembre 1984, prima a tempo determinato, poi con assunzione a tempo indeterminato dal 13 ottobre 1987;

con atto del 31 luglio 2017 l’Ufficio per i procedimenti disciplinari del Comune di Piacenza le aveva contestato di essersi avvalsa del congedo straordinario retribuito previsto dall’art. 42, comma 5, d.lgs. n. 165 del 2001 per il periodo dal 6 al 16 marzo 2017, richiesto con la motivazione di dovere accudire la madre A.A., nonostante la madre fosse stata ricoverata in ospedale il 6 marzo 2017 per essere sottoposta il giorno successivo ad intervento chirurgico non urgente e precedentemente programmato con dimissione l’8 marzo, non convivesse con la stessa madre e non avesse prestato, durante il congedo, la sua opera di assistenza;

il Comune di Piacenza le aveva irrogato, quindi, la sanzione disciplinare del licenziamento con preavviso.

La ricorrente ha impugnato il detto licenziamento con ricorso depositato l’8 maggio 2018 presso il Tribunale di Piacenza.

Il Tribunale di Piacenza, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 173/2019, ha accolto il ricorso.

Il Comune di Piacenza ha proposto appello che la Corte d’appello di Bologna, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 98/2021, ha accolto, rigettando l’originario ricorso di M.C.G..

M.C.G. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.

Il Comune di Piacenza si è difeso con controricorso.

M.C.G. e il Comune di Piacenza hanno depositato memorie.

 

Motivi della decisione

 

1. Preliminarmente deve essere disposta ex art. 335 c.p.c. la riunione del ricorso r.g. n. 14279 del 2021 a quello r.g. n. 14277 del 2021, trattandosi di impugnazioni proposte separatamente contro la stessa sentenza.

2. Con il primo, il secondo ed il terzo motivo, che possono essere trattati congiuntamente, stante la stretta connessione, la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2696 c.c., 115 e 116 c.p.c.

Essa sostiene che la corte territoriale avrebbe posto erroneamente a suo carico l’onere di provare l’insussistenza dei fatti alla base del licenziamento, sostenendo che il Comune di Piacenza non poteva essere tenuto a dimostrare la “non convivenza” o la “non assistenza”, in quanto circostanze negative.

Inoltre, non sarebbero state valutate le prove documentali presentate, in particolare quelle concernenti le condizioni di salute della madre della ricorrente.

La ricorrente si duole, altresì, della lettura, da parte della Corte d’appello di Bologna, delle risultanze del rilevamento GPS della sua vettura, anche perché tale rilevamento poteva al massimo provare dove si trovava la vettura, ma non la medesima M.C.G..

Le tre doglianze non meritano accoglimento.

La corte territoriale non ha assolutamente negato che fosse il Comune di Piacenza il soggetto tenuto a dimostrare la veridicità dei fatti contestati alla ricorrente, ma ha ritenuto che “la convergenza dei molteplici elementi indicati dal Comune pare decisiva del convincimento di impropria fruizione dei benefici”.

Il giudice di appello ha ritenuto, con un accertamento di merito che, nella presente sede, non può essere sindacato, in quanto motivato, che:

– M.C.G. non convivesse con la madre;

– la ricorrente si fosse recata presso la genitrice in tempi e modi non coerenti con le affermate esigenze di continuità di accudimento dell’invalida.

Queste conclusioni sono state formulate sulla base:

– delle risultanze di alcuni pedinamenti, nel corso dei quali M.C.G. era stata vista compiere spostamenti incompatibili con la coabitazione;

– della registrazione dei movimenti della vettura della ricorrente secondo percorsi non compatibili con una sua sosta presso la casa della madre;

– della dichiarazione della portinaia del palazzo ove viveva la madre di M.C.G., che confermava di vederla venire tutte le mattine;

– del riscontro, da parte degli operanti, che la madre della ricorrente si spostava dal suo appartamento e sino alla macchina della figlia senza bisogno di assistenza;

– della mancata e, comunque, non tempestiva attestazione ad opera della struttura sanitaria che nei giorni di ricovero della madre della ricorrente era stata richiesta la presenza di quest’ultima;

– del contenuto di una telefonata intercorsa con un operante, nella quale la madre della lavoratrice aveva negato di essere accudita da una badante o dalla figlia.

Al riguardo, questo Collegio non può effettuare una rilettura delle risultanze istruttorie compiuta dalla corte territoriale, trattandosi di un giudizio di merito non riproponibile in sede di legittimità.

Infatti, in tema di ricorso per cassazione, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia fondato la decisione su prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti, invece, a valutazione (Cass., Sez. 1, n. 6774 del 1° marzo 2022).

In particolare, le doglianze di M.C.G. concernenti il tracciato GPS non sono ammissibili, sostanziandosi nella richiesta di un nuovo accertamento dei fatti di causa.

Quanto alle condizioni di salute della madre della ricorrente, si osserva che la loro eventuale gravità non rileva, dovendosi solamente accertare se la figlia avesse prestato alla medesima la dovuta assistenza, il che è stato escluso dalla Corte d’appello di Bologna.

3. Il ricorso è respinto.

Le spese di lite seguono la soccombenza ai sensi dell’art. 91 c.p.c. e sono liquidate in dispositivo come da nota spese depositata.

Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, dell’obbligo per la ricorrente di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto, trattandosi di ricorso per cassazione la cui notifica si è perfezionata dopo la data del 30 gennaio 2013 (Cass., Sez. 6-3, n. 14515 del 10 luglio 2015).

 

P.Q.M.

 

– rigetta il ricorso;

– condanna la ricorrente a rifondere le spese di lite, che liquida in complessivi € 3.293,00 oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%;

– dà atto che sussiste l’obbligo per la ricorrente, ai sensi dell’art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 20 dicembre 2022, n. 37325
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