Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 dicembre 2022, n. 37326

Lavoro, Licenziamento per giusta causa, Specificità della contestazione, Immediatezza del recesso, Mancata autorizzazione della D.P.L. all’installazione di dispositivi elettronici di videosorveglianza, Inammissibilità

 

Rilevato che

 

1. con sentenza 18 aprile 2019, la Corte d’appello di Salerno ha rigettato il reclamo di G.S. (dipendente dal 19 settembre 2001 della società di trasporto pubblico locale A.B. s.r.l., con mansioni di conducente in qualità di agente unico addetto anche alla vendita di biglietti a bordo) avverso la sentenza di primo grado, di reiezione della sua opposizione all’ordinanza che ne aveva rigettato le domande di accertamento dell’illegittimità del licenziamento per giusta causa intimatogli il 6 ottobre 2016, con le conseguenti domande reintegratoria e risarcitorie, in gradato subordine;

2. essa ha preliminarmente ritenuto legittima l’attività investigativa commessa dalla società datrice ad agenzia privata, siccome riguardante, non già l’adempimento della prestazione lavorativa, bensì gli atti illeciti del lavoratore ad esso non riconducibili, in effetti emersi;

3. dagli accertamenti effettuati, iniziati il 15 settembre 2015 e versati nella relazione poi consegnata alla società il 4 agosto 2016, sono infatti risultati: l’incasso da parte del predetto, il giorno 8 ottobre 2015, di somme di denaro dai viaggiatori senza il corrispettivo rilascio del titolo di viaggio e la mancata consegna all’azienda delle somme incassate;

l’omessa consegna dei biglietti venduti a terra dalle prevendite con la ragionevole possibilità della loro messa in circolazione fraudolenta;

4. tali fatti hanno costituito oggetto di contestazione disciplinare tempestiva (in data 10 agosto 2016) e, comprovati dalle scrutinate risultanze istruttorie, sono stati ravvisati dalla Corte territoriale integrare giusta causa di licenziamento: per proporzionalità della sanzione espulsiva, in esito alla valutazione globale degli elementi oggettivi e soggettivi della condotta del lavoratore (anche tenuto conto dei suoi pregressi diciassette procedimenti disciplinari) e per idoneità alla rottura del vincolo fiduciario tra le parti;

5. infine, la condotta è risultata espressamente sanzionata con la destituzione dall’art. 46 del codice disciplinare applicabile (r.d. 148/1931) e rilevare penalmente, così escludendo la necessità di affissione del codice disciplinare, pure lamentata dal lavoratore;

6. con atto notificato il 14 (21) giugno 2019, il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione con cinque motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 380bis1 c.p.c., cui la società ha resistito con controricorso.

 

Considerato che

 

1. il ricorrente ha dedotto violazione degli artt. 15 disp. prel. c.c., 102, lett. b) d.lgs. 112/1998, 2106 c.c., 7 l. 300/1970, per mancato rispetto del principio di specificità della contestazione e di immediatezza del recesso, sulla premessa di abrogazione implicita della normativa disciplinare del r.d. 148/1931 e sul rilievo del ritardo notevole e ingiustificato della contestazione e del conseguente recesso, non essendo nel caso di specie necessario il ricorso ad investigazioni private, per la disponibilità, da parte della società datrice, di riprese video all’interno della vettura, con riflesso sulla mancata predisposizione della relazione prescritta dall’art. 53 r.d. 148/1931 e sulla consegna della documentazione istruttoria: pertanto sull’esercizio del proprio diritto di difesa in relazione al tempo trascorso dai fatti contestati e sulla specificità della contestazione (primo motivo); violazione dell’art. 54 in relazione all’art. 45 r.d. 148/1931, per comminazione della destituzione dal datore di lavoro anziché dal consiglio di disciplina (secondo motivo); omesso esame di fatti controversi e decisivi per il giudizio, quali la mancata produzione in giudizio delle riprese video oggetto di relazione investigativa a fondamento della destituzione, ritenuta legittima sulla base di altri elementi valutati, senza tenere conto di tali riprese, nonostante le richieste di parte ricorrente di loro produzione in giudizio in entrambi i gradi (terzo motivo); violazione dell’art. 4 l. 300/1970, per mancata autorizzazione della D.P.L. all’installazione di dispositivi elettronici di videosorveglianza, in assenza di previo accordo con le rappresentanze sindacali, integrante comportamento antisindacale (quarto motivo); violazione dell’art. 1455 c.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., per mancata graduazione, in applicazione del principio di proporzionalità, della sanzione comminata, per erronea sussunzione dalla Corte territoriale della condotta del lavoratore nella previsione dell’art. 46 r.d. 148/1931, nonostante l’assenza di vincolo dalle previsioni della contrattazione collettiva della nozione legale di giusta causa del licenziamento, ben potendo il fatto contestato essere sussunto nell’ipotesi di sospensione, per ritardato versamento o consegna di valori od oggetto dipendenti da colpevole negligenza o da altra causa non dolosa (quinto motivo);

2. essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono inammissibili;

3. le questioni poste sono sostanzialmente nuove e implicano un accertamento in fatto, non avendone la sentenza trattato, né il ricorrente indicato in quale atto del giudizio di merito le abbia eventualmente prospettate: sicché, il loro profilo di novità ne comporta l’inammissibilità (Cass. 22 dicembre 2005, n. 28480; Cass. 13 dicembre 2019, n. 32804; Cass. 8 novembre 2021, n. 32512);

4. al di là del superiore assorbente rilievo, comune a tutti i motivi, in più specifico riferimento ad alcuni:

4.1. il primo è inammissibile, consistendo in una contestazione dell’accertamento in fatto di tempestività della contestazione e del recesso, in esito ad argomentata valutazione probatoria (per le ragioni esposte al primo periodo e al primo capoverso di pg. 14 della sentenza) compiuta dalla Corte territoriale, in applicazione del principio di immediatezza relativa, spettante al giudice di merito e insindacabile in sede di legittimità (Cass. 12 gennaio 2016, n. 281; Cass. 26 giugno 2018, n. 16841; Cass. 20 settembre 2019, n. 23516);

4.2. il terzo motivo è inammissibile, per la deduzione di un vizio di omesso esame nella ricorrenza, nel caso di specie, di un’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348ter, quinto comma c.p.c., applicabile ratione temporis, non avendo il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo dedotto ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., indicato le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrandone la loro diversità (Cass. 22 dicembre 2016, n. 26774; Cass. 6 agosto 2019, n. 20994; Cass. 13 aprile 2021, n. 9656);

4.3. non si configura poi, in ordine al quinto motivo, la violazione di legge denunciata (sia pure incomprensibilmente, se non per refuso, in relazione art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c.), consistente in un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una previsione normativa, implicante un problema interpretativo della stessa, né di falsa applicazione della legge, integrata dalla sussunzione della fattispecie concreta in una qualificazione giuridica che non le si addice, perché la fattispecie astratta da essa prevista non è idonea a regolarla, oppure dal trarre dalla norma, in relazione alla fattispecie concreta, conseguenze giuridiche che ne contraddicono la pur corretta interpretazione (Cass. 30 aprile 2018, n. 10320; Cass. 25 settembre 2019, n. 23851). La censura veicola piuttosto l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa esterna all’esatta interpretazione della norma e inerente alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (Cass. 11 gennaio 2016, n. 195; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155), oggi peraltro nei rigorosi limiti, qui non ricorrenti, del novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c.;

4.4. d’altro canto, la Corte territoriale ha correttamente accertato (al di là del riferimento meramente argomentativo all’art. 46 r.d. 148/1931: “Inoltre … ”, al primo capoverso di pg. 13 della sentenza) l’esistenza di una giusta causa, in esito ad argomentata e critica valutazione di idoneità della condotta all’irreversibile rottura del vincolo di fiducia tra le parti, in corretta applicazione dei principi di diritto in materia e pertanto insindacabile in sede di legittimità (Cass. 6 settembre 2019, n. 22358, con richiamo di precedenti in motivazione sub p.to 3.1.) e di proporzionalità della sanzione espulsiva comminata (per le ragioni esposte dall’ultimo capoverso di pg. 11 all’ultimo di pg. 12 della sentenza), riservata al giudice di merito e parimenti sottratta al sindacato di legittimità (Cass. 8 gennaio 2008, n. 144; Cass. 26 gennaio 2011, n. 1788; Cass. 25 maggio 2012, n. 8293; 26 settembre 2018, n. 23046; Cass. 6 settembre 2019, n. 22358);

5. in via conclusiva, il secondo e il quarto motivo prospettano questioni nuove che involgono accertamenti di fatto inammissibili in sede di legittimità; le altre doglianze convergono, invece, nella sostanza, in una diversa interpretazione e valutazione delle risultanze processuali e di ricostruzione della fattispecie operata dalla Corte territoriale insindacabili nell’ordinaria sede di legittimità, siccome di esclusiva spettanza del giudice del merito, che ha operato un accertamento in fatto, argomentato in modo pertinente e adeguato (Cass. 7 dicembre 2017, n. 29404; Cass. 6 marzo 2019, n. 6519; Cass. s.u. 27 dicembre 2019, n. 34476; Cass. 4 marzo 2021, n. 5987);

6. pertanto il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la regolazione delle spese secondo il regime di soccombenza e con raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 20 dicembre 2022, n. 37326
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: