Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 20 dicembre 2022, n. 37245
Lavoro, Insolvenza del datore di lavoro, Fondo di Garanzia INPS, Verbale di conciliazione esecutivo, Rigetto
Svolgimento del processo
Con sentenza del giorno 8 aprile 2016 n. 404, la Corte d’appello di Lecce respingeva l’appello dell’Inps avverso la sentenza del tribunale di Lecce che aveva accolto la domanda proposta da P.L. volta ad ottenere l’intervento del Fondo di Garanzia con riferimento alle ultime tre mensilità maturate alle dipendenze della ditta S. di A.R. & C. sas, dichiarata fallita in data 12 giugno 2007, domanda che era stata disattesa dall’Inps, perché tali retribuzioni non rientrava nel periodo di copertura del Fondo.
Il tribunale accoglieva la domanda della lavoratrice, ritenendo che l’istanza di conciliazione, ex art. 410 c.p.c., sfociata nel verbale di conciliazione reso esecutivo il 16 marzo 2004, potesse essere considerata iniziativa giudiziaria volta a far valere il credito in giudizio e che, quindi, fosse idonea a far decorrere il termine a ritroso dei dodici mesi nei quali devono ricadere le mensilità a carico del Fondo di Garanzia.
La Corte d’appello, da parte sua, nello spiegare le ragioni di rigetto del gravame dell’Inps, ha evidenziato come il Fondo di Garanzia (istituito presso l’Inps e dal medesimo gestito, ai sensi dell’art. 2 della legge n. 297 del 1982 e dell’art. 2 del d.lgs. n. 27 gennaio 1992 n. 80) si sostituisce al datore di lavoro inadempiente per insolvenza nel pagamento dei crediti di lavoro inerenti agli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro rientranti nei dodici mesi che precedono, per quanto d’interesse, l’atto d’iniziativa volta a far valere in giudizio il credito del lavoratore, fermo restando che tale garanzia non può essere concessa prima della decisione d’apertura della procedura concorsuale. Nello specifico, la Corte territoriale ha ritenuto che le mensilità richieste (da maggio a luglio 2002) rientravano nei dodici mesi precedenti la richiesta di tentativo di conciliazione, ex art. 410 c.p.c., sfociato nel verbale di conciliazione reso esecutivo il 16.3.2004, ritenendo la medesima Corte indubitabile che la richiesta del tentativo di conciliazione, peraltro obbligatorio ai fini della procedibilità della domanda giudiziaria, fosse da considerare a tutti gli effetti come prodromo necessario ed imprescindibile di un’iniziativa volta a far valere in giudizio il credito del lavoratore.
Avverso la sentenza della Corte d’appello, l’Istituto previdenziale ha proposto ricorso in cassazione, sulla base di un motivo illustrato da memoria, mentre la lavoratrice non ha spiegato difese scritte.
Il PG ha rassegnato conclusioni scritte, in termini di accoglimento del ricorso.
Motivi della decisione
Con il motivo di ricorso, l’Istituto ricorrente deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, dell’art. 2 primo comma del d.lgs. n. 80/92, con riferimento all’art. 410 c.p.c. (nel testo vigente ratione temporis), in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., perché erroneamente la Corte d’appello aveva ritenuto che gli ultimi tre mesi di retribuzione rientranti nei dodici mesi da computarsi a ritroso, indennizzabili dal Fondo di Garanzia gestito dall’Inps, potessero essere calcolati a far data dalla richiesta con cui la lavoratrice aveva attivato nei riguardi del proprio datore di lavoro il tentativo obbligatorio di conciliazione dinanzi alla DPL e ciò perché ad avviso dell’Istituto il tentativo obbligatorio di conciliazione non poteva considerarsi atto d’iniziativa giudiziale.
Il motivo è infondato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in caso di insolvenza del datore di lavoro, ai fini dell’obbligo di pagamento delle ultime tre mensilità di retribuzione da parte del Fondo gestito dall’Inps, l’arco temporale annuale entro cui collocare gli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro assume rilievo solo se l’iniziativa si colloca nell’ambito della verifica dei crediti disposta nel corso dell’accertamento dello stato passivo fallimentare ovvero se l’iniziativa del lavoratore trovi consacrazione in un titolo eseguibile nei confronti del datore di lavoro, mentre rimane irrilevante l’espletamento del tentativo obbligatorio di conciliazione, senza che sia rilevante indagarne la natura di atto amministrativo stragiudiziale o la sua obbligatorietà quale condizione di procedibilità, ex art. 412 bis c.p.c., perché le iniziative giudiziarie prima indicate, costituiscono una modalità necessaria per l’individuazione della misura dell’intervento solidaristico del Fondo, essendo l’ente previdenziale terzo rispetto al rapporto di lavoro intercorrente tra le parti (v. tra le altre, Cass. n. 16249/20, 1886/20).
Tale orientamento (che si riferiva ad una fattispecie in cui era mancato, per inattività del lavoratore successiva alla presentazione del tentativo di conciliazione obbligatorio, un qualsiasi accertamento giudiziale del credito di lavoro in ordine al quale si chiedeva la tutela previdenziale direttamente al Fondo, in mancanza anche di accertamento del credito in sede fallimentare) va nondimeno precisato nel senso che qualora il tentativo obbligatorio di conciliazione sfoci in un verbale di conciliazione reso esecutivo, quindi diventi titolo (ancorché di formazione stragiudiziale) azionabile nei confronti del datore di lavoro (come nella presente vicenda), allo stesso non potrà negarsi validità quale iniziativa utile (fin dal momento della richiesta del suo espletamento) per il calcolo a ritroso dei dodici mesi nell’ambito dei quali debbono collocarsi le tre mensilità che il Fondo è tenuto a riconoscere e corrispondere al lavoratore, in caso d’insolvenza del datore di lavoro.
Così come, al medesimo tentativo obbligatorio di conciliazione non potrà negarsi validità, nel caso conduca a un procedimento giudiziario che sfoci in una sentenza di condanna a carico del datore di lavoro (trattandosi ancor più in questo caso, di titolo – di formazione giudiziale – eseguibile nei confronti del datore di lavoro) ed anche in questo caso, fin dal momento della richiesta del suo espletamento, trattandosi di condizione di procedibilità, per la proposizione dell’azione giudiziaria.
Pertanto, solo se l’iniziativa del lavoratore non ha determinato il formarsi di un titolo esecutivo, l’atto con il quale tale iniziativa si è concretizzata non assume in sostanza rilevanza ai fini del computo dell’arco temporale di dodici mesi richiesti dal citato art. 2 d.lgs. n. 80 del 1992.
Tale conclusione, infatti, poggia sulla considerazione (vd. Cass. n. 15415 del 2009) secondo cui l’apposizione del periodo di riferimento, dodici mesi decorrenti a ritroso dalla data di inizio dell’esecuzione, ha lo scopo, non solo di indurre l’interessato ad agire sollecitamente, così agevolando la verifica del diritto alla tutela da parte del Fondo di garanzia obbligato, ma soprattutto ai fini del nesso tra retribuzioni non pagate ed insolvenza.
Infatti, secondo la pronuncia appena citata, la misura in esame costituisce l’attuazione della direttiva 80/987/CEE sulla tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro, ed < […] è diretta a garantire, non già il generico inadempimento da parte del datore dell’obbligazione retributiva, ma unicamente quello che deriva dalla insolvenza del datore: solo in questo caso si consente l’intervento del terzo, ossia dell’organismo di garanzia, che si sostituisce, nei limiti del massimale prefissato, al datore obbligato che risulta insolvente >.
In tale senso, è imprescindibile la determinazione di un nesso temporale tra credito lavorativo insoddisfatto e insolvenza, contemplando la disposizione di cui all’art. 2 cit. una presunzione ex lege per cui le retribuzioni si considerano non pagate a causa dello stato di insolvenza, quando siano collocate temporalmente nell’anno antecedente all’insolvenza medesima. Al contrario, ove il credito retributivo si collochi temporalmente in periodo remoto rispetto a quello della insolvenza, il Fondo di garanzia non ha titolo per intervenire, escludendosi che per i diritti insorti in epoca anteriore al periodo di riferimento annuale prefissato, l’inadempimento sia dovuto all’insolvenza.
Il dies a quo da computare a ritroso non riguarda la data in cui la insolvenza viene accertata (tramite la verifica dell’esisto infruttuoso dell’azione esecutiva individuale, ovvero, nei casi di fallimento, tramite l’apertura del procedimento medesimo) ma la data, più prossima, in cui viene proposta la domanda (cfr. Cass. n. 1885/2005, che richiama la giurisprudenza della Corte di giustizia).
La ratio è che non devono andare a detrimento del lavoratore i tempi lunghi del procedimento concorsuale o di quello esecutivo individuale; tuttavia, attraverso questo meccanismo, il credito retributivo non pagato può collocarsi, temporalmente, in un momento addirittura anteriore all’anno rispetto al momento in cui si constata la effettiva esistenza dell’insolvenza.
Fatte queste precisazioni, va osservato che le conclusioni cui è giunta Cass. n. 16249 del 2020 sopra indicata non possono estendersi alla presente fattispecie, la quale riguarda il diverso caso in cui l’iniziativa del lavoratore ha condotto alla consacrazione di un titolo esecutivo, sebbene stragiudiziale, quale il verbale di conciliazione reso esecutivo, ma utilmente eseguibile nei confronti del datore di lavoro.
Alla luce delle esposte considerazioni, poiché nella presente vicenda il tentativo obbligatorio di conciliazione era stato reso esecutivo il 16.3.2004 ma la richiesta del suo espletamento è del 15.1.2003 (cfr. p. 6 del ricorso dell’Inps), le ultime tre mensilità oggetto della richiesta del lavoratore (maggio – luglio 2002) vanno senz’altro ricomprese nell’arco temporale nel quale il Fondo gestito dall’Inps può intervenire a tutela del lavoratore stesso.
Il ricorso va, quindi, respinto, mentre la necessità del presente intervento nomofilattico, giustifica la compensazione delle spese.
Sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’importo pari al doppio del contributo unificato, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Spese dell’intero processo compensate.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso articolo 13.