Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 20 dicembre 2022, n. 37246
Lavoro, TFR, Insolvenza del datore, Intervento del Fondo di Garanzia INPS, Soci lavoratori delle società cooperative, Legge n. 196/1997, Rigetto
Fatti di causa
1.- Il Tribunale di Napoli, con sentenza n. 14214 del 21 giugno 2013, ha condannato l’INPS a corrispondere al signor S.G. il trattamento di fine rapporto (TFR), per l’ammontare di Euro 9.665,11, oltre accessori, e ha respinto la richiesta di pagamento delle ultime tre mensilità di retribuzione. Il Tribunale ha compensato per un terzo le spese di lite.
2.- La pronuncia è stata impugnata dall’INPS, che ha lamentato l’erronea valutazione degli elementi di fatto e, in particolare, la carenza di prova del versamento dei contributi al Fondo di garanzia per il periodo anteriore al 1997.
Con sentenza pronunciata il 28 maggio 2018 e pubblicata il 14 giugno 2018 con il numero 3651 del 2018, la Corte d’appello di Napoli ha accolto il gravame e, per l’effetto, ha respinto la domanda proposta dal lavoratore. Le spese di entrambi i gradi di giudizio sono state compensate.
A fondamento della decisione, la Corte territoriale ha così argomentato:
a) in virtù dell’art. 24 della legge 24 giugno 1997, n. 196, anche i soci lavoratori delle società cooperative, a prescindere dalla sussistenza d’un rapporto di lavoro subordinato, possono beneficiare dell’intervento del Fondo di garanzia nell’ipotesi d’insolvenza del datore di lavoro;
b) la nuova disciplina ha portata retroattiva, a condizione che, per il periodo antecedente all’entrata in vigore della legge n. 196 del 1997, siano stati versati i contributi: la prova del versamento dev’essere offerta da chi reclama le prestazioni del Fondo di garanzia;
c) dalla documentazione acquisita d’ufficio ai sensi dell’art. 421 cod. proc. civ. e attendibile nelle sue risultanze, emerge che, per il periodo antecedente al luglio 1997, non sono stati versati i contributi volontari al Fondo di garanzia;
d) non può trovare applicazione il principio di automaticità delle prestazioni, che concerne la diversa ipotesi della contribuzione obbligatoria: prima dell’entrata in vigore della legge n. 196 del 1997, la contribuzione delle cooperative al Fondo di garanzia gestito dall’INPS aveva carattere meramente volontario;
e) la complessità del quadro normativo induce a ravvisare i presupposti della compensazione integrale delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
3.- S.G. impugna per cassazione la sentenza della Corte d’appello di Napoli, con ricorso notificato mediante PEC il 12 dicembre 2012 e affidato a due motivi.
4.- L’INPS resiste con controricorso.
5.- Fissata alla pubblica udienza del 27 settembre 2022, la causa è stata trattata in camera di consiglio, senza l’intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti: nessuno degl’interessati ha formulato istanza di discussione orale (art. 23, comma 8-bis, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, inserito dalla legge di conversione 18 dicembre 2020, n. 176, e prorogato fino al 31 dicembre 2022 dall’art. 16, comma 1, del decreto-legge 30 dicembre 2021, n. 228, convertito, con modificazioni, nella legge 25 febbraio 2022, n. 15).
5.1.- Il Pubblico Ministero ha chiesto di rigettare il ricorso.
5.2.- In prossimità dell’udienza, l’INPS ha depositato memoria illustrativa, per insistere nell’accoglimento delle conclusioni rassegnate.
Ragioni della decisione
1.- Il ricorso si articola in due motivi.
1.1.- Con il primo mezzo (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), il signor S.G. denuncia l’erronea interpretazione e la falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 cod. civ.
La sentenza impugnata avrebbe errato nel far gravare sul lavoratore l’onere di dimostrare il versamento dei contributi al Fondo di garanzia. Per il lavoratore, estraneo al rapporto contributivo che intercorre tra il datore di lavoro e l’INPS, sarebbe impossibile o comunque oltremodo gravoso assolvere a un siffatto onere probatorio. Spetterebbe invece all’INPS, in quanto unico beneficiario dei versamenti contributivi e in possesso della relativa documentazione, offrire la prova dell’omissione contributiva che ha eccepito.
1.2.- Con la seconda doglianza (art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.), il ricorrente deduce l’omessa valutazione delle argomentazioni difensive in ordine alla palese erroneità della trattenuta, in quanto sproporzionata.
La Corte territoriale avrebbe dovuto ordinare all’INPS la produzione dei documenti contabili che l’Istituto ha valutato ai fini del computo della trattenuta. Sulle deduzioni difensive in ordine a tali profili, l’INPS non avrebbe svolto contestazioni di sorta e la Corte di merito avrebbe omesso di pronunciarsi.
2.- Il primo motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.
3.- Il presente giudizio concerne le prestazioni che il Fondo di garanzia gestito dall’INPS è tenuto a erogare ai soci lavoratori delle cooperative, prima dell’entrata in vigore dell’art. 24 della legge n. 196 del 1997.
3.1.- La previsione richiamata persegue l’obiettivo di equiparare i soci delle cooperative di lavoro ai lavoratori subordinati, con riguardo all’assicurazione obbligatoria per la disoccupazione involontaria, alle indennità di mobilità e alla tutela previdenziale dei crediti di lavoro e per trattamento di fine rapporto. L’estensione prescinde dal tipo di prestazione lavorativa e non postula alcun riscontro in ordine alla conformità alle previsioni del patto sociale e alla sussistenza degli estremi della subordinazione (Cass., sez. lav., 13 gennaio 2000, n. 304; nello stesso senso, Cass., sez. lav., 10 maggio 2016, n. 9479, punto 3).
Le tutele introdotte dalla legge n. 196 del 1997 operano anche per il passato, come si evince dal dettato letterale della nuova disciplina (art. 24, comma 1), applicabile anche ai giudizi pendenti (Cass., sez. lav., 24 luglio 2000, n. 9712; Cass., sez. lav., 21 marzo 2001, n. 4071).
Il legislatore ha specificato, difatti, che i contributi previdenziali versati dalle società cooperative di lavoro in favore dei propri soci lavoratori, nel periodo anteriore alla data di entrata in vigore della legge n. 196 del 1997, restano salvi e conservano la loro efficacia ai fini delle prestazioni di cui all’art. 2 della legge n. 297 del 1982 e agli artt. 1 e 2 del decreto legislativo 27 gennaio 1992 n. 80.
Pertanto, nei casi d’insolvenza del datore di lavoro, il Fondo di garanzia gestito dall’INPS eroga il TFR, anche quando i fatti costitutivi del credito si siano verificati prima della data di entrata in vigore della legge n. 196 del 1997 (Cass., sez. lav., 13 giugno 2000, n. 8069).
3.2.- A tale riguardo, questa Corte, con orientamento ribadito a più a riprese (Cass., sez. lav., 30 settembre 2013, n. 22329, punto 5; di recente, Cass., sez. lav., 16 gennaio 2017, n. 862, punto 3) e richiamato anche nelle conclusioni motivate del Pubblico Ministero (pagina 3), ha puntualizzato che l’estensione retroattiva dell’intervento del Fondo di garanzia a favore dei soci lavoratori di cooperative in situazione d’insolvenza presuppone il pagamento dei contributi previdenziali per il periodo precedente all’entrata in vigore delle disposizioni in esame.
L’obbligo del Fondo di garanzia di corrispondere ai soci lavoratori, nell’ipotesi d’insolvenza della cooperativa, le quote del trattamento di fine rapporto relative al periodo antecedente all’entrata in vigore della legge n. 196 del 1997 «deriva dai versamenti dei contributi effettuati al Fondo prima della legge»: quando le cooperative non abbiano versato i contributi prima dell’entrata in vigore della legge, non si può usufruire della copertura del Fondo per il periodo pregresso (Cass., sez. lav., 10 novembre 2003, n. 16848).
In tal senso militano il dato letterale della norma transitoria, che riconosce rilevanza all’assicurazione volontariamente e irretrattabilmente istituita dalle cooperative, e la finalità dell’intervento normativo, che salvaguarda la garanzia del credito per TFR nei limiti in cui sia stato reso operativo in favore dei soci dall’autonomia contrattuale, in virtù di conforme previsione statutaria o assembleare o di comportamenti concludenti, come il versamento della contribuzione (Cass., sez. lav., 11 giugno 2010, n. 14076).
3.3.- Quanto alla distribuzione dell’onere della prova, questa Corte, con orientamento menzionato anche dalla parte controricorrente nella memoria illustrativa, è costante nell’affermare che incombe sul creditore la prova dei fatti costitutivi della pretesa previdenziale.
A tali fatti costitutivi dev’essere ricondotto anche il pagamento dei contributi previdenziali per il periodo antecedente all’entrata in vigore della legge n. 196 del 1997 (Cass., sez. VI-L, 10 dicembre 2021, n. 39328, punti 3.1. e 4).
Né si può invocare il principio di vicinanza della prova per alterare la regola che presiede alla ripartizione degli oneri probatori.
Tale principio non può valere a derogare alla regola di cui all’art. 2697 cod.civ., che impone all’attore di provare i fatti costitutivi del proprio diritto e al convenuto la prova dei fatti estintivi, impeditivi o modificativi del diritto vantato dalla controparte. Il principio in parola opera allorché le disposizioni che attribuiscono le situazioni attive non offrono indicazioni univoche per distinguere le due categorie di fatti.
In tali ipotesi problematiche, che non si ravvisano nell’odierno giudizio, il principio di vicinanza della prova assurge a criterio ermeneutico che conduce a identificare i fatti costitutivi in quelli più vicini all’attore e dunque nella sua disponibilità e gli altri in quelli meno prossimi e quindi più facilmente dimostrabili dal convenuto (Cass., sez. III, 22 aprile 2022, n. 12910).
Come questa Corte ha affermato in un contenzioso analogo a quello odierno, l’interessato dispone della possibilità, «secondo le regole di diritto di accesso agli atti della P.A. o eventualmente, sulla base degli strumenti processuali a tal fine predisposti dall’ordinamento, di acquisire la documentazione necessaria a suffragare le proprie ragioni (Cass. 24 giugno 2020, n. 12490)» (Cass., sez. VI-L, 9 dicembre 2021, n. 39158, punto 3.2.).
4.- La pronuncia impugnata, nel porre a carico del lavoratore l’onere di provare il pagamento dei contributi (pagina 3), è conforme ai principi di diritto richiamati e non incorre negli errores in iudicando denunciati con il primo mezzo, sul presupposto che l’onere della prova gravi sull’INPS (pagina 6 del ricorso) e che sia impossibile, per il lavoratore, ottemperare a un onere siffatto (pagina 10 del ricorso).
Il motivo è, sotto questo profilo, infondato.
5.- Il motivo è, inoltre, inammissibile.
5.1.- La violazione dell’art. 2697 cod. civ. può essere censurata in Cassazione soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne sarebbe gravata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie, basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni (fra le molte, Cass., sez. lav., 10 ottobre 2022, n. 29397).
Nel caso di specie, la ripartizione degli oneri probatori è stata correttamente applicata.
Quanto alla violazione o falsa applicazione dell’art. 2729 cod.civ., può essere ritualmente denunciata in Cassazione, solo quando il giudice di merito affermi che il ragionamento presuntivo si può basare su presunzioni che non siano gravi, precise e concordanti ovvero fondi la presunzione su un fatto storico privo di gravità o precisione o concordanza ai fini dell’inferenza della conseguenza ignota dal fatto noto.
Elementi che, nel caso di specie, neppure sono stati allegati.
È inammissibile la critica che si risolva nella diversa ricostruzione delle circostanze fattuali o nella mera prospettazione di una inferenza probabilistica diversa da quella applicata dal giudice di merito e trascuri di spiegare i motivi della violazione dei paradigmi della norma (Cass., sez. II, 21 marzo 2022, n. 9054).
5.2.- Sotto lo schermo della violazione degli artt. 2697 e 2729 cod.civ., il motivo si sostanzia in una critica all’apprezzamento dei fatti che la Corte territoriale ha compiuto con motivazione esaustiva e immune da errori logici e giuridici, sulla scorta di un’accurata disamina della documentazione acquisita e dell’attendibilità delle sue risultanze (pagina 4).
La censura, nei termini in cui è prospettata, ambisce a una diversa e più appagante valutazione delle risultanze istruttorie e si rivela, pertanto, inammissibile, per le ragioni eccepite dalla difesa dell’Istituto (pagina 7 del controricorso).
6.- La seconda censura, infine, è inammissibile.
6.1.- Il ricorrente imputa alla Corte territoriale di avere «omesso di valutare e di decidere sull’argomentazione difensiva riportata dall’appellato al par. 3, pag. 14 della propria memoria di costituzione, relativo alla “Palese erroneità della trattenuta”».
6.2.- Il ricorso per cassazione, in quanto ha ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360, primo comma, cod.proc.civ., dev’essere articolato in motivi specifici.
Per quanto non siano richieste né l’adozione di formule sacramentali né l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi, i motivi devono essere riconducibili in maniera immediata e inequivocabile a una delle cinque ragioni d’impugnazione stabilite dal codice di rito (Cass., S.U., 24 luglio 2013, n. 17931).
Tale condizione non risulta soddisfatta nel caso di specie, come questa Corte ha rilevato in una controversia in larga parte sovrapponibile a quella odierna, con riguardo a un motivo di analogo tenore, rubricato “Omessa valutazione e decisione sull’argomentazione di palese erroneità della trattenuta, in quanto sproporzionata” (Cass., sez. VI-L, 9 giugno 2021, n. 16091, punto 6).
Dalle argomentazioni svolte a sostegno del motivo di ricorso, che tendono complessivamente a una rivalutazione degli elementi probatori, e dalla rubrica “Motivi di ricorso in sintesi” (pagina 1), che enuncia promiscuamente i motivi di cui al n. 3 e al n. 5 dell’art. 360, primo comma, cod.proc.civ., non si può desumere se sia dedotta – e in quali termini – una violazione di legge o se il ricorrente censuri il mancato esame di un fatto decisivo, inteso come un fatto storico, principale o secondario, come un preciso accadimento o come una precisa circostanza in senso storico – naturalistico.
Il ricorrente, nell’adombrare l’omessa valutazione di una “argomentazione difensiva” (pagina 1 del ricorso), neppure ha enucleato l’omesso esame secondo i caratteri definiti dal novellato art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. e poi precisati da questa Corte (Cass., S.U., 7 aprile 2014, n. 8053 e n. 8054), che esclude a tale riguardo la rilevanza dell’omessa valutazione di mere deduzioni difensive (Cass., sez. I, 18 ottobre 2018, n. 26305) o della contestazione volta a criticare il convincimento che il giudice di merito abbia maturato in esito all’esame del materiale probatorio e alla valutazione della maggiore o minore attendibilità delle fonti di prova (Cass., sez. III, 1° giugno 2021, n. 15276).
Peraltro, gli argomenti che corredano il motivo di ricorso non infirmano la ratio decidendi della pronuncia impugnata, che s’incentra sulla mancata dimostrazione del versamento dei contributi per il periodo antecedente all’entrata in vigore dell’art. 24 della legge n. 196 del 1997.
7.- Il ricorso, pertanto, dev’essere rigettato, in applicazione del seguente principio di diritto: «I contributi previdenziali versati da società cooperative di lavoro in favore dei propri soci lavoratori, nel periodo anteriore alla data di entrata in vigore della legge 24 giugno 1997, n. 196, restano salvi e conservano la loro efficacia ai fini delle prestazioni di cui all’art. 2 della legge 29 maggio 1982, n. 297 e agli artt. 1 e 2 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 80, riguardanti l’erogazione del TFR a carico del Fondo di garanzia gestito dall’INPS nei casi di insolvenza del datore di lavoro, anche quando i fatti costitutivi dei crediti si siano verificati anteriormente alla data suddetta. L’estensione retroattiva dell’intervento del citato Fondo di garanzia presuppone che siano stati pagati i contributi previdenziali per il periodo precedente all’entrata in vigore della disposizione. Di tale presupposto deve offrire la prova chi rivendichi il diritto alle prestazioni del Fondo di garanzia».
8.- Il ricorrente dev’essere condannato alle spese (art. 385, primo comma, cod. proc. civ.), liquidate nella misura indicata in dispositivo.
9.- A norma dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228), il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si deve dare atto con la presente sentenza (Cass., S.U., 27 novembre 2015, n. 24245), per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per l’impugnazione, ove sia dovuto (Cass., S.U., 20 febbraio 2020, n. 4315).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente a rifondere alla parte controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, in Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso delle spese generali e agli accessori di legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dell’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, ove dovuto.