Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 27 dicembre 2022, n. 37789
Lavoro, Società in liquidazione, Affitto di ramo d’azienda, Debiti maturati per ferie, permessi e TFR, Intervento del Fondo di Garanzia INPS, Accertamento dell’esistenza e della misura del credito relativo al TFR in sede di ammissione al passivo, Insolvenza di chi sia datore di lavoro al momento della cessazione del rapporto di lavoro, Prosecuzione del rapporto di lavoro con la società cessionaria, senza alcuna soluzione di continuità, prima del fallimento della società cedente, Accoglimento
Fatti di causa
1.- Il presente giudizio trae origine da una vicenda che si può così delineare, alla luce della sentenza impugnata e delle convergenti allegazioni delle parti.
Il 21 ottobre 2011 la O.C. s.r.l. in liquidazione, originariamente denominata O.I. s.p.a., ha affittato il ramo d’azienda posto in Solaro, via (…), a S. s.r.I., società che si è poi trasformata in P.I. s.r.l.
Con sentenza del 12 luglio 2012, la O.C. s.r.l. è stata dichiarata fallita.
Dopo la dichiarazione di fallimento, P.I. s.r.l. ha acquistato il menzionato ramo d’azienda a un’asta giudiziale.
Il 19 luglio 2013, è stato concluso un accordo (art. 47 della legge 29 dicembre 1990, n. 428), che ha escluso la responsabilità della cessionaria P.I. s.r.l. per i debiti maturati fino al 31 ottobre 2011 a titolo di ferie, permessi e trattamento di fine rapporto (TFR).
2.- I signori G.B., R.C., L.C., G.C., G.I., A.M. e V.S.Z. hanno ottenuto l’ammissione al passivo del fallimento della O.C. s.r.l. in liquidazione per i crediti relativi al TFR maturato all’atto della cessione dell’azienda, con riguardo al lavoro prestato alle dipendenze della società fallita.
I lavoratori hanno poi chiesto l’intervento del Fondo di garanzia istituito presso l’INPS, che ha respinto l’istanza, evidenziando che i rapporti di lavoro erano continuati con la società cessionaria prima del fallimento della società cedente.
Dopo il diniego dell’INPS, i lavoratori si sono rivolti dapprima al Tribunale di Milano, che si è dichiarato incompetente a favore del Tribunale di Monza, e quindi a quest’ultimo Tribunale, al fine di ottenere il TFR negato dal Fondo.
A sostegno della pretesa, i ricorrenti hanno dedotto:
a) l’accordo del 19 luglio 2013, che deroga all’art. 2112 cod. civ. e fa gravare sul solo fallimento della società cedente la responsabilità per i debiti relativi al TFR;
b) la vincolatività dello stato passivo nei confronti dell’INPS, che non l’ha impugnato ritualmente.
Il Tribunale ha rigettato la domanda, in quanto:
a) l’art. 2 della legge 29 maggio 1982, n. 297, non è applicabile quando il rapporto di lavoro sia proseguito senza soluzione di continuità con la società cessionaria, prima del fallimento della cedente;
b) l’accordo del 19 luglio 2013 non può dispiegare i suoi effetti per il passato e non è opponibile né all’INPS né al Fondo di garanzia, in quanto estranei a tale accordo.
3.- La Corte d’appello di Milano, con sentenza pubblicata il 29 giugno 2017 con il numero 1220, ha accolto il gravame proposto dai lavoratori e ha condannato l’INPS a rifondere le spese del grado.
La Corte di merito ha osservato che, in forza dell’accordo del 19 luglio 2013, il fallimento della società O.C. s.r.l. in liquidazione è tenuto a soddisfare i crediti maturati sino al 31 ottobre 2011, già ammessi al passivo fallimentare con accertamento definitivo, vincolante anche per l’INPS (Cass., sez. lav., 4 dicembre 2015, n. 24730).
Gli appellanti, pertanto, hanno il diritto di esigere dall’INPS (Gestione Fondo di Garanzia) il pagamento dei seguenti importi a titolo di TFR: Euro 7.064,82, a favore di G.B.; Euro 14.336,61 a R.C.; Euro 8.168,19, a favore di L.C.; Euro 11.388,50, a favore di G.C.; Euro 34.208,09 per G.I.; Euro 4.944,27, per A.M. e, infine, Euro 46.621,33 per V.S.Z..
4.- L’INPS impugna per cassazione la sentenza d’appello, con ricorso notificato il 20 dicembre 2017 e affidato due motivi, illustrati da memoria.
5.- G.B., R.C., L.C., G.C., G.I., A.M. e V.S.Z. resistono con controricorso, illustrato da memoria.
6.- La causa, fissata alla pubblica udienza del 27 settembre 2022 (art. 375, secondo comma, cod. proc. civ.), è stata trattata in camera di consiglio, senza l’intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, in quanto nessuno degl’interessati ha formulato istanza di discussione orale (art. 23, comma 8-bis, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, inserito dalla legge di conversione 18 dicembre 2020, n. 176, e prorogato fino al 31 dicembre 2022 dall’art. 16, comma 1, del decreto-legge 30 dicembre 2021, n. 228, convertito, con modificazioni, nella legge 25 febbraio 2022, n. 15).
7.- Il Pubblico Ministero, nel chiedere il rigetto del ricorso, ha evidenziato che l’accertamento del credito per TFR, contenuto in uno stato passivo oramai definitivo, vincola anche l’INPS, sotto il profilo sia dell’an debeatur che del quantum debeatur del credito ammesso (sentenza n. 24730 del 2015, cit., e Cass., sez. lav., 13 novembre 2014, n. 24231).
Ragioni della decisione
1.- L’INPS articola due motivi di ricorso.
1.1.- Con il primo mezzo (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), l’Istituto deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 47 della legge n. 428 del 1990 e dell’art. 1372 cod. civ.
La sentenza impugnata avrebbe errato nel reputare efficace nei confronti dell’INPS l’accordo intervenuto il 19 luglio 2013, dopo l’affitto d’azienda del 21 ottobre 2011, prodromico al definitivo trasferimento all’asta giudiziale.
L’INPS non avrebbe partecipato all’accordo citato, che dunque non potrebbe essergli opposto, in quanto res inter alios acta (art. 1372 cod. civ.).
Né tale accordo potrebbe retroattivamente modificare, escludendo la solidarietà, le condizioni di un trasferimento d’azienda che si sarebbe già perfezionato in forza del contratto d’affitto del 21 ottobre 2011.
L’intervento solidaristico dell’INPS, che presenta pur sempre carattere sussidiario, non potrebbe essere invocato per addossare alla collettività – con un sostegno assimilabile a un aiuto di Stato – un rischio d’impresa che dovrebbe far carico, invece, alla società cessionaria.
1.2.- Con la seconda censura (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), il ricorrente denuncia violazione dell’art. 2, commi 1, 2, 4, 5, 7 e 8, della legge n. 297 del 1982, in riferimento agli artt. 1203, n. 3 e n. 5, 1298, primo comma, e 2112 cod. civ.
Il ricorrente imputa al giudice d’appello di avere erroneamente riconosciuto il diritto dei lavoratori di percepire anche la quota di TFR maturata per lo svolgimento di attività lavorativa in favore della società cedente, poi fallita.
Ad avviso del ricorrente, l’ammissione allo stato passivo del credito del lavoratore, vincolante anche per l’INPS, non ne implica l’automatico «subentro» nel debito del datore di lavoro insolvente. Il debito dell’INPS, difatti, ha ad oggetto una prestazione previdenziale, distinta e autonoma rispetto alla prestazione retributiva del datore di lavoro. L’accertamento vincolante dell’esistenza e dell’entità del credito nell’ambito della procedura concorsuale rappresenterebbe una condizione necessaria, ma non sufficiente, per l’intervento del Fondo di garanzia.
Il ricorrente soggiunge che l’obbligo dell’INPS di sostituirsi al datore di lavoro insolvente sorgerebbe soltanto al momento della cessazione del rapporto di lavoro e solo a partire da tale momento sarebbe esigibile il credito per TFR.
2.- I motivi, seppure sotto diversi profili, investono il tema della possibilità dell’INPS di contestare i presupposti di intervento del Fondo di garanzia, anche quando sia definitivo lo stato passivo che ha accertato il credito dei lavoratori per TFR.
Le censure, pertanto, possono essere esaminate congiuntamente e si rivelano fondate, nei termini di seguito esposti.
3.- Con riguardo alle vicende connesse con la circolazione dell’azienda, questa Corte, con la sentenza del 19 luglio 2018, n. 19277, ha puntualizzato l’orientamento richiamato nelle conclusioni motivate del Pubblico Ministero e nelle difese dei controricorrenti e ha enucleato i seguenti principi, che sono stati confermati a più riprese (Cass., sez. lav., 21 gennaio 2022, n. 1861, e 23 febbraio 2021, n. 4897; Cass., sez. VI-L, 28 novembre 2019, n. 31128) e devono essere anche in questa sede ribaditi.
4.- Il diritto del lavoratore di ottenere la corresponsione del TFR dallo speciale Fondo di cui all’art. 2 della legge n. 297 del 1982 si configura come il diritto di credito a una prestazione previdenziale, distinto e autonomo rispetto al credito retributivo vantato nei confronti del datore di lavoro e rimasto insoddisfatto (di recente, anche Cass., sez. lav., 2 febbraio 2022, n. 3165).
Il diritto in esame si perfeziona, pertanto, al verificarsi dei presupposti di legge, che si correlano all’insolvenza del datore di lavoro, all’accertamento dell’esistenza e della misura del credito in sede di ammissione al passivo, ovvero all’esito di procedura esecutiva.
La definitività dello stato passivo, che consacra il credito del lavoratore, impedisce all’INPS di «opporre eccezioni derivanti da ragioni interne al rapporto di lavoro che mirino a contestare esistenza ed entità dei crediti in ragione del concreto atteggiarsi delle situazioni giuridiche soggettive del lavoratore e del datore di lavoro» (sentenza n. 19277 del 2018, punto 18).
Nondimeno, tale definitività non preclude all’INPS di contestare i presupposti d’intervento del Fondo e gli elementi costitutivi della propria obbligazione previdenziale, autonoma rispetto a quella del datore di lavoro, oramai accertata in maniera incontrovertibile.
Questa Corte ha chiarito che le risultanze dello stato passivo non sono opponibili all’INPS «in ordine agli elementi soggettivi e oggettivi al cui ricorrere scatti l’obbligo di tutela assicurativa interni alla stessa autonoma fattispecie previdenziale» (Cass., sez. VI-L, 6 dicembre 2021, n. 38696, punto 2).
L’obbligo d’intervento del Fondo di garanzia dev’essere assoggettato alla verifica giudiziale, anche al fine di salvaguardare la compatibilità del sistema congegnato dal legislatore con l’art. 24 Cost. (sentenza n. 19277 del 2018, cit., punto 36).
Erra, pertanto, la sentenza impugnata nell’annettere un’efficacia dirimente e assoluta alla vincolatività dello stato passivo e colgono nel segno le censure mosse con il secondo mezzo, che qualifica l’ammissione al passivo come condizione necessaria, ma non sufficiente per il subentro del Fondo.
5.- I presupposti dell’intervento del Fondo, che il giudice è chiamato a riscontrare senza essere vincolato dalle risultanze dello stato passivo, sono definiti dall’art. 2 della legge n. 297 del 1982, che a sua volta richiama l’art. 2120 cod. civ.
È necessario «che: a) sia venuto ad esistenza l’obbligo di pagamento del TFR fissato dall’art. 2120 cod. civ. in capo al datore di lavoro; b) egli, in tale momento, si trovi in stato di insolvenza» (sentenza n. 19277 del 2018, cit., punto 22).
Quanto a tale ultimo requisito, il Fondo di garanzia interviene allorché «l’insolvenza riguardi il soggetto titolare in atto del rapporti di lavoro, il datore di lavoro cioè che è tale al momento in cui avviene la risoluzione del rapporto di lavoro» (sentenza n. 19277 del 2018, cit., punto 24).
Il Fondo di garanzia, proprio in virtù della funzione esclusivamente assicurativa e previdenziale che svolge, protegge i lavoratori dal rischio dell’insolvenza di colui che è il datore di lavoro, quando il credito per TFR diviene esigibile (sentenza n. 4897 del 2021, cit., punto 12; nello stesso senso, sentenza n. 1861 del 2022, cit., punto 5.2.).
Non sussistono i presupposti d’intervento del Fondo quando, in seguito alla circolazione dell’azienda, manchi «la relazione causale e temporale tra inadempimento datoriale ed insolvenza dichiarata con procedura concorsuale che costituisce l’ambito applicativo fisiologico dell’intervento del Fondo di garanzia legato allo scopo sociale della normativa Europea» (sentenza n. 19277 del 2018, cit., punto 31).
Con riguardo a tali fattispecie, si deve ribadire che «il credito del lavoratore non è più relativo al periodo “determinato” che connota lo scopo sociale dell’obbligo di copertura assicurativa, ma viene agganciato, senza limiti temporali e prescindendo dalla attuale individuazione dei soggetti del rapporto di lavoro, ad uno degli ex datori di lavoro, interessati dalle vicende circolatorie pregresse, che viene dichiarato fallito in epoca in cui il rapporto di lavoro non è più in essere nei confronti del lavoratore istante perché proseguito con altro soggetto» (sentenza n. 19277 del 2018, cit., punto 32).
L’estensione – anche alle vicende in esame – della protezione accordata dall’art. 2 della legge n. 297 del 1982 non sarebbe coerente né con il dato testuale né con la «funzione di tutela del bisogno socialmente rilevante indicato dalla direttiva 987/80 e successive modificazioni» (il già citato punto 32 della sentenza n. 19277 del 2018).
A voler assecondare una lettura estensiva, si distoglierebbe il Fondo, finanziato dai contributi dei datori di lavoro e dallo Stato, dalla sua funzione primaria, in contrasto con l’art. 2, comma 8, della legge n. 297 del 1982, che vieta d’impiegare le disponibilità del Fondo «al di fuori della finalità istituzionale del fondo stesso».
Sono dunque fondati, a tale riguardo, i rilievi formulati con il primo mezzo, che pone in risalto i presupposti rigorosi dell’intervento del Fondo di garanzia, ancorato all’insolvenza di chi sia datore di lavoro al momento della cessazione del rapporto di lavoro, e la peculiarità della fattispecie in esame, contraddistinta dalla prosecuzione del rapporto di lavoro con la società cessionaria – senza alcuna soluzione di continuità – prima del fallimento della società cedente.
6.- Si deve poi rilevare che, in virtù dell’art. 2120 cod. civ., il diritto al trattamento di fine rapporto matura progressivamente in ragione dell’accantonamento annuale, ma il relativo credito è esigibile solo al momento della cessazione del rapporto di lavoro (Cass., sez. I, 27 febbraio 2020, n. 5376). Prima di tale momento, non comincia a decorrere neppure la prescrizione (Cass., sez. lav., 6 febbraio 2018, n. 2827).
È dunque necessaria la risoluzione del rapporto di lavoro ed «è la stessa fattispecie di cui della legge n. 297 del 1982, art. 2, che include la risoluzione del rapporto, espressamente, fra i presupposti di applicazione della tutela» (sentenza n. 19277 del 2018, cit., punto 22 e, amplius, punto 23).
7.- Non si possono desumere elementi di segno contrario dalle circolari dell’INPS, menzionate nel controricorso (pagina 11) e tuttavia sprovviste di valore interpretativo cogente (Cass., sez. lav., 10 dicembre 2021, n. 39398, punto 8), o dalle decisioni di diverso tenore assunte dall’INPS di Varese e di Monza per altri lavoratori passati alle dipendenze di P.I. s.r.l. (pagina 12 del controricorso e pagina 5 della memoria illustrativa).
8.- Non rileva, in senso contrario, neppure l’accordo del 19 luglio 2013, concluso ai sensi dell’art. 47, comma 5, della legge n. 428 del 1990.
Tale normativa, nella formulazione applicabile ratione temporis, così disponeva, con riguardo al trasferimento d’azienda in cui fossero complessivamente occupati più di quindici lavoratori: «Qualora il trasferimento riguardi imprese nei confronti delle quali vi sia stata dichiarazione di fallimento, omologazione di concordato preventivo consistente nella cessione dei beni, emanazione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa ovvero di sottoposizione all’amministrazione straordinaria, nel caso in cui la continuazione dell’attività non sia stata disposta o sia cessata e nel corso della consultazione di cui ai precedenti commi sia stato raggiunto un accordo circa il mantenimento anche parziale dell’occupazione, ai lavoratori il cui rapporto di lavoro continua con l’acquirente non trova applicazione l’articolo 2112 del codice civile, salvo che dall’accordo risultino condizioni di miglior favore. Il predetto accordo può altresì prevedere che il trasferimento non riguardi il personale eccedentario e che quest’ultimo continui a rimanere, in tutto o in parte, alle dipendenze dell’alienante».
L’accordo, valorizzato dalla sentenza impugnata e dai controricorrenti, è res inter alios acta, come argomenta il ricorrente a sostegno del primo mezzo. Sprovvisto di effetto vincolante verso l’INPS, che gestisce il Fondo di garanzia, l’accordo non potrebbe comunque alterare la disciplina eminentemente pubblicistica che presiede all’intervento del Fondo.
Riveste poi rilievo decisivo il fatto che l’accordo in questione, nel far gravare sul fallimento della società cedente i debiti concernenti il TFR maturato fino al 31 ottobre 2011, non determini l’immediata esigibilità del credito a titolo di TFR.
Esigibilità che rappresenta il presupposto indefettibile per il subentro del Fondo di garanzia, secondo i principi generali enunciati dall’art. 2120 cod. civ., e che consegue soltanto alla cessazione definitiva del rapporto di lavoro.
Tale presupposto, nel caso di specie, non si ravvisa.
9.- A favore di una diversa conclusione non militano le innovazioni recate dal decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14 (Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza in attuazione della legge 19 ottobre 2017, n. 155) e poste in risalto nella memoria illustrativa dei controricorrenti.
9.1.- Questa Corte ha affermato che il codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, in linea generale, non è applicabile alle procedure aperte prima della sua entrata in vigore. Le norme del d.lgs. n. 14 del 2019 possono rappresentare, tuttavia, un utile criterio interpretativo degl’istituti della legge fallimentare solo quando, nello specifico segmento considerato, si riscontri un ambito di continuità tra il regime vigente e quello futuro (Cass., S.U., 25 marzo 2021, n. 8504).
9.2.- Nel caso di specie, dev’essere esclusa tale continuità, indispensabile per evincere elementi interpretativi anche in chiave retrospettiva.
Nel testo novellato dall’art. 368, comma 4, lettera c), del d.lgs. n. 14 del 2019, l’art. 47, comma 5, primo periodo, della legge n. 428 del 1990 oggi stabilisce che, qualora il trasferimento d’azienda «riguardi imprese nei confronti delle quali vi sia stata apertura della liquidazione giudiziale o di concordato preventivo liquidatorio, ovvero emanazione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa, nel caso in cui la continuazione dell’attività non sia stata disposta o sia cessata», i rapporti di lavoro continuino con il cessionario.
Il legislatore prevede che, in tali ipotesi, nel corso delle consultazioni sindacali, si possano comunque stipulare, «con finalità di salvaguardia dell’occupazione, contratti collettivi ai sensi dell’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, in deroga all’articolo 2112, commi 1, 3 e 4, del codice civile; resta altresì salva la possibilità di accordi individuali, anche in caso di esodo incentivato dal rapporto di lavoro, da sottoscriversi nelle sedi di cui all’articolo 2113, ultimo comma del codice civile» (art. 47, comma 5, secondo periodo, come novellato dal d.lgs. n. 14 del 2019).
L’art. 368, comma 4, lettera d), del d.lgs. n. 14 del 2019 ha poi inserito nell’art. 47 della legge n. 428 del 1990 un comma 5-bis, che si raccorda al comma 5 e così recita: «Nelle ipotesi previste dal comma 5, non si applica l’articolo 2112, comma 2, del codice civile e il trattamento di fine rapporto è immediatamente esigibile nei confronti del cedente dell’azienda. Il Fondo di garanzia, in presenza delle condizioni previste dall’articolo 2 della legge 29 maggio 1982, n. 297, interviene anche a favore dei lavoratori che passano senza soluzione di continuità alle dipendenze dell’acquirente; nei casi predetti, la data del trasferimento tiene luogo di quella della cessazione del rapporto di lavoro, anche ai fini dell’individuazione dei crediti di lavoro diversi dal trattamento di fine rapporto, da corrispondere ai sensi dell’art. 2, comma 1, del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 80. I predetti crediti per trattamento di fine rapporto e di cui all’articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 80 sono corrisposti dal Fondo di Garanzia nella loro integrale misura, quale che sia la percentuale di soddisfazione stabilita, nel rispetto dell’articolo 84, comma 5, del codice della crisi e dell’insolvenza, in sede di concordato preventivo».
9.3.- È stata necessaria una previsione espressa, in evidente e consapevole discontinuità con le conclusioni cui questa Corte era già giunta, per sancire, a determinate condizioni, l’immediata esigibilità del credito del TFR nei confronti del cedente dell’azienda e per equiparare il trasferimento dei lavoratori all’acquirente dell’azienda a una cessazione del rapporto di lavoro, anche quando il rapporto di lavoro prosegua senza cesure.
Dall’innovativa disciplina del codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, assoggettata a puntuali presupposti, non si possono dunque trarre elementi chiarificatori della normativa pregressa, ratione temporis applicabile.
10.- Sono fondate, in ultima analisi, le doglianze che fanno leva sull’insussistenza dei presupposti per l’intervento del Fondo anche sotto il profilo della inesigibilità del credito per TFR prima della cessazione del rapporto di lavoro.
11.- In conclusione, il ricorso dev’essere accolto.
La sentenza della Corte d’appello di Milano è cassata e la causa è rinviata alla medesima Corte d’appello che, in diversa composizione, si atterrà al seguente principio di diritto: «L’ammissione allo stato passivo del credito per TFR, con provvedimento definitivo, non preclude all’INPS, quale gestore del Fondo di garanzia, di contestare i presupposti di operatività dell’intervento del Fondo, incentrati sull’insolvenza di chi è datore di lavoro al momento in cui cessa definitivamente il rapporto di lavoro e il credito per TFR diviene conseguentemente esigibile, in base alla disciplina applicabile ratione temporis. Le previsioni dettate dall’art. 368, comma 4, lettere c) e d), del decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, nel novellare l’art. 47 della legge n. 428 del 1990, in quanto radicalmente innovative, non offrono elementi di interpretazione della disciplina previgente in ordine alla esigibilità del credito per TFR nel caso di rapporto di lavoro che continua con il cessionario e di successivo fallimento del cedente».
Il giudice designato per la fase di rinvio liquiderà anche le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia la causa, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio, alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione.