Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 dicembre 2022, n. 37971

Lavoro, Prestazioni di lavoro agricolo, Iscrizione nell’elenco dei lavoratori agricoli, Onere probatorio, Procedimento amministrativo, Rigetto 

 

Fatti di causa

 

1. Con sentenza nr. 219 del 2020, la Corte d’appello di Bari ha confermato la pronuncia di primo grado che, per quanto qui rileva, aveva rigettato la domanda dell’odierna ricorrente volta alla declaratoria d’illegittimità del provvedimento con cui l’INPS aveva disconosciuto le prestazioni di lavoro agricolo da lei svolte in vari anni (2010 e 2012).

2. La Corte ha ritenuto irrilevante la dedotta violazione della legge nr. 241 del 1990, art. 3, comma 4, e ha, poi, osservato come gravasse sull’assicurata la prova della sussistenza dei presupposti necessari per l’iscrizione nell’elenco dei lavoratori agricoli, concludendo per il rigetto della domanda, per non essere stata detta prova raggiunta in giudizio.

3. In particolare, la Corte ha osservato come la prova testimoniale al riguardo offerta fosse stata giudicata generica dal primo giudice e la statuizione non fosse stata oggetto di censure.

4. Avverso tale pronuncia ha ricorso per cassazione la parte indicata in epigrafe, deducendo tre motivi di censura, successivamente illustrati con memoria. L’INPS ha depositato procura speciale in calce al ricorso notificatogli.

5. Il P.M. ha depositato conclusioni scritte ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176.

 

Ragioni della decisione

 

6. Si dà preliminarmente atto che per la decisione del presente ricorso, fissato per la trattazione in pubblica udienza, questa Corte ha proceduto in camera di consiglio, senza l’intervento del procuratore generale e dei difensori delle parti, ai sensi del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23, comma 8-bis, convertito dalla L. 18 dicembre 2020, n. 176, perché nessuno di essi ha chiesto, nei termini di legge, la trattazione orale.

7. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 cod.proc.civ. – violazione dell’art. 97, comma 2, Cost. nonché dell’art. 3 della legge nr. 241 del 1990, per avere la Corte di merito ritenuto non applicabile il principio generale contenuto nell’art. 3 indicato che, in applicazione dei principi di buon andamento, imparzialità e trasparenza dell’agire amministrativo, impone che ogni provvedimento debba essere motivato e che la motivazione debba indicare i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell’amministrazione in relazione alle risultanze della istruttoria.

8. Con il secondo motivo è dedotta l’omessa valutazione delle motivazioni determinative della cancellazione dagli elenchi anagrafici in relazione alla loro sufficienza, nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio – ai sensi dell’art. 360 nr. 5 cod.proc.civ. – per non avere la Corte territoriale effettuato nessuna valutazione in merito alla sussistenza e sufficienza della motivazione del provvedimento di cancellazione.

9. I due motivi, strettamente connessi, sono infondati.

10. Questa Corte ha già avuto modo di chiarire che dalla natura meramente ricognitiva del procedimento amministrativo preordinato all’accertamento, alla liquidazione e all’adempimento delle prestazioni previdenziali in favore dell’assicurato deriva che l’inosservanza, da parte del competente istituto previdenziale, delle regole proprie di questo procedimento, così come, più in generale, delle prescrizioni concernenti il giusto procedimento dettate dalla legge nr. 241 del 1990, o dei precetti di buona fede e correttezza, non dispiega incidenza alcuna sul rapporto obbligatorio avente ad oggetto tali prestazioni, dal momento che il rapporto giuridico previdenziale, nascendo ex lege al verificarsi dei requisiti previsti, è interamente devoluto alla cognizione del giudice ordinario, non operando in proposito i divieti riconducibili alla previsione della legge nr. 2248 del 1865, art. 4, all. E.

11. In via di logica derivazione, la Corte ha osservato che, stante l’indifferenza del procedimento amministrativo rispetto alla consistenza della sua situazione soggettiva, l’assicurato non può, in difetto dei fatti costitutivi della relativa obbligazione, fondare la pretesa giudiziale di pagamento della prestazione previdenziale su eventuali disfunzioni procedimentali addebitabili all’istituto o su una carente o insufficiente motivazione del provvedimento di diniego della prestazione, potendo semmai in tali casi, ricorrendone in concreto i presupposti, far valere il proprio diritto al risarcimento dei danni eventualmente cagionatigli dal comportamento dell’istituto medesimo (così, espressamente, in motivazione, Cass. nr. 31954 del 2019, sulla scia di Cass. nr. 2804 del 2003 e 9986 del 2009, alle quali hanno dato seguito, tra le più recenti, Cass. nr. 27094 del 2020, relativa a fattispecie sovrapponibile alla presente, Cass. nn. 972 e 2083 del 2021 e Cass. nn. 3459 e 3460 del 2022).

12. Principi tutti da ribadirsi anche nell’ipotesi di specie, caratterizzata dal fatto che il procedimento amministrativo è stato avviato a seguito di un’attività ispettiva dell’ente previdenziale, con accertamento dell’insussistenza dei requisiti per il valido costituirsi del rapporto previdenziale (in termini, Cass. nr. 31954 del 2019).

13. A ciò si aggiunga l’inammissibilità della censura con specifico riguardo all’omesso esame di un fatto decisivo, attesa la totale carenza dello specifico «fatto storico» in ipotesi omesso ed alla decisività dello stesso.

14. Il secondo motivo, nello specifico, pone, infatti, questione non di fatto ma di diritto – relativa, come si è detto, alla mancata considerazione della motivazione del provvedimento adottato – estranea al paradigma censorio evocato (v., ex plurimis, in motiv. Cass. nr. 32759 del 2021), nel senso inteso da questa Corte (fatto storico, principale o secondario, che se esaminato avrebbe condotto con certezza o alta verosimiglianza ad un diverso esito della lite: Cass., sez.un., nr. 8053 del 2014 e successive, plurime conformi).

15. Con il terzo motivo (erroneamente rubricato come quarto) la ricorrente – ai sensi dell’art. 360 nr. 3 e 5 cod.proc.civ. – deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 cod.civ., per avere la Corte di merito attribuito valore di piena prova della simulazione del rapporto di lavoro alla pubblicazione dell’elenco di variazione, in cui si dà atto dell’intervenuta cancellazione dagli elenchi anagrafici, nonché alla generica deduzione della simulazione stessa avanzata nelle memorie di costituzione dell’Istituto, in primo grado e nell’atto di appello; per avere, dunque, invertito il naturale ordine di ripartizione dell’onere della prova, facendolo gravare sul lavoratore e non sull’Inps.

16. Infondato è anche il terzo motivo.

17. E’, infatti, consolidato il principio di diritto secondo cui la funzione di agevolazione probatoria dell’iscrizione di un lavoratore nell’elenco dei lavoratori agricoli viene meno qualora l’INPS, a seguito di un controllo, disconosca l’esistenza del rapporto di lavoro che ne costituisce il presupposto, con la conseguenza che, in tal caso, il lavoratore che agisca in giudizio ha l’onere di provare l’esistenza, la durata e la natura onerosa del rapporto dedotto a fondamento del diritto di iscrizione e di ogni altro diritto consequenziale di carattere previdenziale che abbia fatto valere (così, ex multis, Cass. n. 12001 del 2018, sulla scorta di Cass. nn. 13877 del 2012 e 2739 del 2016).

18. Sotto un diverso profilo, le censure che attribuiscono alla sentenza impugnata l’affermazione secondo cui il provvedimento di pubblicazione di variazione dell’elenco avrebbe valore di prova legale della simulazione del rapporto non si confrontano con il decisum.

19. La Corte di appello, in corretta applicazione dei principi in questa sede ribaditi, ha osservato – diversamente da quanto denunciato- come la lavoratrice non avesse soddisfatto l’onere su di lei gravante. Invero, la prova testimoniale offerta era stata giudicata generica dal primo giudice e la relativa statuizione non era stata oggetto di puntuali critiche.

20. Il motivo non censura specificamente l’indicato passaggio motivazionale mentre la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nell’affermare che il giudizio di cassazione è un giudizio a critica vincolata, nel quale le censure alla pronuncia di merito devono trovare collocazione entro un elenco tassativo di motivi, perché compito della Corte di legittimità è quello di esercitare un controllo sulla legalità e logicità della decisione ed il giudizio si svolge entro detti limiti, che non consentono di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa.

21. I motivi, pertanto, devono avere i caratteri della specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, il che comporta l’esatta individuazione del capo di pronunzia impugnata e l’esposizione di ragioni che illustrino in modo intelligibile ed esauriente le ragioni per le quali quel capo è affetto dal vizio denunciato. Se ne è tratta la conseguenza che la proposizione di censure prive di specifica attinenza al decisum della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi, richiesta dall’art. 366 nr. 4 cod.proc.civ., e determina l’inammissibilità, in tutto o in parte del ricorso, rilevabile anche d’ufficio (cfr. fra le tante Cass. nr. 32576 del 2022, in motiv., con richiamo, tra le altre, a Cass. nr. 20910 del 2017, Cass. nr. 17125 del 2007, Cass., sez.un., nr. 14385 del 2007).

22. Conclusivamente, il ricorso va rigettato, nulla provvedendosi in ordine alle spese, in difetto di sostanziale attività difensiva da parte dell’Inps.

23. Tenuto conto del rigetto del ricorso, sussistono, invece, i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis., ove dovuto.

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