Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 gennaio 2023, n. 91

Lavoro, CIGS, Cassa integrazione a zero ore, Inerzia del lavoratore nel contestare i provvedimenti datoriali e/o a rivendicare ipotetiche differenze retributive, Perdita del diritto, Obbligo per il lavoratore di costituire in mora il datore di lavoro, Criteri di scelta dei lavoratori in esubero da licenziare nella procedura di licenziamento collettivo, Rigetto 

 

Rilevato che

 

1. la Corte di Appello di Bari, con la sentenza qui impugnata, ha respinto l’appello della N. s.p.a. e ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva dichiarato, per quanto qui rileva, l’illegittimità della sospensione in CIGS del rapporto di lavoro di A.D., F.L., A.S. e la loro collocazione in cassa integrazione a zero ore, condannando la società a risarcire i danni in misura pari alla differenza tra la retribuzione spettante nel periodo dal 16/6/2006 fino al 16/10/2016 e il trattamento di integrazione salariale, oltre accessori come per legge;

2. per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso la società soccombente con dodici motivi; hanno resistito con controricorso i lavoratori indicati in epigrafe; le parti hanno comunicato memorie;

 

Considerato che

 

1. il ricorso non è meritevole di accoglimento per le ragioni diffusamente esposte in plurime decisioni di questa Corte in analoghe controversie, alle cui motivazioni si rinvia anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c. per ogni ulteriore aspetto qui non direttamente esaminato (v. Cass. n. 33343 del 2022; Cass. n. 33000 del 2022; Cass. n. 31927 del 2022; Cass. n. 31923 del 2022; Cass. n. 31866 del 2022; Cass. n. 31856 del 2022; Cass. n. 31855 del 2022; Cass. n. 31854 del 2022; Cass. n. 31843 del 2022; Cass. n. 31841 del 2022; Cass. n. 31840 del 2022; Cass. n. 31839 del 2022; Cass. n. 28421 del 2022; Cass. n. 28419 del 2022; Cass. n. 28416 del 2022; Cass. n. 28415 del 2022; Cass. n. 28412 del 2022);

2. con il primo motivo, denunciando violazione o falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., si sostiene che il giudice del gravame abbia omesso di considerare che l’inerzia del lavoratore – tradottasi nella mancata assunzione di alcuna iniziativa volta a contestare i provvedimenti datoriali e/o a rivendicare ipotetiche differenze retributive – nei dieci anni di collocazione in CIGS aveva determinato la perdita del diritto;

il motivo va disatteso, perché l’orientamento nettamente prevalente di questa Corte è nel senso che la mera inerzia non è sufficiente a determinare la perdita del diritto in capo al creditore, occorrendo un “quid pluris” che valga ad esprimere una chiara e certa volontà abdicativa (cfr., sul punto, Cass. n. 19235 del 2011: «In materia di cassa integrazione guadagni straordinaria, la mancata iniziativa del lavoratore diretta a sollecitare l’attuazione della clausola di rotazione non preclude il diritto del medesimo di far valere la responsabilità risarcitoria del datore di lavoro per l’inadempimento di detta clausola (non riconducibile alla figura del contratto a favore di terzo), poiché la mera inerzia ad esercitare un proprio diritto non prova di per sé una volontà abdicativa, dovendo ogni rinuncia essere espressa o ricavarsi da condotte univoche. Né può ritenersi che la non immediata proposizione dell’azione risarcitoria integri una concausa del verificarsi del fatto generatore del danno e, quindi, giustifichi una riduzione del risarcimento a norma dell’art. 1227 c.c.»; v., altresì, Cass. n. 2739 del 2018: «La rinuncia ad un diritto oltre che espressa può anche essere tacita; in tale ultimo caso può desumersi soltanto da un comportamento concludente del titolare che riveli in modo univoco la sua effettiva e definitiva volontà abdicativa; al di fuori dei casi in cui gravi sul creditore l’onere di rendere una dichiarazione volta a far salvo il suo diritto di credito, il silenzio o l’inerzia non possono essere interpretati quale manifestazione tacita della volontà di rinunciare al diritto di credito, la quale non può mai essere oggetto di presunzioni»; in senso analogo v. Cass. n. 3657 del 2020: «La rinuncia al compenso da parte dell’amministratore può trovare espressione in un comportamento concludente del titolare che riveli in modo univoco una sua volontà dismissiva del relativo diritto; a tal fine è pertanto necessario che l’atto abdicativo si desuma non dalla semplice mancata richiesta dell’emolumento, quali che ne siano le motivazioni, ma da circostanze esteriori che conferiscano un preciso significato negoziale al contegno tenuto»);

3. con il secondo motivo, parte ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 1219, primo comma, c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., per avere la sentenza impugnata ritenuto insussistente l’obbligo, per il lavoratore, di costituire in mora il datore di lavoro, mediante intimazione o richiesta scritta; il motivo è inammissibile, non risultando dal ricorso per cassazione che la questione sia stata fatta oggetto di gravame, né l’effettuato esame della stessa emerge dalla sentenza impugnata, nella quale è affrontato il solo tema della mancata offerta della prestazione lavorativa, mediante il corretto richiamo a Cass. n. 10236/2009 (ove è affermato che «In caso di intervento straordinario di integrazione salariale per l’attuazione di un programma di ristrutturazione, riorganizzazione o conversione aziendale che implichi una temporanea eccedenza di personale, ove il provvedimento di sospensione dall’attività lavorativa sia illegittimo, è questo stesso atto negoziale unilaterale, con il rifiuto di accettare la prestazione lavorativa, a determinare la “mora credendi” del datore di lavoro; ne consegue che il lavoratore non è tenuto ad offrire la propria prestazione ed il datore medesimo è tenuto a sopportare il rischio dell’estinzione dell’obbligo di esecuzione della prestazione»);

4. con il terzo motivo, denunciando nullità della sentenza per motivazione apparente in ordine alle argomentazioni esposte dalla Corte territoriale quanto alla illegittimità della CIGS, in relazione all’art. 360, n. 4, c.p.c., parte ricorrente rileva che la predetta Corte, dopo aver dato atto del passaggio in giudicato dei capi di sentenza di primo grado relativi alle richieste correlate agli accordi antecedenti a quello del 10 ottobre 2013 per mancanza di impugnativa sul punto, abbia erroneamente assimilato quest’ultimo accordo a quelli precedenti, da un lato obliterando la circostanza che l’accordo in questione prevedeva, a differenza degli altri, i criteri di scelta dell’anzianità di servizio, dei carichi di famiglia e delle esigenze tecnico organizzative e produttive ai fini dell’individuazione dei lavoratori da collocare in CIGS, nonché, dall’altro, omesso di valutare che il citato accordo, sempre a differenza degli altri, non prevedeva un meccanismo di rotazione; il motivo è da rigettare, poiché la sentenza impugnata esplicita chiaramente le ragioni della ritenuta genericità dei criteri di scelta (cfr., tra l’altro, il seguente passo della motivazione, non riportata nel motivo: «Nella specie, gli accordi fanno riferimento a esigenze tecnico-organizzative connesse al piano di riorganizzazione ma senza alcuna indicazione dei criteri in base ai quali individuare i singoli soggetti che, in ragione di quelle esigenze, andavano, di volta in volta, sospesi. (…) il datore di lavoro ha adottato un criterio totalmente discrezionale, non concordato, non desumibile dal generico richiamo alle esigenze tecnico-produttive e, per certi aspetti, anche arbitrario (…). In definitiva, la N. ha autonomamente individuato i lavoratori da sospendere senza aver dovuto rispettare predeterminati criteri che stabilissero le priorità tra i vari parametri considerati (anzianità, carichi, esigenze produttive), le modalità applicative dei criteri medesimi, la platea dei soggetti interessati in riferimento alle qualifiche possedute e alle concrete mansioni esercitate in funzione degli obiettivi aziendali di risanamento e riorganizzazione»);

5. con il quarto motivo si denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 1, comma 7, della legge n. 223 del 1991, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., sostenendo che il giudice di appello, nella parte in cui ha affermato che «le parti contrattuali si sono limitate a richiamare i criteri di scelta dei lavoratori in esubero da licenziare nella procedura di licenziamento collettivo di cui all’art. 5 della legge 223/1991», abbia omesso di considerare che la legge non prevede alcun tipo di sanzione nell’ipotesi di mancata indicazione dei criteri dell’accordo, peraltro non obbligatorio, attenendo la genericità alla comunicazione, e per avere di fatto “confuso” la specificità dell’individuazione dei criteri, rispetto alle concrete modalità applicative, anche con riferimento alle proroghe; il motivo va disatteso, in quanto la doglianza non si confronta con la intera motivazione della sentenza impugnata, la quale, con riguardo al parametro delle esigenze tecnico-organizzative, ha evidenziato che «La prova evidente dell’assoluta genericità dei criteri è nelle stesse giustificazioni addotte dall’appellante con l’atto di gravame: “… N. ha quindi provveduto ad assegnare un punteggio per ciascuno dei tre criteri di cui sopra (anzianità aziendale, carichi di famiglia, esigenze organizzative) a tutti i lavoratori aventi mansioni fungibili, sospendendo coloro i quali, nella ponderazione dei tre criteri di cui sopra (ciascuno con rilevanza di 1/3 ai fini della graduatoria) avessero un punteggio più basso […]” Dunque il datore di lavoro ha adottato un criterio totalmente discrezionale, non concordato, non desumibile dal generico richiamo alle esigenze tecnico-produttive e, per certi aspetti, anche arbitrario»; sicché la illegittimità è stata ravvisata, in primo luogo, nell’attribuzione assolutamente discrezionale dei predetti punteggi, che ha inevitabilmente alterato l’applicazione in maniera concorrente dei tre richiamati criteri; le stesse ragioni sono state poste a base, da parte dei giudici di seconde cure, correttamente anche in relazione alla statuizione concernente la illegittimità delle proroghe che comunque si riferivano ad un accordo genetico viziato da una inammissibile genericità;

6. con il quinto motivo, denunciando nullità della sentenza per motivazione apparente, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., parte ricorrente deduce che la Corte di merito, nel motivare, non abbia tenuto conto del fatto che i criteri fissati erano stati oggetto di discussione nell’ambito degli incontri tenutisi presso il Ministero del Lavoro e condivisi con le OO.SS. firmatarie dell’accordo, così come evidenziato nell’atto di appello, senza che detta circostanza sia stata oggetto di contestazione ad opera della controparte; il motivo è inammissibile, poiché con esso – a fronte di una motivazione che soddisfa (tenuto conto dei passaggi sopra riportati) i requisiti minimi di cui all’art. 132 c.p.c. – si mira ad introdurre impropriamente il vizio di omesso esame di una circostanza (discussione dei criteri nell’ambito degli incontri tenutisi presso il Ministero del Lavoro) non decisiva, essendo la sentenza incentrata sull’assoluta genericità dei criteri (per come sopra visto);

7. con il sesto motivo di ricorso è denunciata la violazione della legge n. 148 del 2015 (ndr d.lgs. n. 148 del 2015) ratione temporis vigente in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 e l’omesso esame della nuova disciplina; si deduce che la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare l’incidenza dell’intervenuta modifica legislativa sulla CIGS disposta a far data dal 14.10.2015; il motivo è inammissibile per difetto di specificità atteso che, pur considerato che la fattispecie oggetto di causa ricadesse per una parte sotto la disciplina di cui al d.lgs. n. 148 del 2015, la società ricorrente non evidenzia in che modo e attraverso quali statuizioni la sentenza impugnata si porrebbe in contrasto con la citata disciplina legislativa;

8. con il settimo motivo di ricorso si deduce, in relazione all’art. 360 primo comma n. 5 c.p.c., che la Corte di appello avrebbe omesso di esaminare il testo dell’accordo del 14.10.2015, di tenere conto dell’incontestata legittimità del trasferimento presso il sito di Ginosa e della avvenuta sospensione integrale dell’attività con contestuale sospensione di tutti i dipendenti addetti allo stabilimento interessato;

il motivo risulta inammissibile in base al disposto dell’art. 348 ter, comma 5, c.p.c.;

9. con l’ottavo motivo è denunciata la violazione o falsa applicazione degli artt. 1, comma 7, della legge n. 223 del 1990, e 24, comma 2, della legge n. 148 del 2015 (ndr 24, comma 2, della d.lgs. n. 148 del 2015), in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.; deduce la ricorrente che la Corte territoriale, con riferimento alla sospensione del rapporto disposta nell’ambito della procedura di CIGS relativa al periodo dal 3.3.2015 al 15.10.2015 e giustificata per la sospensione dell’attività presso l’unità produttiva di Ginosa, poi integralmente cessata, non ha considerato che nella fattispecie di cessazione dell’attività con sospensione integrale di tutti i lavoratori addetti ad una unità produttiva non sussiste alcun obbligo di indicare i criteri di rotazione e quelli connessi con l’identificazione di quelli sospesi essendo sufficiente, in caso di sospensione integrale dell’attività presso lo stabilimento, il criterio dell’appartenenza all’unità produttiva; il motivo è inammissibile in quanto non si confronta con la ratio decidendi della sentenza impugnata. che ha ritenuto che la sospensione (come regolata nel testo finale dell’accordo del 14.10.15) riguardasse “un numero massimo di 370 lavoratori occupati presso il sito di Ginosa (e dunque non la totalità dei dipendenti dello stabilimento, posto che una quota- parte, pari a 100 lavoratori, sarebbe stata ricollocata presso altri stabilimenti), senza, ancora una volta, specificare adeguatamente ed in modo obiettivo i criteri di selezione del personale in concreto coinvolto da detta sospensione”;

10. con il nono motivo – denunziando nullità della sentenza per omessa pronuncia in ordine alla applicabilità alla fattispecie del disposto di cui all’art. 1227 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c. – si contesta che il giudice del gravame non abbia valorizzato alcuni elementi, come l’inerzia del lavoratore, che avrebbero potuto e dovuto ridurre l’arco temporale di riferimento del compendio risarcitorio, ai sensi dell’art. 1227 c.c.; la censura è inammissibile, non emergendo dal motivo di ricorso che già in primo grado la ricorrente ebbe a dedurre l’applicabilità (come noto esclusa, in materia, da costante giurisprudenza; cfr., sul punto, Cass. n. 19235 del 2011) dell’art. 1227, secondo comma, c.c., oppure che la questione (non rilevabile di ufficio; cfr., tra le altre, Cass. n. 19218 del 2018) ebbe ad essere comunque esaminata nel detto grado;

11. con il decimo motivo di ricorso la società denuncia la nullità della sentenza in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c. e deduce l’apparenza della motivazione nella parte in cui la Corte territoriale ha delibato in ordine ai motivi fondanti la richiesta della società di riduzione del compendio risarcitorio, dolendosi del fatto che il giudice del gravame ha rigettato la richiesta di divisione matematica del periodo di CIGS tra tutti i dipendenti; il motivo è da rigettare, poiché sulla questione della divisione matematica del periodo di CIGS tra tutti i dipendenti (sulla cui base il lavoratore comunque sarebbe stato assoggettato ad un periodo di CIGS) il giudice del gravame ha reso effettiva motivazione citando un precedente di questa Corte (Cass. n. 19618/2011, ove si legge che «In materia di cassa integrazione guadagni straordinaria, l’illegittimità del provvedimento concessorio dell’intervento di integrazione salariale in ragione della mancata indicazione e comunicazione alle organizzazioni sindacali dei criteri di scelta dei lavoratori da sospendere – di rotazione ovvero, ove tale meccanismo non sia stato adottato per ragioni di ordine tecnico e organizzativo ritenute meritevoli di accoglimento, dei criteri alternativi determinati ai sensi dell’art. 1, comma 8, legge n. 223 del 1991 – comporta l’illegittimità della sospensione operata dal datore di lavoro dei lavoratori stessi, i quali, vantando una posizione di diritto soggettivo, possono chiedere al giudice ordinario l’accertamento, previa disapplicazione “incidenter tantum” del provvedimento amministrativo di concessione della C.i.g.s., dell’inadempimento del datore di lavoro in ordine all’obbligazione retributiva alla stregua dell’ordinario regime previsto dall’art. 1218 c.c., essendo venuta meno, quale ragione d’esonero dalle conseguenze dell’inadempimento, l’elevazione al livello dell’impossibilità della prestazione delle situazioni di ristrutturazione, riorganizzazione e riconversione industriale») ed aggiungendo che «la N. non ha neanche provato che ricorrevano tutti i presupposti per la messa in CIGS (anche) degli odierni appellati e per quanto tempo»; né la motivazione, sul punto, si rivela apparente, in quanto chiarisce che, a fronte della genericità dei criteri adottati per la messa in CIGS del dipendente, e, quindi della illegittimità della sospensione, sarebbe stato onere della società provare le condizioni dell’ipotetico abbattimento del risarcimento derivante dall’applicazione di un periodo minore di cassa integrazione; senza contare che la stessa censura – imperniata sul rilievo che la questione non necessitava di alcuna prova “trattandosi di conseguenze automatiche di fatti pacifici” – è mal posta, poiché, da un lato, essa denunzia, nella sostanza, una errata applicazione del principio dell’onere della prova in materia, e, dall’altro (ciò che più conta), non illustra in maniera intelligibile, da un lato, in qual modo il ricorrente avrebbe potuto essere comunque collocato legittimamente in CIGS a fronte della accertata genericità dei criteri, e, dall’altro, come avrebbe potuto calcolarsi in concreto l’ipotetico (e non plausibile, per quanto appena detto) abbattimento della posta risarcitoria;

12. con l’undicesimo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 2948 c.c., sostenendo che “le somme richieste dal lavoratore altro non sono che quote di retribuzione ‘illecitamente’ non versate dal datore (non autorizzato a sospenderne la prestazione) e pertanto soggette alla prescrizione breve di cui all’art. 2948 c.c.”; il motivo è inammissibile nella parte in cui è introdotta la questione dell’avvenuta prescrizione quinquennale dell’azione di annullamento dell’atto di gestione del rapporto, non risultando dal ricorso per cassazione (né dalla sentenza impugnata) come la questione fosse stata posta nel giudizio di primo grado e come la stessa avesse eventualmente costituito oggetto di gravame in appello; per il resto, è da disattendere in quanto, per giurisprudenza costante, la richiesta del lavoratore di risarcimento danni per l’illegittima sospensione a seguito di collocamento in C.i.g.s. ha ad oggetto un credito da inadempimento contrattuale (costituito dall’atto di gestione del rapporto non conforme alle regole), soggetto all’ordinaria prescrizione decennale (tra molte, Cass. n. 25139 del 2010 e Cass. n. 10376 del 2021);

13. con il dodicesimo motivo, parte ricorrente censura la sentenza impugnata (art. 360, comma primo, n. 4, c.p.c.) per omessa pronuncia in ordine all’eccepita violazione, da parte del giudice di prime cure, del disposto di cui agli artt. 414 e 420 c.p.c., e mancanza dell’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione (art.132 c.p.c.), deducendo che l’originaria domanda era stata inammissibilmente mutata, da richiesta di condanna generica a condanna al pagamenti di somme quantificate in corso di giudizio, sulla base di conteggi non corretti, e non essendosi la Corte di Appello pronunciata sul corrispondente motivo di gravame; il motivo non è fondato, in primo luogo perché l’accertamento se la parte abbia chiesto una pronuncia soltanto di condanna generica ovvero estesa al “quantum” attiene all’interpretazione della domanda, da condurre facendo esclusivo riferimento all’atto introduttivo del giudizio di primo grado, ed è sottratto al sindacato di legittimità se correttamente motivato dal giudice di merito (Cass n. 14669/2022), e dalla parte del ricorso introduttivo del giudizio trascritta nel ricorso per cassazione (p. 47, nota 37) si desume la proposizione di richiesta di condanna al pagamento di somme determinabili con riferimento alle differenze tra il trattamento retributivo che sarebbe stato percepito ed il trattamento di integrazione salariale ottenuto; in secondo luogo, perché si desume altresì che l’espressa quantificazione mediante conteggi prodotti in giudizio è stata autorizzata dal giudice di primo grado, in conformità al rito generale del lavoro, nel quale è consentita, previa autorizzazione del giudice, la modificazione della domanda (“emendatio libelli”), mentre non è ammissibile la proposizione di domanda nuova per mutamento della “causa petendi”, ossia introduttiva di un tema d’indagine di fatto completamente diverso (nella specie, la “causa petendi” non è stata mutata), ed al principio consolidato per cui si ha “mutatio libelli” quando si avanzi una pretesa obiettivamente diversa da quella originaria, introducendo nel processo un “petitum” diverso e più ampio oppure una “causa petendi” fondata su situazioni giuridiche non prospettate prima e particolarmente su un fatto costitutivo radicalmente differente, di modo che si ponga al giudice un nuovo tema d’indagine e si spostino i termini della controversia, con l’effetto di disorientare la difesa della controparte ed alterare il regolare svolgimento del processo, mentre si ha, invece, semplice “emendatio” quando si incida sulla “causa petendi”, in modo che risulti modificata soltanto l’interpretazione o qualificazione giuridica del fatto costitutivo del diritto, oppure sul “petitum”, nel senso di ampliarlo o limitarlo per renderlo più idoneo al concreto ed effettivo soddisfacimento della pretesa fatta valere (Cass. n. 12621/2012 e successive conformi); in terzo luogo, perché non ricorre il vizio di mancata pronuncia su una eccezione di merito sollevata in appello qualora essa, anche se non espressamente esaminata, risulti incompatibile con la statuizione di accoglimento della pretesa dell’attore, deponendo per l’implicita pronunzia di rigetto dell’eccezione medesima, sicché il relativo mancato esame può farsi valere non già quale omessa pronunzia, e, dunque, violazione di una norma sul procedimento (art. 112 c.p.c.), bensì come violazione di legge e difetto di motivazione, in modo da portare il controllo di legittimità sulla conformità a legge della decisione implicita e sulla decisività del punto non preso in considerazione (Cass. n. 24953/2020), e rimanendo la questione del recepimento per la quantificazione dei conteggi prodotti dagli originari ricorrenti estranea al perimetro del giudizio di cassazione;

14. conclusivamente il ricorso deve essere respinto e le spese vanno liquidate complessivamente secondo soccombenza nella misura complessiva (tenuto conto della pluralità dei controricorrenti) indicata in dispositivo; ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13 (cfr. Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020);

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 5.500 complessivi per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 03 gennaio 2023, n. 91
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: