Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 29 dicembre 2022, n. 38018

Lavoro, Quota B del supplemento di pensione,  Limite massimo di cui all’art. 12, comma 7, D.P.R. n. 1420/1971, Gestione speciale del Fondo pensioni lavoratori dello spettacolo, Limite imposto alla retribuzione giornaliera pensionabile, Accoglimento

 

Fatti di causa

 

Con sentenza depositata il 29.5.2020, la Corte d’appello di Roma ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva dichiarato il diritto di C.M. ad aver riliquidata la quota B del supplemento di pensione corrispostogli con decorrenza dal 1°.11.2014 sulla base delle disposizioni di cui all’art. 4, comma 8, d.lgs. n.182/1997, senza l’applicazione del tetto massimo di cui all’art. 12, comma 7°, d.P.R. n. 1420/1971, condannando l’INPS, quale successore dell’ENPALS, a corrispondergli le consequenziali differenze pensionistiche.

La Corte, dando atto che la materia del contendere si appuntava sull’interpretazione dell’art. 4, comma 8, d.lgs. n. 182/1997, cit., e segnatamente sulla possibilità di applicare anche alla quota B della pensione il limite massimo di cui all’art. 12, comma 7° , d.P.R. n. 1420/1971, reputato dal primo giudice applicabile alla sola quota A, ha avvalorato le conclusioni di prime cure e in specie ha ritenuto che, non contenendo l’art. 4, comma 8, cit., alcun richiamo al limite massimo di cui all’art. 12, comma 7°, parimenti cit., ma prevedendo piuttosto un rinvio al diverso limite della retribuzione annua pensionabile valevole per l’a.g.o. (ancorché con l’adozione di un diverso criterio di determinazione della retribuzione giornaliera pensionabile ai fini dell’applicazione dell’aliquota di rendimento del 2% e con la precisazione che le quote di retribuzione giornaliera pensionabile superiori a tale limite sarebbero state computate secondo le aliquote di rendimento decrescenti previste dall’art. 12, d.lgs. n. 503/1992), la quota B della pensione non potesse esser calcolata adottando il precedente limite di retribuzione giornaliera pensionabile fissato in L. 315.000 e soggetto a rivalutazione annuale.

Avverso tali statuizioni l’INPS ha proposto ricorso per cassazione, deducendo un motivo di censura. C.M. ha resistito con controricorso, eccependo in linea preliminare l’inammissibilità dell’avversa impugnazione per intervenuto giudicato. Il Pubblico ministero ha depositato memoria con cui ha chiesto l’accoglimento del ricorso. In vista dell’udienza pubblica, anche l’INPS e parte controricorrente hanno depositato memoria.

 

Ragioni della decisione

 

Con l’unico motivo di censura, l’INPS denuncia violazione dell’art. 12, d.P.R. n. 1420/1971, e dell’art. 4, d.lgs. n. 182/1997, per avere la Corte di merito ritenuto che il massimale pensionabile di cui alla prima delle norme cit. non opererebbe per la quota B della pensione dei lavoratori dello spettacolo, ma soltanto per la quota A: ad avviso dell’Istituto, infatti, la circostanza che l’art. 3, d.lgs. n. 182/1997, non faccia espressa menzione del massimale di cui all’art. 12, comma 7° , d.P.R. n. 1420/1971, sarebbe affatto irrilevante, contenendo il suo comma 4 un rinvio formale alla retribuzione giornaliera pensionabile di cui all’art. 12 cit. e rilevando piuttosto le modifiche apportate dalla nuova normativa solo ai fini della quantificazione delle giornate rilevanti ai fini del calcolo della retribuzione pensionabile; né contrari argomenti sarebbero desumibili dall’art. 4, comma 8, d.lgs. n. 182/1997, giacché la sua natura precettiva sarebbe circoscritta all’individuazione delle aliquote di rendimento da applicare alle diverse fasce di retribuzione pensionabile, senza tuttavia incidere sul massimale proprio della gestione ex ENPALS, espressamente fatto salvo dall’art. 12, comma 2, d.lgs. n. 503/1992.

Sotto questo profilo, ad avviso di parte ricorrente, sarebbe errata la conclusione dei giudici di merito nella parte in cui hanno ritenuto che la diversa soluzione fatta propria nella sentenza qui impugnata si radicherebbe nell’esigenza di armonizzazione tra la disciplina dell’a.g.o. e quella della gestione ex ENPALS, dal momento che, mentre la disciplina dell’a.g.o. non contempla alcun tetto massimo pensionabile ma soltanto aliquote di rendimento decrescenti in funzione dell’ammontare della retribuzione utile ai fini del calcolo della pensione, l’art. 12, d.P.R. n. 1420/1971, nel testo modificato dall’art. 1, comma 10, d.lgs. n. 182/1997, continuerebbe a sancire che le quote eccedenti il massimale “non si prendono in considerazione”; e tenuto conto che l’art. 1, comma 8, d.lgs. n. 182/1997, stabilisce invece che la retribuzione eccedente il massimale è assoggettata non già a contribuzione utile ai fini pensionistici, ma solo a un contributo di solidarietà, ammetterne la rilevanza ai fini del calcolo della pensione equivarrebbe a minare la sostenibilità della gestione pensionistica, non potendo concepirsi che ad un massimale imponibile non debba corrispondere un massimale pensionabile.

Va preliminarmente rilevata l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità sollevata da parte controricorrente in ragione dell’avvenuto passaggio in giudicato della sentenza impugnata per non avere l’INPS impugnato la sentenza nella parte in cui ha affermato che, per la parte eccedente il limite massimo della retribuzione annua pensionabile in vigore tempo per tempo nell’assicurazione generale obbligatoria diviso per 312, si applicherebbero le aliquote di rendimento previste dall’art. 12, d.lgs. n. 503/1992: è sufficiente al riguardo rilevare che l’INPS ha espressamente impugnato l’affermazione della sentenza secondo cui il massimale pensionabile di cui all’art. 12, d.P.R. n. 1420/1971, non opererebbe per la quota B della pensione dei lavoratori dello spettacolo e ricordare che, formandosi il giudicato solo su di una statuizione che ricolleghi ad un fatto, qualificato da una norma, un determinato effetto giuridico, l’impugnazione motivata anche in ordine ad uno solo degli elementi della sequenza vale a riaprire la cognizione sull’intera statuizione, sebbene ciascuno di essi possa essere oggetto di singolo motivo di gravame (così, tra le più recenti, Cass. nn. 24783 del 2018, 10769 del 2019, 28565 del 2022).

Nel merito, il motivo è fondato.

Va premesso che, a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 503/1992, il trattamento pensionistico spettante a coloro che, come l’odierna parte controricorrente, siano iscritti alla Gestione speciale del Fondo pensioni lavoratori dello spettacolo (istituita presso l’INPS a seguito della soppressione dell’ENPALS in virtù dell’art. 21, d.l. n. 201/2011, conv. con I. n. 214/2011), si compone di una “quota A” e di una “quota B”, nei termini delineati dall’art. 13, d.lgs. n. 503/1992: la “quota A” corrisponde “all’importo relativo alle anzianità contributive acquisite anteriormente al 1° gennaio 1993, calcolate con riferimento alla data di decorrenza della pensione secondo la normativa vigente precedentemente alla data anzidetta che a tal fine resta confermata in via transitoria, anche per quanto concerne il periodo di riferimento per la determinazione della retribuzione pensionabile” (art. 13, lett. a), d.lgs. n. 503/1992); la “quota B” corrisponde invece “all’importo del trattamento pensionistico relativo alle anzianità contributive acquisite a decorrere dal 1° gennaio 1993”, che viene liquidato secondo i più restrittivi criteri previsti dal d.lgs. n. 503/1992 quanto all’età pensionabile, ai requisiti contributivi minimi, alla retribuzione media pensionabile (art. 13, lett. b), d.lgs. cit.).

Ciò posto, la materia del contendere concerne la determinazione della “quota B”, corrispondente agli anni di anzianità contributiva successivi al 1° gennaio 1993, e in specie se debba permanere anche per la “quota B” il limite della retribuzione giornaliera pensionabile di cui all’art. 12, comma 7° , d.P.R. n. 1420/1971.

Nel testo da ultimo modificato dall’art. 1, comma 10, d.lgs. n. 182/1997, tale disposizione prevede infatti che “[ali fini del calcolo della retribuzione giornaliera pensionabile non si prendono in considerazione, per la parte eccedente, le retribuzioni giornaliere superiori al limite di lire 315.000”, stabilendo altresì che, a decorrere dal 1° gennaio 1998, tale limite venga “rivalutato annualmente sulla base dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, così come calcolato dall’ISTAT”.

In questa sede, non viene in rilievo il profilo del superamento del diverso limite alla retribuzione annua pensionabile (art. 21, comma 6°, I. n. 67/1988), applicabile anche all’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti inizialmente gestita dall’ENPALS, in base alla normativa di interpretazione autentica dettata dall’art. 5, d.l. n. 11/1993 (conv. con I. n. 70/1993). La questione, come detto, si appunta piuttosto sulla plausibilità della affermazione della sentenza impugnata secondo cui il limite alla retribuzione giornaliera pensionabile opererebbe per la sola “quota A”, mentre non sarebbe più in vigore per la “quota B” della pensione, che sarebbe regolata esclusivamente dall’art. 4, comma 8, d.lgs. n. 182/1997, il quale – nel disciplinare il calcolo dei trattamenti con decorrenza successiva alla data di entrata in vigore del citato decreto legislativo e, in particolare, la determinazione della “quota di pensione relativa alle anzianità maturate successivamente al 31 dicembre 1992” – dispone che si applichi una aliquota di rendimento annuo del 2 per cento “sino alla quota di retribuzione giornaliera pensionabile corrispondente al limite massimo della retribuzione annua pensionabile in vigore tempo per tempo nell’assicurazione generale obbligatoria diviso per 312” (art. 4, comma 8, primo periodo, del d.lgs. n. 182 del 1997), mentre le quote di retribuzione giornaliera pensionabile che eccedono tale limite “sono computate secondo le aliquote di rendimento previste dall’articolo 12 del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 503” (art. 4, comma 8, secondo periodo, d.lgs. n. 182/1997).

Reputa il Collegio che tale conclusione non possa essere condivisa: molteplici e concordanti sono infatti gl’indici, di carattere tanto letterale quanto sistematico, che confermano la perdurante operatività del limite della retribuzione giornaliera pensionabile anche per la “quota B” della pensione.

Giova in primo luogo rilevare l’assenza di una abrogazione espressa del massimale di cui all’art. 12, comma 7°, d.P.R. n. 1420/1971, che è rimasto inalterato pur nell’avvicendarsi delle riforme del sistema previdenziale che hanno investito anche il settore dei lavoratori dello spettacolo.

La previsione di un tale limite, che si correla in linea generale ad “una politica di contenimento della spesa pubblica” e alle esigenze di “risanamento delle gestioni previdenziali” (in linea generale, su tale aspetto, cfr. Corte cost. n. 173 del 1986), è il frutto di una scelta discrezionale del legislatore e rappresenta un punto di equilibrio tra i contrapposti interessi dei lavoratori attivi, sui quali grava in ultima analisi l’onere economico del pagamento dei contributi, e dei pensionati, che del gettito di quest’ultimo beneficiano sub specie di prestazioni:

tant’è vero che il giudice delle leggi ha da tempo riconosciuto al legislatore la facoltà di individuare come base di calcolo della pensione una misura della retribuzione che sia inferiore a quella effettivamente percepita dal lavoratore (cfr. Corte cost. n. 202 del 2008).

Ed è certamente significativo che né il d.lgs. n. 503/1992, che ha tracciato la linea di demarcazione tra la “quota A” e la “quota B” della pensione, né l’art. 1, comma 22, I. n. 335/1995, recante delega per l’armonizzazione dei regimi pensionistici già operanti presso l’ENPALS, l’abbiano espressamente abrogato: lo stesso d.lgs. n. 182/1997 si è limitato a introdurre gradualmente il nuovo sistema contributivo, con modificazioni che s’innestano sulla normativa previgente, senza alterarne le caratteristiche salienti, legate alla peculiarità del lavoro nello spettacolo.

Né potrebbero condurre a diverse conclusioni gli studi attuariali elaborati dall’ENPALS, pure invocati dalla parte controricorrente: indipendentemente dal fatto che trattasi di documenti che neppure la sentenza impugnata accredita di valore probante, la ratio legis, cui l’art. 12 prel. c.c. si riferisce con l’espressione di “intenzione del legislatore”, dev’essere infatti individuata in chiave oggettiva, sulla scorta del dato normativo in cui trova la sua pertinente espressione, di talché non possono all’uopo rilevare elaborazioni eccentriche rispetto alla sede in cui la volontà del legislatore si è formata e manifestata.

Si può per contro osservare che il legislatore delegato ha piuttosto mostrato di privilegiare la strada delle innovazioni mirate e puntuali della normativa antecedente, come dimostra la rimodulazione del concetto di retribuzione giornaliera di riferimento (art. 1, comma 11, d.lgs. n. 182/1997) e dei criteri d’individuazione delle giornate rilevanti (art. 3, d.lgs. cit.), e ha provveduto ad abrogare in maniera esplicita la normativa pregressa quando l’ha reputato necessario, come nel caso dell’art. 1, comma 7, ultimo periodo, che abroga ex professo l’art. 3, comma 2°, d.P.R. n. 1420/1971, in materia di rivalsa delle imprese in materia di contributi. E rispetto a un siffatto modus procedendi, certamente distonica si rivelerebbe la scelta di abrogare tacitamente una disciplina basilare come quella del limite massimo della retribuzione giornaliera pensionabile senza mai esternare tale volontà né nel testo di legge né nel dibattito parlamentare che ha preceduto la sua approvazione.

Si può aggiungere, semmai, che la mancanza di “una dichiarazione espressa del legislatore” non è accompagnata, in specie, da alcuno degli indici da cui desumere un’abrogazione tacita, vale a dire da una “incompatibilità tra le nuove disposizioni e le precedenti” o dall’avere la legge successiva regolato “l’intera materia già regolata dalla legge anteriore” (art. 15 prel. c.c.).

Quanto all’incompatibilità tra le nuove disposizioni di legge e quelle precedenti, questa Corte ha affermato che si verifica solo quando tra le norme considerate vi sia una contraddizione tale da renderne impossibile la contemporanea applicazione, cosicché dalla applicazione ed osservanza della nuova legge non possono non derivare la disapplicazione o l’inosservanza dell’altra (così, tra le numerose, Cass. nn. 1429 e 10053 del 2002, richiamate da ult. da Cass. n. 29974 del 2022); e certamente non milita a favore dell’incompatibilità tra la vecchia e la nuova normativa il fatto che l’art. 4, comma 8, d.lgs. n. 182/1997, riferisca l’applicazione dell’aliquota del 2 per cento “sino alla quota di retribuzione giornaliera pensionabile in vigore tempo per tempo nell’assicurazione generale obbligatoria diviso per 312”, ben potendo conciliarsi tale riferimento con il permanere del limite vigente per i lavoratori dello spettacolo e con l’espresso richiamo ivi contenuto alle previsioni dell’art. 12, comma 2, d.lgs. n. 503/1992.

Egualmente è a dirsi con riguardo all’art. 3, d.lgs. n. 182/1997, che – come detto – identifica i criteri d’individuazione delle giornate rilevanti, senza dispiegare alcun effetto sul diverso profilo del limite imposto alla retribuzione giornaliera pensionabile: la disposizione cit., con precipuo riguardo alla retribuzione giornaliera pensionabile, richiama anzi a più riprese il d.P.R. n. 1420/1971, confermando così che, per quel che riguarda la determinazione della “quota B”, la normativa previgente del 1971 e quella successiva del 1997 non sono affatto antitetiche, ma debbono reputarsi complementari.

Non giova in contrario obiettare che l’applicazione del massimale pensionabile anche alla “quota B” consentirebbe d’impiegare solo in parte la tabella del citato art. 12, d.lgs. n. 503/1992, e comporterebbe in particolare l’impossibilità di applicare la terza e la quarta aliquota di rendimento contemplate dalla tabella in esame: la tabella allegata al d.lgs. n. 503/1992 ha infatti valenza generale e non è calibrata in via esclusiva sul regime del personale appartenente al settore dello spettacolo, per modo che nessuna inferenza decisiva può essere tratta dal fatto che alcune aliquote, nel caso concreto, siano in fatto inapplicabili.

Del resto, analogo inconveniente presenta l’art. 21, comma 6°, I. n. 67/1988, che – come pure s’è detto – riguarda parimenti la determinazione della misura delle pensioni a carico dell’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti dei lavoratori dipendenti gestita dall’ENPALS e, nel prevedere che la retribuzione imponibile eccedente il limite massimo di retribuzione annua pensionabile previsto per l’assicurazione generale obbligatoria in esame venga computata secondo le aliquote decrescenti di cui alla tabella allegata, presuppone pur sempre il rispetto del limite specifico alla retribuzione giornaliera pensionabile posto dall’art. 12, comma 7°, d.P.R. n. 1420/1971 (cfr. Corte cost. n. 202 del 2008, già cit.).

A diverse conclusioni non induce nemmeno il fatto che l’art. 4, comma 8, d.lgs. n. 182/1997, richiami le sole aliquote di rendimento di cui al comma 1 dell’art. 12, d.lgs. n. 503/1992, senza rimandare ai “limiti massimi di retribuzione pensionabile previsti dai singoli ordinamenti” di cui al successivo comma 2: le previsioni dei due commi dell’art. 12 sono infatti indissolubilmente connesse, riguardando il primo le aliquote di rendimento proprie dell’assicurazione generale obbligatoria e il secondo il modo in cui esse operano nell’ambito delle “forme di previdenza sostitutive ed esclusive” cui esse sono estese, “fermi restando”, appunto, “i limiti massimi di retribuzione pensionabile previsti dai singoli ordinamenti”.

Se dunque il dato letterale, valorizzato anche nelle conclusioni del Pubblico ministero, non conforta la tesi dell’abrogazione implicita della disciplina del “massimale pensionabile”, vieppiù rilevanti sono le ragioni sistematiche che militano a favore della sua conservazione; ed è la stessa parte controricorrente a riconoscerlo, pur prospettandone (specie nella memoria dep. ex art. 378 c.p.c.) una rimodulazione parzialmente analoga a quella vigente per l’assicurazione generale obbligatoria, che però – oltre a non essere stata affatto accreditata nella sentenza impugnata – certamente travalica i confini dell’interpretazione del diritto vigente, affidata a questa Corte giusta la previsione dell’art. 65, r.d. n. 12/1941.

Al riguardo, va ricordato che il precedente sistema di contribuzione prevedeva l’obbligo per il lavoratore di versare l’aliquota del 14,70 per cento fino all’ammontare massimo di lire 315.000 di compenso giornaliero, corrispondente al limite della retribuzione giornaliera pensionabile, mentre sull’eccedenza si applicava un contributo di solidarietà nella misura del 3 per cento.

Successivamente, l’art. 11, comma 2, I. n. 412/1991, nel modificare l’art. 2, comma 3° , d.P.R. n. 1420/1971, ha elevato l’aliquota percentuale al 26,97 per cento ed ha stabilito che essa si applichi ai compensi giornalieri fino alla concorrenza di lire un milione, innalzando al contempo il contributo di solidarietà dal 3 al 5 per cento (si veda sul punto Corte cost. n. 369 del 1998). Pertanto, per i lavoratori già iscritti al Fondo pensioni per i lavoratori dello spettacolo alla data del 31 dicembre 1995, permane un massimale contributivo, nei termini adesso definiti dall’art. 1, comma 8, d.lgs. n. 182/1997: le aliquote contributive “si applicano integralmente sulla retribuzione giornaliera non eccedente il limite massimo di lire 1.000.000” e, “fermo restando il disposto di cui all’articolo 2, quinto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 31 dicembre 1971, n. 1420, qualora la retribuzione giornaliera sia superiore a lire 1.000.000 l’aliquota contributiva è dovuta sul massimale di retribuzione giornaliera imponibile corrispondente a ciascuna fascia ed è accreditato un numero di giorni di contribuzione, con un massimo di otto, secondo l’allegata Tabella A fino al raggiungimento di 312 giornate annue superate le quali si applica la previgente normativa”, mentre “sulla parte di retribuzione eccedente il massimale di retribuzione imponibile relativo a ciascuna fascia, si applica un contributo di solidarietà nella misura del 5 per cento di cui 2,50 per cento a carico del datore di lavoro e 2,50 per cento a carico del lavoratore”.

Ora, è agevole rilevare che l’indiscriminata abolizione, per la “quota B”, di un tetto della retribuzione giornaliera pensionabile darebbe adito ad un sistema fortemente squilibrato, dal momento che, a fronte del pagamento della contribuzione in misura piena fino ad un certo importo (lire 1.000.000) e, per l’eccedenza, del versamento di un mero contributo di solidarietà, il lavoratore beneficerebbe dell’eliminazione di qualsiasi tetto alla retribuzione giornaliera pensionabile, vedendosi così commisurata la pensione sulla base dell’intera retribuzione percepita, senza limitazioni di sorta. E un sistema che, pur perpetuando il massimale imponibile a fini contributivi, abolisse invece il massimale pensionabile, sarebbe ovviamente disarmonico rispetto alla legge di delegazione, che, nel vincolare il legislatore delegato a salvaguardare le esigenze di equilibrio delle gestioni previdenziali, ha formulato un criterio direttivo che non può non orientare anche l’opera dell’interprete, chiamato ad assicurare la compatibilità del decreto legislativo con i principi e i criteri direttivi prescritti dal delegante e, di conseguenza, con l’art. 76 Cost.-

Sotto questo profilo, non può non rilevarsi che, nel dettare la disciplina per il personale iscritto al Fondo pensioni per i lavoratori dello spettacolo in data successiva al 31 dicembre 1995 o che abbia esercitato l’opzione per il sistema contributivo, l’art. 1, comma 14, d.lgs. n. 182/1997, ha previsto un massimale annuo della base contributiva e pensionabile di lire 132 milioni, secondo le modalità stabilite, con valenza generale, dall’art. 2, comma 18, I. n. 335/1995: non è infatti logicamente possibile configurare un limite alla retribuzione imponibile a fini contributivi senza contestualmente prevedere la fissazione di un limite alla retribuzione pensionabile. E atteso che i dubbi di costituzionalità sorti in relazione alla diversa modulazione del limite per i lavoratori iscritti in data anteriore al 31 dicembre 1995 (che, come s’è detto in precedenza, contempla un divario tra la retribuzione sottoposta a contribuzione piena, pari a lire 1.000.000, e la retribuzione utile ai fini del calcolo della pensione, pari a lire 315.000) sono stati fugati da Corte cost. n. 202 del 2008, resa peraltro sul presupposto – condiviso tanto dai giudici rimettenti quanto dal giudice delle leggi – della perdurante applicabilità del limite di cui all’art. 12, comma 7°, d.P.R. n. 1420/1971, sarebbe affatto irragionevole ipotizzare che, ad onta delle finalità restrittive che hanno ispirato le riforme di cui al d.lgs. n. 503/1992 e alla I. n. 335/1995, i lavoratori dello spettacolo vedessero determinata la “quota B” della loro pensione in base a criteri addirittura più favorevoli, siccome disancorati da ogni limite alla retribuzione giornaliera pensionabile o comunque ad un limite meno severo rispetto a quello previsto per il calcolo della “quota A”.

Pertanto, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che si uniformerà al seguente principio di diritto: “Nella determinazione della quota B della pensione dei lavoratori dello spettacolo già iscritti all’ENPALS, relativa alle anzianità maturate successivamente al 31 dicembre 1992, non si prendono in considerazione, ai fini del calcolo della retribuzione giornaliera pensionabile, per la parte eccedente, le retribuzioni giornaliere superiori al limite fissato dall’art. 12, settimo comma, del d.P.R. 31 dicembre 1971, n. 1420, così come modificato dall’art. 1, comma 10, del decreto legislativo 30 aprile 1997, n. 182, non essendo stato tale limite abrogato per incompatibilità dall’art. 4, comma 8, del d.lgs. n. 182 del 1997”.

Il giudice designato provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

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