Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 29 dicembre 2022, n. 38026

Lavoro, Licenziamento, Giustificatezza della scelta datoriale, Parametri di cui all’art. 3 Legge n. 604/1966, Soppressione di posizione, Rigetto

 

Rilevato che

 

1. Il Tribunale di Piacenza, con la pronuncia n. 188/2017, ha rigettato la domanda proposta da S.S., nei confronti della B.C.C.C. soc. coop. di cui era dipendente con l’inquadramento, da ultimo, di dirigente con il ruolo di Responsabile di una delle quattro Aree commerciali, diretta ad ottenere la declaratoria di ingiustificatezza del recesso, intimatogli con lettera del 7.10.2014, per insussistenza dei presupposti su cui era fondato: in particolare, per la mancata soppressione del posto da lui occupato, per l’assunzione di altra risorsa per la assegnazione dell’incarico e per l’insussistenza delle ragioni addotte a sostegno del licenziamento circa i costi riferiti alla sua prestazione le sue potenzialità operative.

2. La Corte di appello di Bologna, con la sentenza n. 23/2019, in parziale modifica della decisione di primo grado ha dichiarato la illegittimità del licenziamento e ha condannato la B.C.C.C. al pagamento, in favore dello S., della somma di euro 211.332,00 a titolo di indennità supplementare.

3. I giudici di seconde cure hanno rilevato che, dall’esame delle risultanze istruttorie, non era possibile ritenere soppressa la posizione dello S. laddove, da un lato, la mansione di Responsabile di Area a questi precedentemente assegnata era ancora in essere e, dall’altro, che non era emerso alcun elemento specifico da cui desumere di reputare soppressa proprio quella facente capo all’originario ricorrente; hanno, poi, specificato che l’unico elemento di discontinuità era costituito dalla deliberata volontà, del datore di lavoro, di attribuire le mansioni di Responsabile di Area ad un dipendente con qualifica di Quadro direttivo di 4° livello per cui il comportamento della Banca risultava priva delle caratteristiche di buone fede e correttezza e palesemente finalizzato ad eliminare un dipendente oramai non gradito.

4. Avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione la B.C.C.C. soc. Coop. Affidato a due motivi, cui ha resistito con controricorso S.S..

5. Le parti hanno depositato memoria.

 

Considerato che

 

1. I motivi possono essere così sintetizzati.

2. Con il primo motivo la ricorrente eccepisce la nullità della sentenza per assoluta carenza di motivazione ex art. 132 co. 2 n. 4 cpc, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, nonché l’omesso esame ex art. 360 co. 1 n. 5 cpc, circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, costituito dalla circostanza che la motivazione posta a base del licenziamento del dirigente (rimodulazione dell’assetto aziendale delle Aree territoriali e riduzione del loro numero da quattro a tre) era diversa da quella assunta dalla Corte di appello (soppressione del posto di lavoro di Responsabile dell’Area territoriale denominata “Banina” occupato dal Rag. S.) ai fini della verifica della “giustificatezza” della scelta datoriale.

3. Con il secondo motivo la società denuncia la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 n. 3 cpc, degli artt. 53 e 54 del CCNL, dell’art. 2118 cc, degli artt. 1, 3 e 10 legge n. 604/1966 e dell’art. 41 COST., per avere la Corte distrettuale erroneamente parametrato la valutazione della legittimità del licenziamento del dirigente ai criteri fissati per il diverso caso del licenziamento per giustificato motivo oggettivo della legge n. 604/1966 quando, invece, ai sensi dell’art. 10 della predetta legge, tale disciplina non era applicabile.

4. Il primo motivo presenta profili di infondatezza e di inammissibilità.

5. Invero, in tema di contenuto della sentenza, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132 co. 2 n. 4 e dall’art. 111 Cost. sussiste quando la pronuncia riveli ma obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass. n. 3819/2020).

6. Inoltre, l’art. 360 co. 1 n. 5 cpc, riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83/2012 conv. in legge n. 134/2012, ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (Cass. n. 27415/2018; Cass. n. 8053/2014).

7. Nel caso in esame la Corte distrettuale, con motivazione esente dai vizi sopra indicati, ha valutato tutti gli aspetti della vicenda, posti a base del licenziamento, sia l’elemento della riduzione delle Aree da quattro a tre, sia il profilo dell’asserito esubero dello S., sia quello delle attribuzioni delle mansioni di Responsabile di Area ad un dipendente con qualifica di Quadro direttivo di 4° livello (a fronte della qualifica dirigenziale dello S.) giungendo alla conclusione che la decisione della Banca risultava, in sostanza, priva delle caratteristiche di buona fede e correttezza e palesemente finalizzata, di fatto, ad eliminare un dipendente oramai non gradito.

8. Si tratta di un accertamento di fatto, completo e adeguatamente motivato, esente dai vizi denunciati e, pertanto, insindacabile nel giudizio di cassazione.

9. Il secondo motivo impone alcune precisazioni preliminari desunte dai principi giurisprudenziali che sono stati affermati, in sede di legittimità, con particolare riguardo alla giustificatezza del licenziamento del dirigente per ragioni oggettive concernenti esigenze di riorganizzazione aziendale.

10. E’ stato statuito, infatti, che al rapporto di lavoro del dirigente non si applicano le norme limitative dei licenziamenti individuali (art. 1 e 3 legge n. 604/1966) e conseguentemente la nozione di giustificatezza del licenziamento del dirigente – posta dalla contrattazione collettiva di settore non coincide con quella di giustificato motivo di licenziamento contemplato dalla legge citata (Cass. n. 23044/2021).

11. La causa di giustificazione del recesso del datore di lavoro non deve, pertanto, necessariamente coincidere con le ragioni previste dall’art. 3 della legge n. 604/1966, considerato che il principio di buona fede e correttezza (parametro per misurare la legittimità del licenziamento) deve essere coordinato con quello di iniziativa economica, garantita dall’art. 41 Cost., che verrebbe radicalmente negata ove si impedisse all’imprenditore, a fronte di razionali e non arbitrarie ristrutturazioni aziendali, di scegliere discrezionalmente le persone idonee a collaborare con lui ai più alti livelli della gestione dell’impresa (Cass. n. 12688/2016; Cass. n. 3121/2015).

12. Nel rapporto di lavoro dirigenziale, caratterizzato da un accentuato profilo fiduciario, quindi, l’accertamento del licenziamento ingiustificato non può fondarsi su parametri valutativi intrinseci al concetto legale di giustificato motivo poiché la giustificatezza è un genus ben più ampio nel quale si inquadrano tutta una serie di ulteriori fattispecie, diverse da quelle che legittimano il recesso causale nei confronti dei lavoratori non appartenenti alla categoria dirigenziale, purché idonee a concretizzare valide ragioni di cessazione del rapporto di lavoro (cfr. Cass. n. 9665/2019; Cass. n. 27199/2018).

13. Può, dunque, sottolinearsi che la nozione di giustificatezza (nel licenziamento economico) si discosta da quella di giustificato motivo oggettivo ed include qualsiasi motivo di recesso che non sia arbitrario, pretestuoso, non corrispondente alla realtà ove, cioè, la ragione del recesso sia rinvenuto unicamente nell’intento di liberarsi del dirigente e non in quello di perseguire il legittimo esercizio del potere riservato all’imprenditore; il licenziamento del dirigente non deve possedere, pertanto, i caratteri della extrema ratio.

14. Ai fini del riscontro della giustificatezza, non è richiesta una analitica verifica di specifiche condizioni, ma è sufficiente una valutazione globale che escluda, appunto, l’arbitrarietà del recesso (Cass. n. 33254/2021; Cass. n. 34736/2019).

15. Il sindacato del giudice deve insistere sulla reale esistenza degli elementi (coinvolgenti la posizione del dirigente) che, nel caso in esame, possono ritenersi idonei a privare di ogni giustificazione il recesso del datore di lavoro in relazione alla violazione del principio fondamentale di buona fede nella esecuzione del contratto, configurabile quando detto recesso rappresenti l’attivazione di un comportamento puramente pretestuoso, ossia irrispettoso delle regole e dei procedimenti che assicurano la correttezza nell’esercizio del diritto (per tutte Cass. n. 5531/1993; Cass. n. 9796/2015); naturalmente è escluso, per il giudice, l’accertamento sulla possibilità di repechage in quanto incompatibile con la figura del dirigente, assistita da un regime di libera recedibilità del datore di lavoro (Cass. n. 13958/2014; Cass. n. 3175/2013).

16. Orbene, venendo allo scrutinio del motivo, ritiene il Collegio che lo stesso non sia meritevole di accoglimento essendosi la Corte territoriale attenuta ai principi di legittimità sinteticamente sopra richiamati.

17. Nello specifico i giudici di seconde cure, senza applicare i presupposti di cui all’art. 3 della legge n. 604/1966 e senza sindacare l’operato imprenditoriale ma nell’ambito delle verifiche consentite, hanno accertato la violazione dei principi di buone fede e correttezza nel recesso, intimato allo S., ritenendolo finalizzato solo alla eliminazione di un dipendente non gradito.

18. E’ stata, infatti, evidenziata la incoerenza della scelta della datrice di lavoro perché in contrasto con quanto deliberato l’anno precedente, in sede di fusione, allorché la mansione di Responsabile di Area era stata specificamente individuata per lo S. che aveva già qualifica e retribuzione da dirigente e aveva accettato l’incarico ancorché questo implicasse una restrizione delle sue precedenti attribuzioni di direttore generale.

19. E’ stata, poi, sottolineata la irragionevolezza della necessità di licenziare un dirigente quando, invece, la riduzione delle Aree di competenza da quattro a tre, avrebbe giustificato al più la possibile individuazione di un profilo superiore di qualificazione del soggetto assegnatario.

20. E’ stato, infine, precisato che non era possibile ritenere soppressa proprio la posizione dello S. laddove, da una lato, la mansione di Responsabile di Area a lui precedentemente assegnata era ancora in essere, residuando tre posizioni di tale tipo a seguito della ristrutturazione e, dall’altro, che nessun elemento specifico consentiva in una complessiva riorganizzazione delle Aree, di reputare soppressa proprio quella facente capo allo S.: il tutto in un contesto in cui la B.C. aveva dovuto ricorrere alla assunzione di due nuovi lavoratori per coprire il ruolo di responsabile di due tra le tre Aree create.

21. Come è agevole evincere la Corte distrettuale non ha esaminato il recesso in relazione ai parametri di cui all’art. 3 legge n. 604/1966, come ha sostenuto la ricorrente, ma ha accertato l’obiettiva sussistenza di fatti (oggettivi e soggettivi) idonei a giustificare causalmente il provvedimento, verificandoli e calibrandoli in relazione ai principi di buona fede e correttezza contrattuale, al solo fine di riscontrare la sussistenza del carattere di arbitrarietà e pretestuosità che è stato, poi, ritenuto effettivamente presente.

22. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato.

23. Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.

24. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

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