Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 09 gennaio 2023, n. 299
Lavoro, Contratti di collaborazione intervallati da contratti di lavoro a tempo determinato, Indici del lavoro subordinato, Conversione del rapporto di lavoro, Rigetto
Rilevato che
1. la Corte d’appello salentina, con sentenza del 12 dicembre 2016, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Lecce e in parziale accoglimento della domanda proposta da D.F., aveva: i) accertato la natura di lavoro subordinato della attività da questi prestata come istruttore-geometra presso il Comune di Lecce, dal 12.9.1997 al 31.1.2008, in forza di formali contratti di collaborazione intervallati da contratti di lavoro a tempo determinato; ii) condannato l’ente locale al pagamento delle differenze di retribuzione maturate sulla base di c.t.u. contabile in €. 40.574,18; rigettato l’ulteriore domanda di stabilizzazione ex art. 1, comma 558, legge n. 296/2006;
2. la Corte territoriale esponeva che dalla istruttoria compiuta nel primo grado risultava che il F. era stato organicamente inserito nella organizzazione della P.A., dove aveva svolto le sue prestazioni tecniche senza soluzione di continuità e con modalità essenzialmente analoghe a quelle degli altri impiegati di ruolo del settore urbanistica o lavori pubblici;
3. le sue mansioni erano state svolte con identiche modalità sia nei periodi di lavoro subordinato a tempo determinato che nel corso delle formali collaborazioni coordinate e continuative ed era stato assoggettato a pregnanti direttive, anche sul quomodo della prestazione, non compatibili con una collaborazione autonoma;
4. a ciò si aggiungeva la presenza indici sintomatici della subordinazione, come l’erogazione di una retribuzione corrisposta con busta paga a cadenza mensile e l’obbligo di firma dei registri di presenza in ufficio, donde il diritto del lavoratore di percepire le differenze stipendiali in applicazione degli artt. 2126 cod. civ. e 36 d.lgs. n. 165/2001, esattamente determinate con c.t.u. contabile;
5. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza il Comune di Lecce articolato in tre motivi, cui D.F. ha resistito con controricorso, contenente altresì ricorso incidentale condizionato, affidato a unico motivo; entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 cod. proc. civ..
Considerato che
1. con il primo motivo del ricorso principale il Comune di Lecce ha dedotto, «in relazione all’art. 360 nn. 3-4 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli articoli 1362, 1363 e 2094 cod. civ., 2222-2229 cod. civ., 51-52 d.lgs. n. 165/2001, 61 d.lgs. n. 276/2003, nonché della circ. 15.7.2004 n. 54; in relazione all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ.: omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione fra le parti;
la qualificazione del rapporto operata dalla Corte territoriale non teneva conto della volontà delle parti, che intendevano il rapporto come di co.co.co. stabilendo un nesso tra gli incarichi e l’attuazione dei progetti P.O.R., né del fatto che gli indici sussidiari in tanto rilevano in quanto l’elemento dell’assoggettamento del lavoratore alle direttive datoriali non è agevolmente apprezzabile, mentre nella specie una corretta valutazione del compendio istruttorio militava, nel suo complesso, per l’esclusione di tale assoggettamento;
sotto il profilo dell’omesso esame di un fatto decisivo, evidenzia che il giudice d’appello avrebbe trascurato che il F. si era occupato, nel corso dell’intero rapporto, di attività “perfettamente congrue” rispetto al tipo negoziale prescelto e non rapportabili alla ex sesta qualifica c.c.n.l. 1999 (ora C nell’attuale sistema classificatorio), non disponeva di cartellino marcatempo e non era stabilmente inserito nell’organico dell’ente;
2. il motivo è infondato;
il giudice dell’appello ha affermato che i contratti sottoscritti, seppure formalmente di lavoro autonomo, non corrispondevano alle modalità di effettivo svolgimento del rapporto di lavoro, connotate da subordinazione; l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato è dipesa dunque dal principio (ex plurimis: Cass, Sez. lav., 26/06/2020, n. 12871; Cass., Sez. lav., 01/03/2018, n. 4884; Cass., Sez. lav., 19/02/2016, n. 3303) secondo cui la qualificazione come autonomo del rapporto di lavoro compiuta dalle parti nel contratto sottoscritto, in caso di contestazione, è soltanto uno degli indici cui il giudice deve attenersi per la classificazione, essendo prevalente l’indagine circa l’effettivo atteggiarsi del rapporto nel suo svolgimento, ove univocamente caratterizzato dalla subordinazione;
quanto al concreto atteggiarsi della prestazione, il giudice dell’appello ha accertato il ricorrere della subordinazione ed, in particolare, la soggezione del F. a “pregnanti e specifiche direttive” incidenti anche sul “quomodo della prestazione”, poteri, per come confermato dai testi escussi in primo grado, esercitati dal responsabile del settore arch. B. e dal coordinatore geom. C. (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata); a tale accertamento ha fatto altresì riscontro l’ulteriore verifica della sussistenza degli indici cd. sussidiari ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come subordinato;
la parte ricorrente, denunciando formalmente la violazione di norme di diritto, si duole, nella sostanza, della valutazione compiuta, nella fattispecie di causa, dal giudice dell’appello in ordine al ricorrere degli indici del lavoro subordinato, sollecitando questa Corte a compiere un non consentito riesame del merito, anche attraverso l’incongruo richiamo alla censura prevista dall’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., peraltro formulato in modo non conforme ai noti principi enunciati dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass., Sez. U., 22.9.2014 n. 19881 e Cass., Sez. U., 7.4.2014 n. 8053);
come noto, la qualificazione giuridica del rapporto di lavoro è censurabile in sede di legittimità soltanto limitatamente alla scelta dei parametri normativi di individuazione della natura subordinata o autonoma del rapporto, mentre l’accertamento degli elementi, che rivelino l’effettiva presenza del parametro stesso nel caso concreto attraverso la valutazione delle risultanze processuali e che sono idonei a ricondurre le prestazioni ad uno dei modelli, costituisce apprezzamento di fatto che, se immune da vizi giuridici e adeguatamente motivato, resta insindacabile in Cassazione (v. Cass. 27 luglio 2007, n. 16681; Cass. 23 giugno 2014, n. 14160);
3. con la seconda critica il Comune di Lecce ha denunciato violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 416 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 n. 4-5 cod. proc. civ., nonché omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti;
la sentenza impugnata aveva respinto implicitamente l’eccezione di prescrizione riguardante le differenze retributive per il periodo 1997-2005, eccezione sollevata tempestivamente con la memoria 28.6.2010 (e dunque nei 10 gg. antecedenti la prima udienza tenutasi il 9.7.2010) in allegato n. 17 al presente ricorso e reiterata in grado d’appello a pag. 13 della memoria di costituzione (all. 1 del fascicolo d’appello); di qui il profilo anche di nullità della sentenza per l’omessa pronuncia sull’eccezione di prescrizione che si risolve nella violazione del principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato;
4. il motivo, ancor prima che infondato, è proposto in maniera irrituale;
invero, qualora il ricorrente prospetti un error in procedendo, rispetto al quale la Corte di cassazione è giudice del “fatto processuale”, l’esercizio del potere di diretto esame degli atti del giudizio di merito presuppone l’ammissibilità della censura ex art. 366 cod. proc. civ., sicché la parte non è dispensata dall’onere di specificare il contenuto della critica mossa alla sentenza impugnata, di indicare in modo egualmente specifico i fatti processuali alla base dell’errore denunciato e di trascrivere nel ricorso gli atti rilevanti (Cass., Sez. U., n. 8077 del 2012);
infatti, la proposizione del motivo di censura resta soggetta alle regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, nel senso che la parte ha l’onere di rispettare il principio di autosufficienza del ricorso e le condizioni di procedibilità di esso (in conformità alle prescrizioni dettate dall’art. 366, comma 1, n. 6 e 369, comma 2, n. 4, cod. proc. civ.), di guisa che l’esame diretto che la Corte è chiamata a compiere è pur sempre circoscritto a quegli atti e a quei documenti che la parte abbia specificamente indicato ed allegato;
nella specie, il Comune di Lecce omette di trascrivere il brano sia delle difese di prime cure che della fase di gravame attinente all’enunciazione dell’eccezione in parola, che pure assume di aver tempestivamente formulato nei diversi gradi del giudizio di merito, e non chiarisce oltretutto se vi sia stata, e con quale contenuto, statuizione del Tribunale a riguardo, il che, all’evidenza, rileva ai fini dell’ammissibilità della (pur dedotta) reiterazione, ex art. 346 cod. proc. civ., della censura in appello;
questo perché, se l’eccezione viene esaminata e decisa, anche implicitamente, dal Tribunale, la parte totalmente vittoriosa nel merito, ma soccombente su questione preliminare di merito per rigetto (espresso od implicito) o per omesso esame della stessa – che consiste nell’illegittima pretermissione o nella violazione dell’ordine di decisione delle domande e/o delle eccezioni impresso dalla parte medesima – deve spiegare appello incidentale per devolvere alla cognizione del giudice superiore la questione rispetto alla quale ha maturato una posizione di soccombenza teorica; infatti, non può limitarsi alla mera riproposizione di detta questione, che è sufficiente nei soli casi in cui non vi è la necessità di sollevare una critica nei confronti della sentenza impugnata, ovvero nelle ipotesi di legittimo assorbimento (ex aliis, cfr. Cass. 15.7.2021, n. 20315; Cass. 24.6.2021, n. 18119; Cass. 28.8.2018, n. 21264);
nella specie, guardando direttamente gli atti processuali, si evince, appunto, che il Tribunale, esaminando l’eccezione in parola, la disattendeva, perché introdotta irritualmente con memoria difensiva non autorizzata (così testualmente in motivazione e in dispositivo);
5. con la terza critica deduce violazione e falsa applicazione degli articoli 2126 cod. civ. e 36 d.lgs. n. 165/2001, in riferimento all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ., ed omesso esame di un fatto decisivo, nonché, in relazione all’art. 360 n. 4 cod. proc. civ., violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e, ancora, in relazione all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ. violazione e falsa applicazione degli artt. 97 Cost. e 112 cod. proc. civ.;
erroneamente la Corte aveva affermato che il F. aveva continuato a lavorare anche negli intervalli tra la scadenza di un contratto a tempo determinato o di collaborazione e la stipula di quello successivo, mentre i testimoni si erano limitati a riferire che «in genere i co.co.co frequentavano l’ufficio anche nel periodo di scopertura contrattuale, senz’altro specificare»;
la Corte territoriale aveva poi riconosciuto al F., in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., differenze retributive pur in assenza di una domanda specifica in tal senso ai sensi dell’art. 2126 cod. civ., essendosi egli limitato a chiedere la conversione del rapporto e le connesse differenze stipendiali;
6. il motivo è inammissibile, perché, attraverso l’apparente deduzione del vizio di violazione di legge, denunciato congiuntamente alla nullità della sentenza ed all’omesso esame di fatto decisivo, mira a una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice del merito e si risolve in una critica del ragionamento decisorio seguito dalla Corte territoriale quanto agli accertamenti di fatto, sollecitandone la revisione, non consentita in sede di legittimità;
quanto al lamentato vizio di ultrapetizione, è agevole replicare che il giudice dell’appello non ha mutato né la causa petendi (illegittima stipula di contratti di collaborazione autonoma a fronte di una prestazione di lavoro subordinato di fatto) né il petitum (pagamento delle differenze retributive e dei contributi previdenziali), ma ha semplicemente esercitato la propria potestà di individuare d’ufficio (in virtù del principio iura novit curia e dell’art. 113, comma 1, cod. proc. civ.) la norma regolatrice del caso, correttamente indicata nell’art. 2126 cod. civ. (Cass. 28.6.2022, n. 20697);
7. conclusivamente, il ricorso principale deve essere rigettato, restando assorbito quello incidentale condizionato;
le spese del presente giudizio di legittimità sono regolate secondo il principio della soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale e dichiara assorbito quello incidentale; condanna il ricorrente principale al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per esborsi ed € 5.000,00 per competenze professionali, oltre al rimborso delle spese generali del 15% e agli accessori di legge.
Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso principale, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.