Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 gennaio 2023, n. 410
Lavoro, Licenziamento collettivo per riduzione di personale, Comunicazione prevista dall’art. 4, terzo comma L. n. 223/1991, Delimitazione della platea dei lavoratori destinatari del provvedimento di messa in mobilità o di licenziamento, Rigetto
Rilevato che
1. con sentenza 3 febbraio 2021, la Corte d’appello di Roma ha rigettato i reclami riuniti di E.T. s.p.a. avverso la sentenza di primo grado, di accertamento, in esito a rito Fornero, del licenziamento da questa intimato il 21 luglio 2017 a M.C., nell’ambito di una procedura di licenziamento collettivo per riduzione di personale, con la condanna della società datrice alla reintegrazione del lavoratore e alla corresponsione, in suo favore a titolo risarcitorio, delle retribuzioni, commisurate all’ultima globale di fatto, dal giorno di licenziamento a quella di effettiva reintegrazione, comunque in misura non inferiore a dodici mensilità;
2. essa ha ritenuto in particolare non corretta e ingiustificata, neppure essendone state indicate le ragioni nella comunicazione prescritta dall’art. 4, terzo comma l. 223/1991, la riduzione della platea dei lavoratori licenziandi al solo settore di individuazione degli esuberi, senza alcuna comparazione del profilo professionale del lavoratore con quello dei colleghi delle altre sedi;
3. la Corte capitolina ha pertanto condiviso l’applicazione della tutela reintegratoria, per la natura sostanziale della violazione dei criteri di scelta, a norma degli artt. 17 l. 223/1991 e 18, quarto e settimo comma l. 300/1970, come novellato dalla l. 92/2012. E disatteso la reiterata questione di illegittimità costituzionale dell’art. 5, terzo comma l. 223/1991 per disparità di trattamento (tutela reintegratoria) rispetto ai licenziamenti plurimi individuali per riduzione di personale (tutela risarcitoria);
4. infine, essa ha negato la denunciata nullità della sentenza, perché decisa con l’ordinario rito lavoristico, e quindi con lettura del dispositivo e successivo deposito della sentenza, anziché con rito Fornero.
5. con atto notificato il 23 marzo 2021, la società ha proposto ricorso per cassazione con cinque motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 380bis1 c.p.c., cui il lavoratore ha resistito con controricorso.
Considerato che
1. in via preliminare, devono essere rigettate le istanze, formulate dalla società ricorrente con la memoria finale, di rimessione alle sezioni unite e alla pubblica udienza, in assenza di originalità e di rilevanza nomofilattica della questione, come già ritenuto dai precedenti esattamente in termini (in particolare, ex multis: Cass. 18 gennaio 2022, n. 1382 e Cass. 28 gennaio 2022, n. 2722, in motivazione sub p.ti 5.1. e 5.2.; Cass. 27 gennaio 2022, n. 2390, in motivazione sub p.to 2.), che l’hanno già risolta in senso negativo;
2. nel rispetto del pregiudiziale ordine logico – giuridico delle questioni poste, la ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 1, comma 57 l. 92/2012, 111 Cost., 132 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c., per nullità della sentenza, in quanto pronunciata con lettura del dispositivo in udienza, ai sensi dell’art. 429 c.p.c., proprio del rito lavoristico ordinario e pertanto in assenza di motivazione, anziché con suo deposito, completo di essa, come stabilito espressamente dal rito Fornero (quinto motivo);
3. esso è infondato;
4. nel rito c.d. Fornero, previsto dagli artt. 1, comma 47 ss. l. 92/2012, non è prevista la lettura del dispositivo in udienza e l’eventuale pronuncia, che comunque vi sia stata, costituisce una mera anticipazione della pubblicazione del dispositivo rispetto alla motivazione, sicché non è ravvisabile alcuna nullità della sentenza depositata successivamente, entro il termine di dieci giorni dalla data dell’udienza di discussione, di cui al comma 57 del citato art. 1, essendo fatta salva la finalità acceleratoria del rito speciale e non configurandosi alcun pregiudizio del diritto di difesa ai fini dell’impugnazione, i cui termini decorrono dal deposito della motivazione (Cass. 21 febbraio 2022, n. 5649);
4.1. nel caso di specie, deve essere esclusa la nullità della sentenza, per la difformità del rito (lettura in udienza del dispositivo, secondo quello del lavoro) seguito dal Tribunale in sede di giudizio di opposizione ad ordinanza, in luogo di quello corretto previsto dall’art. 1, comma 57 l. 92/2012 (rito Fornero), in assenza di violazione dei diritti di difesa delle parti (Cass. 13 aprile 2010, n. 8721), avendo comunque la società (dopo un primo reclamo avverso il solo dispositivo) tempestivamente reclamato la sentenza nella sua interezza, depositata nelle more; 4.2. è principio noto che la denuncia di vizi fondati sulla pretesa violazione di norme processuali non tuteli l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisca solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della denunciata violazione; con la conseguente inammissibilità dell’impugnazione con la quale si lamenti un mero vizio del processo, senza prospettare anche le ragioni per le quali l’erronea applicazione della regola processuale abbia comportato, per la parte, una lesione dei diritto di difesa o altro pregiudizio per la decisione di merito (Cass. 18 dicembre 2014, n. 26831; Cass. 20 novembre 2020, n. 26419);
5. la ricorrente ha quindi dedotto violazione e falsa applicazione degli artt. 4, 5 l. 223/1991, 41 Cost., per avere la Corte capitolina erroneamente ritenuto illegittima la limitazione della platea dei lavoratori licenziandi al solo settore di esubero, siccome rispondente alle ragioni organizzative (rimesse unicamente alla scelta del datore di lavoro, ispirata al criterio legale delle esigenze tecnico-produttive, in virtù del fondamentale principio costituzionale di libertà di iniziativa economica) di ubicazione geografica delle diverse sedi, lontane anche centinaia di chilometri l’una dall’altra, pertanto obiettivamente giustificata e comunicata nella lettera di avvio della procedura (primo motivo); violazione e falsa applicazione dell’art. 5 l. 223/1991 c.c., per la chiara indicazione del criterio di scelta privilegiato nelle obiettive esigenze tecniche produttive ed organizzative, dipendenti dal rinnovamento delle strategie aziendali per mantenere competitività sul mercato, rispetto alle quali le competenze del lavoratore risultavano obsolete e non spendibili in altri settori: e pertanto trattandosi di riduzione “mirata” a specifici profili tecnici e non certo a personale fungibile (secondo motivo);
6. essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono infondati;
7. secondo il consolidato insegnamento giurisprudenziale di questa Corte, la legittima delimitazione della platea, qualora il progetto di ristrutturazione si riferisca in modo esclusivo ad un’unità produttiva (ben potendo le esigenze tecnico-produttive ed organizzative costituire criterio esclusivo nella determinazione della platea dei lavoratori da licenziare), deve essere indicata dal datore nella comunicazione prevista dall’art. 4, terzo comma l. 223/1991 sia nelle ragioni che limitino i licenziamenti ai dipendenti dell’unità o settore in questione, sia nelle ragioni per cui non si ritenga di ovviarvi con il trasferimento ad unità produttive vicine, al fine di consentire alle organizzazioni sindacali di verificare l’effettiva necessità dei programmati licenziamenti; con la conseguenza che “qualora nella comunicazione si faccia generico riferimento alla situazione generale del complesso aziendale, senza alcuna specificazione delle unità produttive da sopprimere, i licenziamenti intimati sono illegittimi per violazione dell’obbligo di specifica indicazione delle oggettive esigenze aziendali” (Cass. 9 marzo 2015, n. 4678; Cass. 12 settembre 2018, n. 22178; Cass. 11 dicembre 2019, n. 32387; Cass. 6 maggio 2021, n. 12040);
7.1. nel caso di specie, la Corte territoriale ha escluso la prova di una tale indicazione nella suddetta comunicazione (ai primi due capoversi di pg. 6 della sentenza), avendo pure accertato la mancata doverosa comparazione dalla società datrice tra i lavoratori interessati anche delle altre sedi aventi professionalità equivalenti, senza neppure chiarirne la ragione, né indicarla nella comunicazione prevista dall’art. 4, terzo comma l. cit. (per le ragioni esposte dal penultimo capoverso di pg. 5 all’ultimo di pg. 8 della sentenza);
7.2. a questo proposito devono essere ribadite, ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., le ragioni (espresse in particolare in Cass. 27 gennaio 2022, n. 2390, in motivazione sub p.ti 4.1. – 4.3., con ampio richiamo di precedenti) di legittima delimitazione della platea dei lavoratori destinatari del provvedimento di messa in mobilità o di licenziamento, purché condizionata agli elementi acquisiti in sede di esame congiunto, non potendo rappresentare l’effetto dell’unilaterale determinazione del datore di lavoro, ma dovendo essere giustificata dalle esigenze organizzative fondanti la riduzione del personale adeguatamente esposte nella comunicazione prevista dall’art. 4, terzo comma l. 223/1991, onde consentire alle OO.SS. di verificare il nesso fra le ragioni che determinano l’esubero di personale e le unità lavorative che l’azienda intenda concretamente espellere; essendo poi necessaria, ove ricorrano oggettive esigenze tecnico-produttive, la loro coerenza con le indicazioni contenute nella comunicazione di cui all’art. 4, terzo comma, legge n. 223 del 1991, con onere datoriale di prova del fatto che giustifichi il più ristretto ambito nel quale la scelta sia stata effettuata, ma anche che gli addetti prescelti non svolgessero mansioni fungibili con quelle di dipendenti assegnati ad altri reparti o sedi; e pure deve essere riaffermato il principio di irrilevanza, ai fini di esclusione della comparazione con i lavoratori di equivalente professionalità addetti alle unità produttive non soppresse e dislocate sul territorio nazionale, la circostanza che il mantenimento in servizio di un lavoratore appartenente alla sede soppressa esigerebbe il suo trasferimento in altra sede, con aggravio di costi per l’azienda e interferenza sull’assetto organizzativo, non contemplato tra i parametri dell’art. 5 l. 223/1991;
8. la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 18, quarto, quinto e settimo comma l. 300/1970, 4, 5 e 17 l. 223/1991 e violazione dell’art. 100 c.p.c., per erronea selezione della tutela reintegratoria, anziché risarcitoria, applicata, in relazione alla violazione lamentata dal lavoratore, configurante al più vizio meramente formale e non sostanziale:
riguardando non già la violazione dei criteri di scelta, bensì questioni relative alla collocazione aziendale e ai profili professionali del personale eccedente, in assenza di una verifica in concreto di un’effettiva sussistenza dell’esubero del lavoratore da parte della Corte territoriale, limitatasi ad una valutazione astratta, ridondante nella carenza di interesse ad agire della predetta (terzo motivo);
9. esso è infondato;
10. l’individuazione, come appunto nel caso di specie, dell’ambito applicativo dei criteri di scelta, che tenga unilaterale conto dell’esigenza aziendale collegata all’appartenenza territoriale ad una sola delle unità produttive, non è corretta e determina una violazione dei criteri di scelta, per la quale l’art. 5, primo comma l. 223/1991, come sostituito dall’art. 1, quarantaseiesimo comma l. 92/2012, prevede l’applicazione della tutela reintegratoria, a norma del novellato art. 18, quarto comma l. 300/1970, che riguarda tutte le modalità di applicazione dei suddetti criteri (Cass. 26 settembre 2016, n. 18847; Cass. 3 agosto 2018, n. 20502; Cass. 28 gennaio 2019, n. 2291); costituendo invece “violazione delle procedure”, il diverso caso di non corrispondenza della comunicazione al modello legale previsto dall’art. 4 della l. 223/1991 (Cass. 18 gennaio 2022, n. 1382, in motivazione sub p.to 16.; Cass. 27 gennaio 2022, n. 2390, in motivazione sub p.to 5.1.);
10.1. la Corte territoriale ha correttamente applicato la tutela reintegratoria (per le ragioni esposte primi quattro alinea di pg. 9 della sentenza), in conformità dei suenunciati principi di diritto;
10.2. né la sentenza impugnata, avendo ritenuto a monte illegittima la limitazione della platea dei licenziabili, non estesa all’intero complesso aziendale, è in contrasto con il principio per il quale, in tema di licenziamento collettivo, l’annullamento per violazione dei criteri di scelta ai sensi dell’art. 5 della l. 223/1991 non possa essere domandato indistintamente da ciascuno dei lavoratori licenziati ma soltanto da coloro che, tra essi, abbiano in concreto subito un pregiudizio per effetto della violazione, perché avente rilievo determinante rispetto alla collocazione in mobilità dei lavoratori stessi (Cass. 22 maggio 2019, n. 13871; Cass. 1 dicembre 2016, n. 24558), atteso che detto canone evidentemente opera laddove la platea dei lavoratori licenziabili sia stata correttamente limitata e, nell’ambito più ristretto così definito, i criteri di scelta adottati si assumano malamente applicati (Cass. 27 gennaio 2022, n. 2390, in motivazione sub p.to 4.3.);
11. la ricorrente deduce infine violazione e falsa applicazione dell’art. 5, terzo comma, terzo periodo l. 223/1991 come mod. dalla legge 92/2012, in contrasto con gli artt. 3, 24, 41 Cost., per violazione dei principi di uguaglianza, ragionevolezza e libertà di iniziativa economica, in ragione della disparità di trattamento riservato ai lavoratori attinti da licenziamento collettivo per violazione dei criteri di scelta (tutela reintegratoria) rispetto a quelli destinatari di licenziamenti plurimi individuali per riduzione di personale (tutela risarcitoria) (quarto motivo);
12. esso è in parte inammissibile e in parte infondato;
13. è inammissibile, infatti, il motivo di ricorso per cassazione diretto unicamente a prospettare una questione di legittimità costituzionale di una norma, non potendo essere configurato a riguardo un vizio del provvedimento impugnato idoneo a determinarne l’annullamento da parte della Corte; posto che è riservata al potere decisorio del giudice la facoltà di sollevare o meno la questione dinanzi alla Corte costituzionale, ben potendo la stessa essere sempre proposta, o riproposta, dall’interessato, oltre che prospettata d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, purché essa risulti rilevante, oltre che non manifestamente infondata, in connessione con la decisione di questioni sostanziali o processuali ritualmente dedotte nel processo (Cass. 9 luglio 2020, n. 14666; Cass. 8 novembre 2022, n. 32821);
13.1. qualora la denuncia sia intesa come sollecitazione alla prospettazione di una questione di illegittimità costituzionale da questa Corte, essa è manifestamente infondata per le ragioni illustrate da Cass. 27 gennaio 2022, n. 2390, in motivazione sub p.ti 20.1, 20.2.), dovendo essere in particolare ribadita la non irragionevole scelta normativa sub specie di una ingiustificata diversità di trattamento, ponendo a confronto discipline tra loro così eterogenee, qual è quella del licenziamento ex lege n. 223 del 1991 che ha procedure e presupposti diversi rispetto alla disciplina del licenziamento ex lege n. 604 del 1966; tanto è confermato dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte che ha da tempo escluso la “conversione” del licenziamento collettivo in licenziamento individuale, proprio sull’argomento dell’autonomia, dopo l’entrata in vigore della legge n. 223 del 1991, del licenziamento collettivo quale istituto distinto dal licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, siccome specificatamente caratterizzato in base alle dimensioni occupazionali dell’impresa, al numero dei licenziamenti, all’arco temporale entro cui gli stessi sono effettuati, inderogabilmente collegato al controllo preventivo, sindacale e pubblico, dell’operazione imprenditoriale di ridimensionamento dell’azienda (Cass. n. 5794 del 2004; Cass. n. 25353 del 2009; Cass. n. 22167 del 2010; Cass. n. 24566 del 2011);
14. pertanto il ricorso deve essere rigettato, con la regolazione delle spese del giudizio secondo il regime di soccombenza e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la società alla rifusione, in favore del lavoratore, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.