Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 gennaio 2023, n. 675

Lavoro, Malattia professionale “silicosi”, Risarcimento del danno iure proprio e iure hereditatis, Principio della equivalenza causale di cui all’art. 40, comma 2 c.p., Fattori concausali collegati al rischio lavorativo, Adesione acritica alla consulenza, Accoglimento

 

Rilevato che

 

1. la Corte di appello di Venezia, in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto la domanda con la quale M.B. e G.C., eredi di F.C., premessa la responsabilità della convenuta A.V. s.p.a., ex datrice di lavoro di F.C., nella determinazione della malattia professionale “silicosi” a quest’ultimo riconosciuta dall’INAIL, nonché in relazione alle patologie tumorali insorte dopo la cessazione del lavoro, avevano chiesto la condanna della società al risarcimento del danno sia iure proprio che iure hereditatis;

2. la statuizione di riforma è stata fondata sulla base degli esiti della consulenza tecnica d’ufficio disposta in seconde cure che aveva escluso la esistenza di un nesso causale tra la patologia tumorale e l’attività prestata dal C. alle dipendenze della società convenuta;

3. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso G.C., anche per la quota ereditaria di M.B., moglie di C. F., nelle more deceduta, sulla base di quattro motivi; la parte intimata ha resistito con controricorso;

 

Considerato che

 

1. con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2087 cod. civ., dell’art. 111 Cost., degli artt. 132 cod. proc. civ. e 118 disp. att. cod. proc. civ., omessa valutazione di un fatto controverso e decisivo nonché degli artt. 421, 434, 437 e 445 cod. proc. civ. e conseguente difetto di motivazione in relazione alla mancata ammissione della prova richiesta; le censure articolate attengono all’omesso esame della causa petendi dell’azione proposta, incentrata sulla nocività delle mansioni espletate e dell’ambiente lavorativo rispetto ai quali ci si duole della mancata ammissione della prova orale; si critica, inoltre, la sentenza impugnata in quanto adottata in violazione del principio di equivalenza causale;

2. con il secondo motivo denunzia difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia consistente nell’avere la sentenza impugnata immotivatamente prestato adesione alla consulenza tecnica d’ufficio espletata in secondo grado, senza tenere conto delle osservazioni della parte appellata nel corso e successivamente all’espletamento della c.t.u.;.

3. con il terzo motivo di ricorso deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., dell’art. 432 cod. proc. civ. e dell’art. 1362 e sgg. cod. civ. nonché omessa valutazione di un fatto decisivo determinante, oggetto di discussione fra le parti, denunziando in via subordinata l’interpretazione illogica ed errata della causa petendi e del contenuto del ricorso, sia di primo grado che di appello, e lamentando che la sentenza di seconde cure fosse fondata sulla base di circostanze ritenute prevalenti, quali il tabagismo, prive di concreto riscontro;

4. con il quarto motivo di ricorso deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2738 cod. civ. e dell’art. 41 cod. pen., nonché omessa insufficiente e contraddittoria motivazione, censurando la decisione sotto il profilo della esistenza sulla base di criteri medico-legali della esistenza del nesso di causalità tra attività lavorativa e malattia; richiamate una serie di circostanze fattuali insiste sull’aspetto della equivalenza causale;

5. i motivi di ricorso, esaminati congiuntamente per connessione, sono fondati nei termini che seguono, restando assorbita ogni diversa censura;

5.1. la sentenza impugnata in dichiarata adesione agli esiti della consulenza tecnica di ufficio di secondo grado ha respinto la domanda degli originari ricorrenti; in particolare ha richiamato, trascrivendoli in motivazione, i pertinenti brani della relazione peritale di secondo grado nella quale, fra l’altro, l’ausiliare dava atto di un quadro diagnostico di pneumoconiosi “non ulteriormente definibile, possibile silicosi, ma anche di pneumoconiosi da polveri miste o da carburo di silicio cui con molta probabilità C.F. è stato esposto dal 1960 al 1978” e con riferimento al carcinoma alla laringe ne ravvisava la causa nell’elevata esposizione al fumo di sigaretta e in una esposizione a polveri miste, “probabilmente inclusa anche la silice cristallina”, concludendo che a fronte di più fattori di rischio, il tabagismo aveva avuto un “ruolo prevalente” e che vi era “limitata evidenza” del ruolo concausale della esposizione a polveri miste;

5.2. dagli elementi sopra esposti il giudice di secondo grado ha tratto la conferma del mancato raggiungimento della prova del nesso causale tra il tumore polmonare e l’attività lavorativa svolta da F. C. presso la società convenuta;

5.3. tale conclusione, così come le argomentazioni del consulente tecnico di ufficio che avrebbero dovuto supportarla, risulta inidonea a giustificare la decisione di rigetto; la Corte di merito nel valorizzare, sulla base della relazione peritale, al fine dell’insorgenza della patologia tumorale il ruolo “prevalente” del tabagismo avrebbe dovuto, infatti, considerare per il principio della equivalenza causale di cui all’art. 40, comma 2 cod. pen. la possibile esistenza di fattori concausali collegati al rischio lavorativo, fattori che avrebbero dovuto essere verificati alla luce di un ragionamento probabilistico che nello specifico non è dato riscontrare; né la esclusione del ruolo concausale dell’esposizione lavorativa può trarsi dall’accertamento del consulente tecnico di ufficio richiamato in sentenza, stante il carattere obiettivamente “perplesso” del complessivo ragionamento dell’ausiliare ed in particolare dell’affermazione conclusiva relativa alla “limitata evidenza” del ruolo concausale dell’esposizione a polveri miste (l’evidenza o c’è o non c’è);

5.4. è ancora da rimarcare che la Corte territoriale in presenza di plurime relazioni peritali svolte con esiti difformi nei giudizi di merito di primo e secondo grado (in primo grado, secondo quanto emerge alla sentenza impugnata, la relazione integrativa dell’ausiliare era pervenuta a conclusioni diametralmente opposte a quelle formulate in appello dal consulente di ufficio), intendendo uniformarsi alla seconda consulenza, non poteva limitarsi ad una adesione acritica alla stessa ma avrebbe dovuto giustificare la propria preferenza indicando le ragioni per le quali riteneva preferibile aderire alla seconda consulenza e non anche alle diverse conclusioni attinte con la prima relazione peritale dal consulente di ufficio di primo grado (Cass. n. 19372/2021);

6. in base alle considerazioni che precedono si impone quindi la cassazione con rinvio della decisione ;

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione, alla quale demanda il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

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