Il licenziamento del lavoratore che durante la fruizione della CIGS non comunichi all’INPS e al datore di lavoro la prestazione di attività lavorativa, anche solo potenzialmente remunerativa, in favore di altra impresa, è legittimo.
Nota a Cass. (ord.) 21 ottobre 2022, n. 31146
Sonia Gioia
L’omesso adempimento, da parte del lavoratore, dell’obbligo di comunicare preventivamente al proprio datore di lavoro e all’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale l’avvio di una nuova attività lavorativa, anche solo potenzialmente idonea a generare reddito, durante la fruizione della Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria (c.d. CIGS), integra una grave violazione degli obblighi di legge, tale da giustificare l’irrogazione della massima sanzione disciplinare.
Lo ha ribadito la Corte di Cassazione (ord. 21 ottobre 2022, n. 31146, conforme ad App. Cagliari, sez. distaccata di Sassari, n. 225/2019) in relazione ad una fattispecie concernente un lavoratore, dipendente di una compagnia aerea con qualifica di primo ufficiale, licenziato per aver omesso di comunicare alla società datrice e alla sede territoriale dell’INPS lo svolgimento, in costanza di fruizione della CIGS, di attività di lavoro presso un’altra impresa, percependo, in tal modo, sia la retribuzione convenuta per il nuovo rapporto di lavoro che il trattamento di integrazione salariale.
Al riguardo, il lavoratore che avvii, durante il periodo di sospensione del lavoro con attivazione della CIGS, una nuova attività lavorativa, sia subordinata che autonoma, è tenuto a darne preventivamente comunicazione all’INPS, pena la decadenza dal trattamento.
La ratio di tale comunicazione è quella di consentire all’ente previdenziale la tempestiva verifica della compatibilità tra l’integrazione salariale e la prestazione che il lavoratore si appresta a svolgere, dal momento che la cassa integrazione guadagni costituisce una forma di assicurazione sociale attraverso cui il legislatore vuole garantire, in presenza di particolari vicende dell’impresa, un sostegno al reddito ai lavoratori (altrimenti irrimediabilmente compromesso), ai sensi dell’art. 38, co. 2 Cost., e, al contempo, vuole evitare indebiti arricchimenti a scapito delle finanze dello Stato.
In particolare, l’obbligo di comunicazione preventiva, a carico del prestatore, sussiste “anche se la nuova occupazione dia luogo ad un reddito compatibile con il godimento del trattamento di integrazione salariale” e riguarda lo svolgimento di ogni attività di lavoro autonomo, oltre che subordinato, quand’anche non riconducibile allo schema contrattuale di cui agli artt. 2222 e ss. c.c. (concernenti le prestazioni di lavoro autonomo) e art. 2230 c.c. (riguardante le prestazioni d’opera intellettuali), “e anche se svolta nell’ambito della partecipazione ad un’impresa, e ancora, più in generale, qualunque attività potenzialmente remunerativa, pur se in concreto non abbia prodotto alcun reddito e pur se l’ente previdenziale ne abbia avuto comunque tempestiva notizia da parte del nuovo datore di lavoro, o aliunde” (sul punto l’orientamento giurisprudenziale è consolidato, v. Cass. n. 3122/2021; Cass. n. 3121/2021; Cass. n. 3116/2021; Cass. n. 11679/2005).
L’ulteriore attività, secondo la Corte, non deve avere il carattere della “prevalenza”, poiché tale requisito non è previsto dalla legge, con la conseguenza che va esclusa la necessità di ogni indagine giudiziale in ordine all’impegno temporale del prestatore nell’attività svolta nei periodi di cassa integrazione o all’apporto economico di tale attività rispetto al totale dei redditi percepiti nel periodo considerato né rileva che la stessa sia soggetta a contribuzione (Cass. n. 15890/2004; Cass. n. 8490/2003; Cass. n. 2788/2001).
L’ambito delle occupazioni oggetto di comunicazione preventiva è individuato dalla giurisprudenza di legittimità “nel suo significato più ampio”: l’attività lavorativa, infatti, è intesa come l’insieme delle condotte umane implicanti l’impiego di una professionalità, anche minima, e potenzialmente redditizie, senza che assuma rilievo la forma negoziale nella quale esse siano svolte o la loro effettiva remunerazione, rilevando solo la loro “potenziale ‘redditività’” (Cass. n. 3122 cit.; Cass. n. 3121 cit.; Cass. n. 3116 cit.)
Nel caso di specie, la Corte ha confermato la pronuncia di merito secondo cui l’omessa comunicazione, da parte del lavoratore, dello svolgimento di altra attività lavorativa, durante il periodo di fruizione della CIGS, costituisce una “condotta di estrema gravità” idonea a giustificare l’irrogazione della sanzione espulsiva, “restando irrilevante la mancanza di pregressi precedenti disciplinari”.