Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 gennaio 2023, n. 744

Lavoro, Opposizione datoriale all’esecuzione promossa da lavoratori licenziati, Error in procedendo, Accoglimento

 

Fatto

 

1. Con sentenza 2 ottobre (notificata il 16 novembre) 2020, la Corte d’appello di Caltanissetta ha rigettato l’opposizione all’esecuzione proposta da S. s.p.a. e condannato la società alla restituzione delle somme eventualmente versate, ai sensi dell’art. 96, terzo comma c.p.c., da F.D. e L.D.S., in riforma della sentenza di primo grado, che l’aveva invece accolta, escludendo la spettanza ai due lavoratori di alcuna somma e condannandoli al pagamento solidale di € 5.000,00, ai sensi della disposizione citata.

2. Essa ha ritenuto in particolare, secondo il principio di “ragione più liquida”, il vizio di ultrapetizione della sentenza impugnata, in esito ad interpretazione della domanda della società alla stregua di denuncia di indeterminatezza dei crediti oggetto di esecuzione, con richiesta della sua sola sospensione, in assenza di alcuna contestazione del titolo esecutivo dei due lavoratori (sentenza del Tribunale di Gela n. 502/2010, di illegittimità del licenziamento intimato dalla datrice S. s.p.a, con ordine di reintegrazione dei predetti nel posto di lavoro e condanna al pagamento in loro favore di un’indennità risarcitoria dal licenziamento alla data di reintegrazione, avvenuta con la comunicazione 29 novembre 2010), né in ordine alla estensione temporale dei loro crediti.

3. In ogni caso, “anche a voler accedere … alla ricostruzione offerta dal primo decidente”, la Corte nissena ha ritenuto che “la decisione sarebbe ugualmente errata sotto il profilo dello stretto merito, in quanto, passate in giudicato le statuizioni della sentenza n. 502/2010”, perché “sarebbero state comunque dovute agli intimati le somme a tale titolo maturate dal 9.11.2010 al 29.11.2010”.

4. Con atto notificato il 18 gennaio 2021 la società ha proposto ricorso per cassazione con unico motivo, cui hanno resistito i lavoratori con controricorso e memoria ai sensi dell’art. 380bis c.p.c.

5. La causa, inizialmente fissata in adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380bis c.p.c., per la sua rilevanza nomofilattica, è stata rinviata a nuovo ruolo, con ordinanza interlocutoria del 26 maggio 2022 e quindi nuovamente fissata all’odierna pubblica udienza.

6. Il P.G. ha rassegnato conclusioni scritte, a norma dell’art. 23, comma 8bis d.l. 137/20 inserito da l. conv. 176/20, nel senso dell’infondatezza del ricorso.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con unico motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 99 e 112 c.p.c., per inesistenza del vizio di ultrapetizione della sentenza di primo grado, invece ravvisato da quella di appello, sulla base del contenuto dell’opposizione datoriale all’esecuzione promossa dai due lavoratori licenziati, avente ad oggetto la pretesa esecutiva da loro azionata e non già solo l’indeterminatezza dei crediti, come erroneamente ravvisato dalla seconda; in ogni caso, essa ha pure dedotto l’insussistenza del titolo esecutivo dei lavoratori, così come azionato, non essendo stato detratto l’aliunde perceptum risultante dai rapporti di lavoro dai medesimi instaurati dalla data dei rispettivi licenziamenti al 31 ottobre 2015 (per D.) e al 30 novembre 2013 (per D.S.).

2. Giova premettere che, nell’insegnamento di questa Corte, si sono radicati due diversi orientamenti giurisprudenziali su una questione processuale nevralgica, e nell’odierna controversia dirimente ai fini della decisione, per l’individuazione del corretto canale di accesso al giudice di legittimità in merito al rapporto nell’alternativa denuncia: a) di un vizio (di error in procedendo), che comporti la nullità del procedimento o della sentenza impugnata, sostanziantesi nel compimento di un’attività deviante rispetto ad un modello legale rigorosamente prescritto dal legislatore; b) di un vizio di motivazione, in relazione all’attività di interpretazione e di qualificazione della domanda, che ne faccia il giudice di merito, cui esclusivamente spettante, preliminare al vizio di attività.

3. Il primo indirizzo, formatosi su un autorevole arresto delle Sezioni Unite di questa Corte, afferma che, quando con il ricorso per cassazione sia denunciato un vizio che comporti la nullità del procedimento o della sentenza impugnata, e pertanto il compimento di un’attività deviante rispetto ad un modello legale rigorosamente prescritto dal legislatore (afferente in particolare alla nullità dell’atto introduttivo del giudizio per indeterminatezza dell’oggetto della domanda o delle ragioni poste a suo fondamento), il giudice di legittimità non debba limitare la propria cognizione all’esame della sufficienza e logicità della motivazione con cui il giudice di merito abbia vagliato la questione, ma sia investito del potere di esaminare direttamente gli atti e i documenti sui quali il ricorso si fonda, purché la censura sia stata proposta dal ricorrente in conformità alle regole fissate al riguardo dal codice di rito (Cass. s.u. 22 maggio 2012, n. 8077; così anche: Cass. 28 novembre 2014, n. 25308 e Cass. 19 agosto 2020, n. 17268, in riferimento a difetto di specificità dei motivi di appello; Cass. 8 gennaio 2020, n. 134, in riferimento a vizio relativo alla nullità dell’atto introduttivo per indeterminatezza del petitum o della causa petendi; Cass. 24 dicembre 2021, n. 41465, in riferimento ad una fattispecie relativa all’interpretazione dell’originaria domanda giudiziale, censurata dal ricorrente ai sensi e per gli effetti dell’art. 112 c.p.c.).

4. Il secondo orientamento, non meno consolidato, afferma che, spettando al giudice del merito l’interpretazione della domanda, per cui, qualora esso abbia espressamente ritenuto che una domanda sia stata avanzata e compresa nel thema decidendum (ovvero il contrario, come nel caso qui in esame), tale statuizione, ancorché in ipotesi erronea, non possa essere direttamente censurata per ultrapetizione, atteso che, avendo comunque il giudice svolto una motivazione sul punto, dimostrando come una certa questione debba ritenersi ricompresa tra quelle da decidere, il difetto (o la ricorrenza) di ultrapetizione non sia logicamente verificabile prima dell’accertamento di erroneità della medesima motivazione; sicché, il dedotto errore del giudice non si configura come error in procedendo, attenendo al momento logico relativo all’accertamento in concreto della volontà della parte, e non a quello inerente a principi processuali: detto errore realizzando solo una carenza nell’interpretazione di un atto processuale, ossia un vizio sindacabile in sede di legittimità unicamente sotto il profilo del vizio di motivazione (Cass. 5 febbraio 2014, n. 2630; Cass. 27 ottobre 2015, n. 21874; Cass. 13 agosto 2018, n. 20718; Cass. 23 luglio 2021, n. 21237).

5. In una prospettiva mediana, è stato infine affermato doversi tenere distinta l’ipotesi, in cui si lamenti l’omesso esame di una domanda, da quella in cui si censuri l’interpretazione che ne abbia dato il giudice del merito: nel primo caso, vertendosi in tema di violazione dell’articolo 112 c.p.c. e ponendosi un problema di natura processuale per la soluzione del quale la Corte di cassazione ha il potere-dovere di procedere all’esame diretto degli atti, onde acquisire gli elementi di giudizio necessari ai fini della pronuncia richiesta; nel secondo, invece, poiché l’interpretazione della domanda e l’individuazione del suo contenuto integrano un tipico accertamento di fatto riservato, come tale, al giudice del merito, dovendo in sede di legittimità essere compiuto solo il controllo della correttezza della motivazione che sorregge sul punto la decisione impugnata (Cass. 18 maggio 2012, n. 7932; Cass. 21 dicembre 2017, n. 30684).

6. Nel solco di quest’orientamento, per così dire mediano, giova tenere distinti i due diversi principi, rispettivamente relativi: a) al potere-dovere della Corte di cassazione, quale giudice del fatto processuale, di procedere all’esame diretto degli atti per l’accertamento del vizio di attività denunciato come error in procedendo; b) al potere di interpretazione della domanda del giudice del merito, quale tipico accertamento di fatto ad esso riservato.

7. Reputa questa Corte che il secondo principio sia limitato dalla denuncia di un’attività del giudice di merito, nell’interpretazione della domanda della società odierna ricorrente (contenuta nell’atto di opposizione all’esecuzione promossa nei suoi confronti dai lavoratori, odierni controricorrenti), deviante rispetto ad un modello legale rigorosamente prescritto dal legislatore (con particolare riferimento alla violazione del principio di corrispondenza ad essa della pronuncia resa), integrante un tipico vizio di error in procedendo.

7.1. Sicché, in adesione al primo indirizzo (illustrato sub a), giova ribadire il principio enunciato e le persuasive ragioni della sua argomentazione, contenute nell’arresto a sezioni unite richiamato, riportandone il limpido testo: “Il motivo per il quale la cognizione della Corte di cassazione non si estende all’accertamento del fatto, quando ad essere denunciato col ricorso sia un errore di giudizio vertente sul rapporto sostanziale, dipende dalla scelta di attribuire a detta corte funzione di giudice di legittimità e di non trasformare il ricorso per cassazione in un ulteriore grado di merito … Ora, è vero che anche gli errores in procedendo possono essere frutto della violazione o della falsa applicazione di una norma di diritto, in quanto anche il rapporto processuale è disciplinato da norme di diritto, ma in questo caso – quando, cioè, il motivo di ricorso sia riconducibile alla previsione del successivo n. 4 del medesimo comma 1 dell’art. 360 – è la nullità della sentenza o del procedimento a dover essere sindacata dalla Suprema corte: e la nullità dipende da un difetto di attività del giudice o delle parti, cioè proprio da un fatto (processuale), sul quale dunque il giudizio verte e del quale la Corte di cassazione deve necessariamente poter prendere cognizione. Appare quindi ben evidente, specialmente con riguardo ai vizi del procedimento, come in questo caso l’oggetto dello scrutinio che è chiamato a compiere il giudice di legittimità, a differenza di quel che accade con riferimento agli errores in iudicando denunciati a norma dell’art. 360, comma 1, n. 3, non sia costituito dal contenuto della decisione formulata nella sentenza (che segna solo il limite entro cui la parte ha interesse a dedurre il vizio processuale), bensì direttamente dal modo in cui il processo si è svolto, ossia dai fatti processuali che quel vizio possono aver provocato. È perciò del tutto naturale che la Corte di cassazione debba prendere essa stessa cognizione di quei fatti. La diversa latitudine dei poteri di cognizione del giudice di legittimità, nelle due situazioni di cui s’è detto, si spiega inoltre anche con la considerazione che un conto è rilevare un errore di giudizio imputabile al giudice di merito nell’esame del rapporto sostanziale dedotto in lite, altro conto è ravvisare un errore di attività che, essendosi verificato nel corso del processo, ne possa avere inficiato l’esito.

Si è osservato che nelle due diverse ipotesi sopra indicate il “fatto” ha una pregnanza ed un rilievo differenti: perché, se attiene alle circostanze del rapporto sostanziale, quel “fatto”, che il giudice di merito è chiamato ad accertare, è anteriore al processo ed esaurisce la propria funzione nella sua stessa valenza storica; ed invece, se attiene al rapporto processuale, il “fatto” si colloca all’interno di una vicenda che è tuttora in corso di sviluppo, sia quando quella vicenda ancora si sta svolgendo nella fase del giudizio di merito sia quando è transitata nel giudizio di legittimità, che pur sempre nel medesimo rapporto processuale s’inserisce. Vi è, insomma, una fondamentale unitarietà del procedimento, pur nei diversi gradi e fasi in cui si svolge, che ne rende il vizio sempre attuale, ove sia tale da incidere sulla decisione della causa e da compromettere la realizzazione di quello che oggi la Carta costituzionale e lo stesso codice di rito hanno definito il “giusto processo”. Ed è questo che giustifica – ed al tempo stesso impone – anche al giudice di legittimità di conoscere dell’error in procedendo in ogni suo aspetto (a condizione, ovviamente, che sia stato denunciato nei termini e secondo le regole proprie del ricorso per cassazione), perché la rottura della corretta sequenza procedimentale investe in ultima analisi anche il medesimo giudizio di cassazione e dunque colui che vi è preposto deve direttamente accertarsene.” (Cass. s.u. 22 maggio 2012, n. 8077, in motivazione sub p.to 3).

8. Ritenuta così la denuncia di un error in procedendo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4 c.p.c., dipendente da un difetto di attività del giudice, ossia proprio da un fatto processuale, sul quale il giudizio verte e del quale la Corte di cassazione deve necessariamente poter prendere cognizione, occorre pertanto, in applicazione dei principi di diritto suenunciati, procedere all’esame diretto degli atti processuali (il ricorso in opposizione di S. s.p.a. notificato in data 11 giugno 2015 e la sentenza del Tribunale del Tribunale di Gela del 21 giugno 2021, n. 316) dai quali esso sia stato (eventualmente) realizzato.

Il motivo è ammissibile, per la sua adeguata specificazione (sub specie, in particolare, di trascrizione: delle conclusioni del ricorso introduttivo, dal terzo al quinto alinea di pg. 13 del ricorso; ampia della sentenza di primo grado: dal secondo capoverso di pg. 14 al primo di pg. 18 del ricorso).

9. Ebbene, dalla lettura diretta e attenta degli atti, risulta che la società, con il ricorso in opposizione menzionato, premessa l’esposizione della complessa ed articolata vicenda processuale di formazione dei titoli esecutivi posti in esecuzione dai due lavoratori, ha concluso nel merito, chiedendo l’accertamento, in accoglimento dell’opposizione proposta “che parte istante non ha diritto a procedere esecutivamente per indeterminatezza del credito per quanto esposto sub III” (“indeterminatezza delle somme”) “e IV” (di attivazione, da parte dei lavoratori, “sulla base dei predetti titoli” – indicati in premessa e sub III – del “le seguenti procedure esecutive”).

9.1. E il Tribunale di Gela, con la sentenza suindicata, ha preliminarmente dato critico e argomentato atto di avere “S. D. e L.D.S. agito esecutivamente in forza della sentenza n. 502/2010” del Tribunale di Gela “richiamando la quantificazione della retribuzione globale di fatto determinata nell’ambito dei procedimenti riuniti … definiti con sentenza n. 76/2014 Tribunale di Gela” e concluso sul punto che “Nessun dubbio sussiste in merito a ciò, né le parti controvertono di tale aspetto” (così al penultimo capoverso di pg. 6 della sentenza). In esito ad un corretto ragionamento, congruamente argomentato in aderenza agli atti processuali ed esente da vizi né logici né giuridici (dall’ultimo capoverso di pg. 6 al secondo di pg. 8 della sentenza), culminato nella individuazione del dies ad quem di maturazione delle retribuzioni dovute “in data 29 novembre 2010”, di adempimento datoriale del“l’ordine contenuto nella sentenza n. 502/2010 del Tribunale di Gela, comunicando la reintegra ai lavoratori ed invitandoli a riprendere servizio” (così ai primi tre alinea di pg. 8 della sentenza) – non essendo invece “chiarito per quale motivo il titolo sia stato azionato fino al 21/12/2012”, posto che “nessuna ragione è evidenziata nell’atto di precetto” (così al terzo e quarto alinea di pg. 7 della sentenza) – il medesimo Tribunale ha accertato il “diritto” dei lavoratori “alle somme che hanno rivendicato in via esecutiva a titolo di indennità risarcitoria” fino alla data del 29 novembre 2010, “poiché la reintegra, che segna il termine ultimo di maturazione di questa spettanza, è intervenuta il 29 novembre 2010 … La prospettazione che fonda la domanda dei resistenti, ossia la mancata reintegra sino almeno al 31 dicembre 2012, è quindi destituita di fondamento, poiché essa in effetti non ha luogo” (così al terz’ultimo capoverso di pg. 8 della sentenza).

10. Appare allora evidente come il Tribunale, lungi dal pronunciare oltre la domanda (nell’inesistenza del vizio di ultrapetizione ritenuto dalla Corte d’appello) della società opponente (illustrata al p.to 9.1), abbia invece ad essa esattamente corrisposto, accertando l’inesistenza del diritto dei lavoratori ad agire in via esecutiva per crediti relativi al periodo dal 29 novembre 2010 al 31 dicembre 2012, intimati con precetto, per assenza di un titolo esecutivo: così come, al di là della locuzione “per indeterminatezza del credito”, appunto richiesto nella trasparente sostanza, evidente dal semplice collegamento del petitum con la causa petendi della domanda.

Esso ha, infatti, accertato – si ribadisce – così come richiesto, che i suddetti crediti, indeterminati semplicemente perché non giustificati da alcun titolo esecutivo, non spettano tout court ai lavoratori.

10.1. E l’accertamento del Tribunale assorbe evidentemente tutto l’argomentare della Corte d’appello, successivo all’(erroneo) approdo decisorio di ultrapetizione (agli ultimi due capoversi di pg. 6 della sentenza): “Tra l’altro … anche a voler accedere in toto alla ricostruzione offerta dal primo decidente, la decisione sarebbe ugualmente errata sotto il profilo dello stretto merito, in quanto … ” (così dal secondo capoverso di pg. 7 al primo di pg. 8 della sentenza). Non si tratta di una ratio decidendi autonoma, così da reggere essa sola la sentenza, bensì di argomentazione semplicemente integrante un profilo diverso (di merito) della ritenuta determinatezza (sub specie di infondatezza della “dedotta indeterminatezza”) dei crediti del periodo suindicato, in realtà inesistenti per mancanza di titolo (esecutivo).

11. Pertanto il ricorso deve essere accolto e la sentenza impugnata cassata, con rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Caltanissetta in diversa composizione.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Caltanissetta in diversa composizione.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 gennaio 2023, n. 744
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