Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 gennaio 2023, n. 748

Lavoro, Licenziamento, Associazioni di professionisti, Attività professionale notarile, Specificità dei motivi di ricorso, Mancanza, Inammissibilità

 

Fatti di causa

 

1. Con sentenza n. 20 depositata il 4.5.2019, la Corte di appello di Trento, Sezione distaccata di Bolzano ha dichiarato inammissibile il reclamo proposto, ex art. 1, comma 58, della legge n. 92 del 2012, da D.L. nei confronti di E.V. ed ha confermato, riguardo alla statuizione di decadenza dall’impugnazione del licenziamento intimato dallo studio notarile V. & B., la sentenza del giudice dell’opposizione;

2. la Corte territoriale ha, in sintesi, rilevato che – anche ammettendo l’applicazione della disciplina dettata per la società semplice alle associazioni di professionisti – lo scioglimento dell’associazione (nel caso di specie avvenuto il 4.10.2016, ossia sei mesi dopo il decesso del notaio B.) non coincide con la cessazione dell’ente, che resta in vita sino alla definizione (da parte del rappresentante) di tutti i rapporti, attivi e passivi, facenti capo all’associazione stessa, aggiungendo che non è stata raggiunta la prova di una successione a titolo particolare tra l’associazione professionale e il notaio V.; ha, poi, ritenuto infondato il reclamo incidentale del V. teso a prospettare l’inammissibilità del ricorso ex art. 1, comma 48, della legge n. 92 del 2012 nonché di quello in opposizione, ritenendo sufficientemente e chiaramente individuabili sia il petitum che la causa petendi di entrambi gli atti; ha rilevato una inammissibile mutatio libelli tra il ricorso della fase sommaria ed il ricorso in sede di opposizione, avendo – la lavoratrice – individuato dapprima come legittimato passivo (delle proprie pretese) lo studio notarile associato, “in persona del legale rappresentante E. dott. V.”, e, in sede di opposizione, “E.V. notaio…in proprio e quale successore e prosecutore in proprio dell’attività professionale notarile esercitata sotto l’insegna Notai V. e B. – studio notarile associato” (nonostante la stessa lavoratrice affermasse, nel ricorso in opposizione, che l’associazione professionale era ancora in vita); ha aggiunto che non poteva ritenersi ammissibile la chiamata del notaio V. a titolo di responsabile solidale, ex art. 38 c.c., difettando una rituale allegazione in tal senso sin dall’atto introduttivo del ricorso; ha sottolineato che la prosecuzione, per sette anni, dell’attività lavorativa con lo studio notarile (successivamente alla costituzione, nel maggio 2007, di un rapporto di lavoro) dimostrava l’intervenuto consenso tacito al mutamento della titolarità del rapporto, con conseguente rigetto delle pretese nei confronti della società K. s.r.l.; infine, ha ritenuto corretta la liquidazione delle spese di lite del primo grado (determinate con riguardo ad una causa di valore indeterminabile, di complessità bassa, senza il conteggio della fase istruttoria) ed ha condannato la lavoratrice soccombente alla rifusione delle spese del grado di reclamo;

3. per la cassazione della sentenza ricorre la L. sulla base di tre motivi; resiste il V. con controricorso;

4. il Procuratore generale ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

 

Ragioni della decisione

 

1. con due, articolati, motivi di ricorso (concernente i capi 3, 6, 7, e 8 della sentenza impugnata) viene dedotta, ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione “di norme di diritto, segnatamente delle norme a presidio della “mutatio libelli” e delle norme a presidio dell’associazione professionale”, dell’art. 38 cod.civ.; ex art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c. l’omesso esame circa una prova decisiva (ossia che il notaio era l’unico soggetto superstite dell’associazione notarile); nonché erronea applicazione della legge n. 92 del 2012, art. 1, commi 48-57; degli artt. 702 bis, ter, quater c.p.c., 51, comma 1, n. 4; la Corte territoriale ha trascurato che l’opposizione all’ordinanza ex art. 1, comma 49, della legge n. 92 del 2012 non è una revisio prioris istantiae ma una prosecuzione del giudizio di primo grado che è stato ritualmente introdotto dalla lavoratrice nei confronti dell’associazione notarile e, comunque ritualmente proseguito, non essendo mai mutato il soggetto; ha trascurato di riportare il giudizio alla prima fase del merito posto che, una volta accolta la tesi attorea relativa alla mancata applicazione della disciplina dettata in materia di società semplici (con accertata prosecuzione in vita dell’associazione anche dopo lo scioglimento della stessa, fino alla definizione di tutti i rapporti attivi e passivi facenti capo all’ente), doveva ritenersi nulla la sentenza del Tribunale, in quanto censurabile già nella prima fase del giudizio “bifasico” e travolta la seconda fase del giudizio, da considerarsi tamquam non esset; di conseguenza, tutte le altre eccezioni (di rito e di merito, in specie l’eccezione di inammissibilità dei ricorsi, in sede sommaria e in sede di opposizione, che – peraltro – è stata rigettata dalla Corte territoriale), dovevano essere ritenute assorbite; inoltre, nel caso di specie, è pacifica la responsabilità del notaio V. quale unico superstite dell’associazione professionale, titolato ad avere la responsabilità solidale per le obbligazioni dell’ente, e la Corte territoriale ha errato a sostenere che mancasse in atti la prova;

2. con il terzo motivo il ricorrente, ex art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., deduce violazione e falsa applicazione del d.m. n. 55 del 2014, posto che l’importo finale delle spese poste a carico della lavoratrice con riguardo al giudizio di primo grado (pari a euro 7.025,00) dovevano essere inferiori (in specie, pari a euro 5.534,00) e, inoltre, poste a carico della controparte, visto che la Corte di appello ha poi riformato, sul punto della estinzione dell’associazione notarile, la statuizione della sentenza di primo grado;

3. i primi due motivi, confusamente intersecati tra loro, sono inammissibili per plurimi motivi;

3.1. preliminarmente, se anche si volesse tralasciare il profilo di inammissibilità relativo alla farraginosa, affastellata e lacunosa esposizione dei fatti di causa, il ricorso è inammissibile perché la ricorrente richiama formalmente e promiscuamente le censure contenute sia nel n. 3) che nel n. 5) del comma 1 dell’art. 360 c.p.c., ma, secondo questa Corte, tale modalità di formulazione risulta non rispettosa del canone della specificità del motivo allorquando – come nella specie – nell’ambito della parte argomentativa del mezzo di impugnazione, non risulti possibile scindere le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio, determinando una situazione di inestricabile promiscuità, tale da rendere impossibile l’operazione di interpretazione e sussunzione delle censure (v., in particolare, Cass. n. 7394 del 2010, n. 20355 del 2008, n. 9470 del 2008; v. anche Cass. SS.UU. n. 17931 del 2013);

3.2. la censura con la quale si afferma che i soggetti evocati in giudizio nella fase sommaria e nel giudizio di opposizione erano gli stessi è prospettata con modalità non conformi al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, secondo cui parte ricorrente avrebbe dovuto, quantomeno, trascrivere nel ricorso i tratti salienti dei ricorsi introduttivi della fase sommaria e del giudizio di opposizione, fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali, potendosi solo così ritenere assolto il duplice onere, rispettivamente previsto a presidio del suddetto principio dagli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod.pro.civ.; la ricorrente non offre, quindi, indicazioni specifiche sulla vicenda attraverso la riproduzione del contenuto degli atti rilevanti, a fronte delle specifiche indicazioni contenute nella sentenza impugnata (pag. 46) ove si sottolinea che, nel ricorso proposto ex art. 1, comma 48 della legge n. 92 del 2012, le domande della lavoratrice sono state proposte nei confronti dello “Studio notarile associato V. & B.”, mentre nel ricorso in opposizione ex art. 1, commi 51 e ss. della suddetta legge n. 92, “le medesime domande sono rivolte nei confronti di E.V. notaio…in proprio e quale successore e prosecutore in proprio dell’attività professionale notarile esercitata sotto l’insegna Notai V. e B. – studio notarile associato”;

3.3. inoltre, le censure non colgono la ratio decidendi della sentenza impugnata perché la ricorrente insiste sulla identità dei soggetti chiamati in giudizio ma nulla deduce sulla corretta individuazione, da parte della Corte territoriale, di due distinti centri di imputazione di interessi, ossia l’associazione professionale (in persona del notaio V.) e il notaio, persona fisica chiamata in proprio, e sulla precisazione che il giudizio di opposizione era stato proposto solamente nei confronti del notaio V., nella sua persona e non in quanto rappresentante dell’associazione professionale, né essendo stata avanzata domanda di responsabilità solidale nei suoi confronti ex art. 38 cod.civ.

3.4. ulteriore profilo di inammissibilità è rappresentato dalla mancanza di interesse ad agire della ricorrente, posto che anche l’eventuale accoglimento della censura relativa all’errata interpretazione dell’art. 1, comma 51, della legge n. 92 del 2012 nel senso della possibilità di ampliare – nel giudizio di opposizione – l’ambito soggettivo dell’azione anche al notaio V. (oltre all’associazione professionale, esclusivo soggetto giuridico chiamato nella fase sommaria del rito c.d. Fornero), detto ampliamento non gioverebbe alla lavoratrice, a fronte della espressa esclusione, della Corte territoriale, di “una successione a titolo particolare tra detta associazione professionale e il notaio dott. E.V.” (pag. 41 della sentenza impugnata);

4. il terzo motivo è inammissibile;

5. in tema di liquidazione delle spese processuali ai sensi del d.m. n. 55 del 2014, questa Corte ha affermato che l’esercizio del potere discrezionale del giudice, contenuto tra il minimo e il massimo dei parametri previsti, non è soggetto al controllo di legittimità, attenendo pur sempre a parametri indicati tabellarmente, mentre la motivazione è doverosa allorquando il giudice decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, essendo in tal caso necessario che siano controllabili le ragioni che giustificano lo scostamento e la misura di esso (Cass. n. 14198 del 2022); la censura concernente la violazione dei limiti medi è, pertanto, inammissibile, anche senza rilevare che il giudice di primo grado ha applicato, invero, correttamente il parametro medio del d.m. citato in considerazione a cause di valore indeterminabile;

5.1. questa Corte ha, altresì, affermato che il potere del giudice d’appello di procedere d’ufficio ad un nuovo regolamento delle spese processuali, quale conseguenza della pronunzia di merito adottata, sussiste in caso di riforma in tutto o in parte della sentenza impugnata, in quanto il relativo onere deve essere attribuito e ripartito in relazione all’esito complessivo della lite (Cass. n. 15483 del 2008): nel caso di specie, va sottolineato che le parti convenute nel giudizio di primo grado e nella fase di appello erano diverse e, in ogni caso, la lavoratrice (pur a fronte della riforma, in sede di appello, in punto di applicazione dell’art. 2272 cod.civ.) è risultata soccombente con riguardo a tutte le domande avanzate;

6. in conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 c.p.c.;

7. sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002;

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità liquidate in euro 2.000,00 per compensi professionali e in euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

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