Prassi – AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 17 gennaio 2023, n. 55
Trattamento fiscale IRPEF di un soggetto residente in Svizzera che svolge attività di lavoro dipendente in modalità agile per una società italiana, Applicazione della Convenzione tra l’Italia e la Svizzera per evitare le doppie imposizioni
Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente
Quesito
L’Istante dichiara di essere iscritto all’AIRE dal 2018, in quanto residente in Svizzera, e di lavorare a Milano alle dipendenze di una ditta con sede legale in Italia.
Il Contribuente fa presente che, a decorrere da febbraio 2020, causa emergenza Covid, l’attività lavorativa viene prevalentemente svolta in Svizzera (presso l’abitazione dell’Istante).
L’Istante segnala, inoltre, che, per l’annualità 2021 (di seguito, l’anno di riferimento), il datore di lavoro ha trattenuto l’imposta italiana alla fonte, ritenendo imponibili nel nostro Paese gli emolumenti erogati al Contribuente. Ciò posto, l’Istante chiede alla scrivente di chiarire quale sia il corretto trattamento fiscale del reddito di lavoro dipendente percepito nel 2021 alla luce della normativa contenuta nell’articolo 15, paragrafi 1 e 2, della Convenzione tra l’Italia e la Svizzera per evitare le doppie imposizioni, ratificata con legge 23 dicembre 1978, n. 943 (di seguito la Convenzione o il Trattato internazionale).
Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente
L’Istante ritiene che le disposizioni recate dagli articoli 3, comma 1, e 23, comma 1, lettera c), del Testo Unico delle imposte sui redditi, approvato con DPR del 22 dicembre 1986, n. 917 (di seguito TUIR), non trovino applicazione nel caso in esame. Sulla base delle citate disposizioni convenzionali, infatti, i redditi da lavoro dipendente percepiti nel 2021 sarebbero da assoggettare ad imposizione esclusiva in Svizzera, in quanto corrisposti a fronte di un’attività lavorativa svolta nella Confederazione Elvetica da un soggetto ivi residente; pertanto, a giudizio del contribuente, risultano indebite le ritenute alla fonte operate, nell’anno di riferimento, dal datore di lavoro italiano.
Parere dell’Agenzia delle Entrate
L’articolo 2, comma 2, del TUIR considera fiscalmente residenti in Italia le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo d’imposta, cioè per almeno 183 giorni (o 184 giorni in caso di anno bisestile), sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile.
Le condizioni sopra indicate sono tra loro alternative e la sussistenza anche di una sola di esse per la maggior parte del periodo d’imposta è sufficiente a far ritenere che un soggetto sia qualificato, ai fini fiscali, residente in Italia.
Ai sensi del comma 2bis del citato articolo 2 del TUIR, si considerano comunque residenti, salvo prova contraria, anche i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, individuati con decreto Ministeriale 4 maggio 1999.
Come chiarito nel paragrafo 2 della Circolare del Ministero Finanze del 24 giugno 1999, n. 140, la residenza fiscale è ritenuta, in via presuntiva, sussistente per coloro che siano anagraficamente emigrati in uno degli anzidetti Stati o territori senza dimostrare l’effettività della nuova residenza.
Il predetto comma 2bis non ha creato un ulteriore status di residenza fiscale bensì, attraverso l’introduzione di una presunzione legale relativa, ha diversamente ripartito l’onere probatorio fra le parti, ponendolo a carico dei contribuenti trasferiti, al fine di evitare che le risultanze di ordine meramente formale prevalgano sugli aspetti sostanziali.
Pertanto, anche a seguito della formale iscrizione all’AIRE, nei confronti di cittadini italiani trasferiti in Svizzera continua a sussistere una presunzione (relativa) di residenza fiscale in Italia, per effetto dell’articolo 2, comma 2bis, in quanto la Svizzera è inserita nella lista degli Stati e territori aventi un regime fiscale privilegiato di cui al Decreto Ministeriale 4 maggio 1999.
Sul piano della normativa interna ciò comporta che il Contribuente continui, salvo prova contraria, ad essere assoggettato a imposizione in Italia, ai sensi dell’articolo 3 del TUIR.
Il riscontro sulla effettiva residenza del Contribuente, tuttavia, non può essere operato in questa sede, richiedendo la verifica di elementi fattuali che esulano dall’istituto dell’interpello ordinario, la cui funzione consulenziale ne limita l’ambito ai soli casi in cui ricorra un’incertezza interpretativa attinente alla norma tributaria (c.d. ”interpello ordinario puro”), ovvero alla qualificazione giuridico-tributaria della fattispecie (c.d. ”interpello ordinario qualificatorio”).
Come chiarito più volte nei documenti di prassi e precisato nella circolare n. 9/E del 1° aprile 2016, il legislatore ha inteso escludere dall’area dell’interpello tutte quelle ipotesi caratterizzate da una spiccata ed ineliminabile rilevanza dei profili fattuali riscontrabili dall’amministrazione finanziaria solo in sede di accertamento; si tratta, in altre parole, di tutte quelle fattispecie in cui rileva il mero appuramento del fatto (cd. accertamenti di fatto). Il medesimo principio è stato, peraltro, affermato dalla giurisprudenza di legittimità in relazione all’accertamento della residenza fiscale (Cfr. Cassazione Civile n. 26638 del 10 novembre 2017 e n. 20285 del 23 maggio 2013).
La scrivente fornisce, pertanto, le proprie valutazioni nel presupposto, non verificabile in questa sede, di una effettiva residenza fiscale in Svizzera del Contribuente nell’anno di riferimento, poiché questa è la fattispecie rappresentata dall’Istante.
Si ricorda che l’articolo 3, comma 1, del TUIR prevede che ”l’imposta si applica sul reddito complessivo del soggetto formato per i residenti da tutti i redditi posseduti al netto degli oneri deducibili indicati nell’articolo 10 e per i non residenti soltanto da quelli prodotti nel territorio dello Stato”.
Inoltre, ai sensi dell’articolo 23, comma 1, lettera c) del TUIR, si considerano prodotti nel territorio dello Stato italiano i redditi da lavoro dipendente prestato nel territorio dello Stato.
Tanto chiarito sotto il profilo della normativa italiana, occorre, tuttavia, considerare le disposizioni internazionali contenute in accordi conclusi dall’Italia con gli Stati esteri.
Il principio della prevalenza del diritto convenzionale sul diritto interno è, difatti, pacificamente riconosciuto nell’ordinamento italiano e, in ambito tributario, è sancito dall’articolo 169 del TUIR e dall’articolo 75 del D.P.R. n. 600 del 1973, oltre ad essere stato affermato dalla giurisprudenza costituzionale.
Nel caso in esame, si fa specifico riferimento alle disposizioni contenute nella citata Convenzione per evitare le doppie imposizioni in vigore con la Svizzera.
In particolare, l’articolo 15, paragrafo 1, del suddetto Trattato internazionale prevede la tassazione esclusiva dei redditi da lavoro subordinato nello Stato di residenza del Contribuente, a meno che tale attività lavorativa non venga svolta nell’altro Stato contraente la Convenzione; ipotesi in cui tali redditi devono essere assoggettati ad imposizione concorrente in entrambi i Paesi.
In particolare, le disposizioni contenute nel paragrafo 1 del citato articolo stabiliscono, in primo luogo, la tassazione esclusiva dei redditi di lavoro dipendente nello Stato di residenza quando l’attività è ivi svolta.
Nel caso in cui lo Stato di residenza e quello della fonte (ossia lo Stato in cui è stata svolta l’attività lavorativa che ha prodotto il reddito) non coincidano, si applica un regime di imposizione concorrente (cfr. articolo 15, paragrafo 1, della Convenzione).
Si osserva, poi, che, ai sensi del paragrafo 2 dell’articolo 15 della Convenzione, viene ripristinata la tassazione esclusiva nello Stato di residenza anche quando l’attività lavorativa è svolta nello Stato della fonte, ove ricorrano congiuntamente tre condizioni:
– il beneficiario dei redditi di lavoro dipendente soggiorna nello Stato della fonte per periodi che non oltrepassano in totale i 183 giorni nell’anno fiscale considerato;
– le remunerazioni sono pagate da o a nome di un datore di lavoro che non è residente nello Stato della fonte;
– l’onere delle remunerazioni non è sostenuto da una stabile organizzazione o da una base fissa che il datore di lavoro ha nello Stato della fonte.
Nel caso in esame non trovano applicazioni le disposizioni contenute nel citato articolo 15, paragrafo 2, del Trattato internazionale, in quanto, nell’anno di riferimento, le remunerazioni da lavoro dipendente sono state pagate al contribuente da un datore di lavoro residente in Italia (Stato della fonte).
Il reddito di lavoro dipendente in esame, relativo all’anno d’imposta 2021, ricade, pertanto (nel presupposto della veridicità e completezza delle affermazioni dell’Istante, non verificabili in questa sede), nell’ambito applicativo dell’articolo 15, paragrafo 1, della Convenzione, con conseguente assoggettamento ad imposizione concorrente di tali emolumenti nello Stato di residenza del Contribuente (nel caso in trattazione la Svizzera) ed in quello della fonte del reddito (nella fattispecie in esame l’Italia, in base alle disposizioni interpretative della Convenzione contenute nel citato Accordo).
La conseguente doppia imposizione dovrà essere eliminata in Svizzera, Stato di residenza del Contribuente, mediante l’applicazione delle disposizioni contenute nell’articolo 24, paragrafo 3, del citato Trattato internazionale.
Per completezza, si osserva che nel 2021 era in vigore tra Italia e Svizzera l’Accordo amichevole interpretativo della Convenzione riguardante il trattamento fiscale dei frontalieri durante l’emergenza Covid 19, firmato a Berna il 18 giugno 2020 e a Roma il 19 giugno 2020 (di seguito l’Accordo).
Tale Accordo (il cui ambito applicativo non è limitato ai soli lavoratori frontalieri ma è esteso alla generalità dei lavoratori dipendenti) prevede, al paragrafo 1, che, ai fini dell’interpretazione dell’articolo 15, paragrafo 1, della Convenzione, in via eccezionale e provvisoria, i giorni di lavoro svolti a domicilio nello Stato di residenza del Contribuente a causa delle misure adottate per impedire la diffusione del Covid, alle dipendenze di un datore di lavoro situato nell’altro Stato contraente la Convenzione, devono essere considerati come giorni di lavoro svolti nello Stato in cui la persona avrebbe lavorato e ricevuto in corrispettivo il reddito di lavoro dipendente in assenza di tali misure.