Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 17 gennaio 2023, n. 1293
Lavoro, Trasferimento del lavoratore, Cessione di ramo d’azienda, Ordine di reintegra – Mancata dimostrazione da parte del datore di lavoro di effettive ragioni tecniche, organizzative e produttive giustificanti il provvedimento di trasferimento, Rigetto
Rilevato che
1. la Corte d’Appello di Napoli, per quanto in questa sede rileva, in parziale riforma della sentenza impugnata ed in accoglimento dell’appello proposto da (…) contro (…) S.p.A. (…), ha dichiarato la nullità del trasferimento del lavoratore a Milano, condannato la società a riassegnarlo a mansioni equivalenti presso la sede di Napoli, confermato nel resto l’impugnata sentenza con rigetto dell’appello di (…);
2. la Corte di merito ha ricostruito la complessa vicenda processuale alla base dell’attuale segmento della stessa, originata dalla richiesta di accertamento della nullità della cessione di ramo d’azienda da (…) a (…) S.p.A. a decorrere dal 1/1/2006, coinvolgente anche l’odierno controricorrente, e già pervenuta 2 volte all’attenzione di questa Corte, pronunciatasi con ordinanze n. 15657/2012 e n. 17901/2014, a seguito delle quali la Corte d’appello di Napoli, in sede di seconda riassunzione, con sentenza n. 2752/2016 ha affermato la nullità della cessione di ramo d’azienda e del trasferimento dei lavoratori a (…), ed ordinato a (…) la reintegra (tra gli altri) di (…) nel posto di lavoro precedentemente occupato (prima della cessione di ramo di azienda);
3. in questa sede si discute del trasferimento del lavoratore da Napoli a Milano con provvedimento 28/4/2016, adottato dalla banca in ottemperanza all’ordine di reintegra nel posto di lavoro emesso dalla Corte d’Appello con la sentenza indicata nel punto che precede;
4. la Corte di Napoli, con la sentenza qui impugnata, ha ritenuto illegittima l’assegnazione ( qualificata in tali termini dalla banca, anziché come trasferimento) di (…) a Milano, pur tenendo conto del mutato quadro organizzativo aziendale, perché – accertata la continuità giuridica del rapporto di lavoro a seguito della dichiarata nullità del trasferimento di ramo di azienda – il provvedimento adottato dall’azienda era soggetto alle regole di cui all’art. 2103 c.c.; nel merito, ha giudicato le motivazioni del trasferimento – collegate alla digitalizzazione del servizio, alla soppressione di mansioni a basso contenuto professionale esulanti dal servizio bancario (quali quelli svolte dal lavoratore), alla circostanza che altri lavoratori in situazione corrispondente erano stati assegnati a Milano e Bologna – non idonee a giustificare il trasferimento, tenuto conto delle svariate mansioni descritte nell’area di appartenenza (terza area professionale) del lavoratore interessato e delle numerose filiali della banca a Napoli ed in Campania; ha altresì sottolineato che, in presenza di ordine giudiziale di reintegra del lavoratore, questi andava, almeno inizialmente, riassegnato nel medesimo luogo della precedente attività lavorativa;
5. avverso la predetta sentenza propone ricorso per Cassazione la banca con due motivi; resiste il lavoratore con controricorso, illustrato da memorie; la causa, originariamente assegnata alle udienze del 5/10/2021 e del 9/2/2022, è stata rinviata all’odierna udienza per impedimento del precedente relatore;
Considerato che
1. con il primo motivo, l’istituto di credito ricorrente deduce violazione degli artt. 1304 e 1372 c.c. in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., e sostiene che la Corte d’appello ha pretermesso il diritto potestativo ad aderire alla transazione tra il lavoratore e l’apparente cessionaria del ramo d’azienda;
2. il motivo non è fondato;
3. con l’ordinanza inter partes n. 15657/2012 questa Corte ha osservato, in continuità ad analoghe plurime decisioni di questa S.C. (cfr., per tutte, Cass. n. 5495/2011), che, pur avendo il lavoratore, successivamente alla proposizione della domanda, conciliato la lite con (…), accettando la risoluzione del rapporto e rinunziando a qualsiasi azione o domanda proposta in relazione al rapporto di lavoro, da ciò non discendeva l’impossibilita di coltivare, nei confronti di (…), l’originaria domanda di nullità della cessione del ramo di azienda, dovendosi dare conto di quella clausola dell’accordo transattivo in cui, invece, l’odierno controricorrente espressamente si riservava di proseguire il giudizio contro (…) non potendosi interpretare le clausole di un contratto se non complessivamente (art. 1363 c.c.); che, ove ravvisabili, eventuali ritenute intime contraddizioni dell’atto transattivo dovevano pur sempre essere risolte in via interpretativa al suo interno, senza interventi correttivi che sostanzialmente finivano con il porre nel nulla altre clausole pur contenute nello stesso testo contrattuale; che nemmeno poteva ravvisarsi un problema di incompatibilità tra il giudicato con (…) e la transazione stipulata con (…), trattandosi pur sempre di atti aventi natura diversa, intercorsi con soggetti non coincidenti e muniti di distinte sfere di operatività (l’una disciplinata dall’art. 2909 c.c., l’altra dall’art. 1372 c.c.) quanto ai relativi effetti giuridici, non sovrapponibili tra loro;
4. non vi sono motivi per rivedere in questa sede tale pronuncia, con la quale chiaramente sono state affermate l’inoperatività della transazione tra il lavoratore ed (…) nei confronti di (…), e l’insussistenza di incompatibilità tra tale contratto e la dichiarata illegittimità del trasferimento d’azienda, argomenti che non possono essere rimessi in discussione con la prospettazione del diritto a voler profittare della transazione fatta dal creditore con uno dei debitori in solido, questione che, oltre ad apparire nuova, non si attaglia al caso di specie in cui la natura di res inter alios acta della transazione tra il lavoratore e l’apparente cessionario deriva da un fenomeno di nullità, che rende non configurabile la prospettata solidarietà passiva;
5. con il secondo motivo, la banca ricorrente deduce violazione degli artt. 2112 e 2103 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., contestando l’accertamento sulla nullità del contratto di cessione del ramo di azienda ed evidenziando l’impossibilità di ottemperare all’ordine di reintegra tenuto conto del tempo trascorso e della mutata organizzazione aziendale;
6. il motivo non è fondato;
7. anche con riferimento a questa censura, non vi sono motivi per discostarsi da quanto affermato nella seconda pronuncia resa inter partes da questa Corte (sentenza n. 17901/2014), nel senso che la giurisprudenza di questa Corte è orientata nel ritenere operante, anche a seguito del d. lgs. n. 276/2003, art. 32, il principio per cui per “ramo d’azienda”, ai sensi dell’art. 2112 c.c., deve intendersi ogni entità economica organizzata la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identità, presupponendo ciò comunque una preesistente entità produttiva funzionalmente autonoma (potendo conservarsi solo qualcosa che già esiste), e non anche una struttura produttiva creata ad hoc in occasione del trasferimento o come tale unicamente identificata dalle parti del negozio traslativo, essendo preclusa l’esternalizzazione come forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate fra loro, di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volontà dell’imprenditore e non dall’inerenza del rapporto ad una entità economica dotata di autonoma ed obiettiva funzionalità (cfr. Cass. n. 8757/2014, n. 21711/2012, n. 21481/2009, n. 13171/2009); che non può ammettersi un trasferimento di ramo d’azienda con riferimento alla sola decisione, assunta dal soggetto cedente, di unificare alcuni beni e lavoratori, affidando a questi un’unica funzione al momento del trasferimento, in contrasto con le direttive comunitarie nn. 1998/50 e 2001/23 che richiedono già prima di quest’atto “un entità economica che conservi la propria identità”, ossia un assetto già formato, e con gli artt. 4 e 36 della Cost., che impediscono di rimettere discipline inderogabili di tutela dei lavoratori ad un mero atto di volontà del datore di lavoro, incontrollabile per l’assenza di riferimenti oggettivi; che neppure a diverse conclusioni può indurre la sentenza 6 marzo 2014 della Corte di Giustizia UE resa nella causa (…) e altri (C-458/12), che va letta non nel senso che non occorre, ai fini di cui trattasi, il requisito della preesistenza, ma che è consentito agli Stati membri prevedere una norma che estenda l’obbligo di mantenimento dei diritti dei lavoratori trasferiti anche in caso di non preesistenza del ramo d’azienda, e che, ai fini dell’applicazione della direttiva 2001/23, l’entità economica in questione deve in particolare, anteriormente al trasferimento, godere di un’autonomia funzionale sufficiente;
8. con riferimento all’art. 2103 c.c., va inoltre ribadito che l’ottemperanza del datore di lavoro all’ordine giudiziale di riammissione in servizio implica il ripristino della posizione di lavoro del dipendente, il cui reinserimento nell’attività lavorativa deve quindi avvenire nel luogo precedente e nelle mansioni originarie, a meno che il datore di lavoro non intenda disporre il trasferimento del lavoratore ad un’altra unità produttiva, e sempre che il mutamento della sede sia giustificato da sufficienti ragioni tecniche, organizzative e produttive, fermo restando che, ove sia contestata la legittimità del trasferimento, il datore di lavoro ha l’onere di allegare e provare in giudizio le fondate ragioni che lo hanno determinato e non può limitarsi a negare la sussistenza dei motivi di illegittimità oggetto di allegazione e richiesta probatoria della controparte, ma deve comunque provare le reali ragioni tecniche, organizzative e produttive che giustificano il provvedimento (cfr. Cass. n. 23595/2018, n. 19095/2013);
9. nel caso in esame la Corte di merito ha accertato, con motivazione congrua e logica e pertanto insuscettibile di essere rivista in fatto in questa sede, la mancata dimostrazione da parte del datore di lavoro di effettive ragioni tecniche, organizzative e produttive giustificanti il provvedimento di trasferimento (tenuto conto delle indicate circostanze, appunto, fattuali, relative all’inquadramento professionale del lavoratore ed alla presenza in Campania di numerose filiali della banca);
il ricorso deve, pertanto, essere respinto, con regolazione soccombenza delle spese del presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo, da distrarsi in favore dell’avv. (…), difensore del controricorrente dichiaratosi antistatario, e con conseguente raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali;
P.Q.M.
Respinge il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 5.000 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.