Prassi – AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 19 gennaio 2023, n. 98

Imponibilità nel territorio dello Stato di emolumenti corrisposti dal datore di lavoro non residente, a fronte dell’attività di lavoro prestata all’estero in smart working, Applicabilità dell’art. 51, comma 8–bis del Testo Unico delle Imposte sui Redditi

 

Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente

 

Quesito

 

L’Istante (di seguito anche ”il Contribuente”), cittadino italiano attualmente residente in Svizzera per motivi di lavoro, chiede chiarimenti circa la sua posizione fiscale per l’anno d’imposta 2020.

Al riguardo, l’Istante evidenzia di aver conseguito il dottorato nell’anno 2020 e che, durante il primo semestre dello stesso anno d’imposta, per un periodo di due settimane, ha avuto un contratto di collaborazione occasionale con il dipartimento Alfa di una Università elvetica.

Sempre nello stesso anno gli è stato accreditato il pagamento per una docenza aziendale, svolta per una ditta alla fine del 2019.

L’ammontare totale delle retribuzioni per queste due prestazioni è inferiore a 5.000 euro.

Lo stesso Contribuente fa presente di aver ricevuto un’offerta di lavoro da parte di un’università svizzera con contratto dall’aprile del 2020 con il quale gli è stata assegnata la posizione di ricercatore post-dottorato (”post-doc”).

Al riguardo, l’Istante specifica che una figura professionale ad egli equivalente in Italia è il cosiddetto ”assegnista di ricerca” ma segnala che il contratto stipulato dall’università elvetica non è un assegno ma un contratto a tempo determinato rinnovabile di anno in anno.

Per motivi legati all’emergenza sanitaria non è riuscito a trasferirsi in Svizzera immediatamente ed ha lavorato in smart working fino a metà giugno.

Il Contribuente si è recato in Svizzera da metà giugno 2020, ha stipulato un contratto di affitto con decorrenza immediata, e si è registrato presso l’ufficio immigrazione svizzero, ragion per cui l’Istante può certificare il proprio domicilio in Svizzera sin dalla metà del mese di giugno 2020 e, quindi, nello stesso anno d’imposta risulta residente nella Confederazione Elvetica per più di 183 giorni.

L’Istante ha, tuttavia, avviato la procedura di cambiamento di residenza nella circoscrizione AIRE a fine luglio e, pertanto, risulta, altresì, residente in Italia per più di 183 giorni nell’anno d’imposta 2020.

Ciò posto, l’Istante chiede chiarimenti alla scrivente in merito alla tassazione in Italia dei redditi che ha percepito nell’anno d’imposta 2020, ai sensi della Convenzione Italia-Svizzera per evitare le doppie imposizioni, ratificata con legge 23 dicembre 1978, n. 943 (di seguito ”la Convenzione” o ”il Trattato internazionale”), nonché sull’applicazione, per quel che concerne gli emolumenti ad egli corrisposti dall’Università elvetica, delle disposizioni riguardanti la determinazione dei redditi da lavoro dipendente prestato all’estero sulla base delle retribuzioni convenzionali, contenute nell’art. 51, comma 8bis, del Testo Unico delle imposte sui redditi, approvato con DPR del 22 dicembre 1986, n. 917 (di seguito ”TUIR”).

 

Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente

 

Per quanto concerne il Quesito specificato in oggetto, l’Istante ritiene di dover essere assoggettato ad imposizione in Italia, relativamente ai redditi conseguiti nell’anno di imposta 2020, ed è del parere che la determinazione del reddito sulla base delle retribuzioni convenzionali si applichi solamente a settori contrattuali che, in primo luogo, non sono mappabili direttamente nelle categorie contrattuali elvetiche e che, in secondo luogo, non prevedono una dicitura specifica per ricercatori/impiegati scientifici.

 

Parere dell’Agenzia delle Entrate

 

In relazione al dubbio posto dall’Istante, si rileva preliminarmente che il riscontro sulla residenza fiscale del Contribuente non può essere operato in questa sede, richiedendo la verifica di elementi fattuali che esulano dall’istituto dell’interpello ordinario, la cui funzione consulenziale ne limita l’ambito ai soli casi in cui ricorra un’incertezza interpretativa attinente alla norma tributaria (c.d. ”interpello ordinario puro”), ovvero alla qualificazione giuridico-tributaria della fattispecie (c.d. ”interpello ordinario qualificatorio”). Infatti, come affermato più volte nei documenti di prassi, sono escluse dall’area dell’interpello tutte quelle ipotesi che, coerentemente alla natura, alle finalità dell’istituto ed alle regole istruttorie di lavorazione delle istanze, sono caratterizzate da una spiccata ed ineliminabile rilevanza dei profili fattuali riscontrabili dalla stessa amministrazione finanziaria solo in sede di accertamento, come le questioni involgenti problemi collegati alla residenza delle persone fisiche (Cfr. circolare 1° aprile 2016 n. 9/E, e risoluzione 3 dicembre 2008, n. 471/E). Il medesimo principio è stato, peraltro, affermato dalla giurisprudenza di legittimità che, nel sostenere la cedevolezza del requisito formalistico dell’iscrizione anagrafica rispetto all’approccio sostanziale previsto nelle Convenzioni per evitare le doppie imposizioni, presuppone sempre l’accertamento di situazioni di fatto (Cfr. Cassazione Civile n. 26638 del 10 novembre 2017 e n. 20285 del 23 maggio 2013).

Tanto premesso, si forniscono alcune indicazioni utili ad inquadrare normativamente la fattispecie rappresentata dal Contribuente.

Ai sensi dell’art. 2, comma 2, del TUIR, si considerano fiscalmente residenti in Italia le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo d’imposta, cioè per almeno 183 giorni (o 184 giorni in caso di anno bisestile), sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile. Le condizioni sopra indicate sono tra loro alternative e la sussistenza anche di una sola di esse per la maggior parte del periodo d’imposta è sufficiente a far ritenere che un soggetto sia qualificato, ai fini fiscali, residente in Italia. Ai sensi del comma 2bis del citato art. 2 del TUIR, si considerano comunque residenti, salvo prova contraria, anche i cittadini italiani cancellati dalle anagrafi della popolazione residente e trasferiti in Stati o territori aventi un regime fiscale privilegiato, individuati con decreto Ministeriale 4 maggio 1999. Come chiarito nel paragrafo 2 della Circolare del Ministero Finanze del 24 giugno 1999, n. 140, la residenza fiscale è ritenuta, in via presuntiva, sussistente per coloro che siano anagraficamente emigrati in uno degli anzidetti Stati o territori senza dimostrare l’effettività della nuova residenza. Il predetto comma 2bisnon ha creato un ulteriore status di residenza fiscale bensì, attraverso l’introduzione di una presunzione legale relativa, ha diversamente ripartito l’onere probatorio fra le parti, ponendolo a carico dei contribuenti trasferiti, al fine di evitare che le risultanze di ordine meramente formale prevalgano sugli aspetti sostanziali. Pertanto, anche a seguito della formale iscrizione all’AIRE, nei confronti di cittadini italiani trasferiti in Svizzera continua a sussistere una presunzione (relativa) di residenza fiscale in Italia per effetto del citato art. 2, comma 2bis del TUIR, in quanto la Svizzera è inserita nella lista degli Stati e territori aventi un regime fiscale privilegiato di cui al Decreto Ministeriale 4 maggio 1999.

Sul piano della normativa interna, ciò comporta che il Contribuente continui, salvo prova contraria, ad essere considerato residente in Italia ed ivi assoggettato a imposizione in relazione a tutti i redditi ovunque prodotti (cfr. art. 3 del TUIR).

Tanto chiarito sotto il profilo della normativa italiana, occorre, altresì, considerare le disposizioni internazionali contenute in accordi conclusi dall’Italia con gli Stati esteri. Il principio della prevalenza del diritto convenzionale sul diritto interno è pacificamente riconosciuto nell’ordinamento italiano e, in ambito tributario, è sancito dall’art. 169 del TUIR e dall’art. 75 del D.P.R. n. 600 del 1973, oltre ad essere stato affermato dalla giurisprudenza costituzionale. Nel caso in esame, si fa specifico riferimento al citato Trattato per evitare le doppie imposizioni in vigore con la Svizzera, il cui art. 4 stabilisce, al paragrafo 2, conformemente al Modello OCSE di Convenzione, le cosiddette tie breaker rules per dirimere eventuali conflitti di residenza tra gli Stati contraenti. Dette regole fanno prevalere il criterio dell’abitazione permanente cui seguono, in ordine gerarchico, il centro degli interessi vitali, il soggiorno abituale e la nazionalità.

Si osserva, inoltre, che il Trattato con la Svizzera, seguendo le raccomandazioni formulate nel paragrafo 10 del Commentario all’art. 4 del Modello di Convenzione OCSE, reca una disposizione che prevede esplicitamente la soluzione al problema della doppia residenza mediante il frazionamento dell’anno d’imposta, in caso di trasferimento da uno Stato all’altro nel corso dell’anno (cfr. art. 4, paragrafo 4, della Convenzione). In particolare, il citato art. 4, paragrafo 4, della Convenzione prevede che ”la persona fisica che ha trasferito definitivamente il suo domicilio da uno Stato contraente all’altro Stato contraente cessa di essere assoggettata nel primo Stato contraente alle imposte per le quali il domicilio è determinante non appena trascorso il giorno del trasferimento del domicilio. L’assoggettamento alle imposte per le quali il domicilio è determinante inizia nell’altro Stato a decorrere dalla stessa data”.

Nella fattispecie prospettata dal Contribuente, qualora sussista un problema di doppia residenza, questo deve essere dunque risolto applicando il suddetto criterio del frazionamento dell’anno d’imposta 2020.

Al riguardo si rileva che, dalle informazioni fornite dall’Istante, il cambiamento di domicilio del Contribuente dall’Italia alla Svizzera sarebbe intervenuto a giugno 2020; pertanto, la scrivente fornisce, di seguito, le proprie valutazioni sulla base di tale presupposto (qui assunto acriticamente), poiché questa è la fattispecie rappresentata dall’Istante.

Sussistendo tale presupposto, l’Italia può esercitare la propria potestà impositiva, basata sulla residenza, fino al giorno della data del trasferimento (nel giugno 2020) mentre la Svizzera può far valere, ai sensi della predetta disposizione convenzionale, la propria pretesa impositiva a decorrere dal giorno successivo del giugno del medesimo anno.

Ciò premesso, si osserva come il reddito di fonte svizzera corrisposto all’Istante, a fronte di un’attività di ricerca scientifica post dottorato, rientri tra quelli di lavoro dipendente disciplinati nell’art. 15 della citata Convenzione. In particolare, al paragrafo 1, viene stabilita la tassazione esclusiva dei redditi da lavoro dipendente nello Stato di residenza del beneficiario degli stessi, a meno che l’attività lavorativa non venga svolta nell’altro Stato contraente il suddetto Trattato internazionale; ipotesi in cui tali redditi sono assoggettati ad imposizione concorrente in entrambi i Paesi.

Da ciò consegue che, nell’ipotesi (qui assunta acriticamente) di una effettiva residenza svizzera del Contribuente dal giugno 2020, i redditi a lui erogati, a fronte dell’attività lavorativa svolta in Svizzera a decorrere dalla stessa data, devono essere assoggettati ad imposizione esclusiva in Svizzera (Stato di residenza e di svolgimento dell’attività lavorativa) ai sensi dell’art. 15, paragrafo 1, del citato Trattato internazionale. In altri termini, il reddito corrisposto dall’Università elvetica al Contribuente, a fronte dell’attività di lavoro svolta in Svizzera, a partire dal giugno 2020, non dovrà essere assoggettato ad imposizione in Italia e non dovrà essere riportato nella dichiarazione dei redditi relativa a tale annualità. Viceversa, il reddito corrisposto a fronte dell’attività di post dottorato di ricerca svolta fino a giugno 2020 dovrà essere assoggettato ad imposizione in Italia, ai sensi della vigente normativa interna e internazionale (art. 15, paragrafo 1, della Convenzione Italia-Svizzera).

Con specifico riferimento all’applicazione della normativa italiana, si ritiene che il reddito in esame sia da qualificare di lavoro dipendente ex art. 49, comma 1, del TUIR, da determinare in base alle disposizioni contenute nell’art. 51 dello stesso Testo Unico. Al riguardo, si precisa che non sussistono, nel caso di specie, i presupposti applicativi per adottare il criterio forfetario di determinazione del reddito previsto al comma 8bis, invocato dall’Istante; disposizione agevolativa che consente di assoggettare i redditi derivanti dal lavoro dipendente prestato all’estero assumendo come base imponibile la retribuzione convenzionale senza, pertanto, tener conto della retribuzione effettivamente corrisposta al lavoratore. Si ricorda che il citato comma 8bis statuisce, in deroga alle disposizioni previste dai precedenti commi del medesimo articolo, che ”il reddito di lavoro dipendente, prestato all’estero in via continuativa e come oggetto esclusivo del rapporto da dipendenti che nell’arco di dodici mesi soggiornano nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni, è determinato sulla base delle retribuzioni convenzionali definite annualmente con il decreto del Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali di cui all’art. 4, comma 1, del decreto-legge 31 luglio 1987, n. 317, convertito dalla legge 3 ottobre 1987, n. 398”.

Sulla base di quanto richiesto dalla norma, la disciplina fiscale in esame può trovare applicazione a condizione che l’attività lavorativa sia svolta all’estero per un determinato periodo di tempo da un soggetto residente in Italia con carattere di permanenza o di sufficiente stabilità; che l’attività lavorativa svolta all’estero costituisca l’oggetto esclusivo del rapporto di lavoro e che, pertanto, l’esecuzione della prestazione lavorativa sia integralmente svolta all’estero; che il lavoratore nell’arco di dodici mesi soggiorni nello Stato estero per un periodo superiore a 183 giorni. A prescindere da ogni valutazione in merito alla sussistenza dei requisiti sopra richiamati, nel caso di specie assume rilevanza il fatto che il citato art. 51, comma 8bis, del TUIR trovi applicazione solo a condizione che il lavoratore operante all’estero sia inquadrato in una delle categorie per le quali il predetto decreto fissa la retribuzione convenzionale. In particolare, si evidenzia che nelle tabelle che costituiscono parte integrante del Decreto del Ministero del lavoro e delle politiche sociali n. 5 del 2020, emanato ai fini dell’individuazione dell’ambito di applicazione delle retribuzioni convenzionali, non è ricompreso il settore dell’università.

In conclusione, per quel che concerne la tassazione del reddito erogato al Contribuente dall’Università elvetica a fronte dell’attività lavorativa svolta in Italia in modalità smart working fino al giugno 2020, si ritiene non trovino applicazione le disposizioni contenute nel citato comma 8bis dell’art. 51 del TUIR (applicandosi, pertanto, ai fini della determinazione del reddito, solo i commi da 1 ad 8 dello stesso articolo di legge). Si segnala, per completezza, che gli altri redditi indicati nell’istanza d’interpello (di collaborazione occasionale e di prestazione di docenza aziendale), percepiti in data antecedente al giugno 2020, sono soggetti ad imposizione in Italia nei limiti previsti dalla vigente normativa interna e non devono essere assoggettati ad alcuna imposizione in Svizzera per mancanza di qualsiasi elemento di collegamento con la potestà impositiva di tale Stato estero.

 

Prassi – AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 19 gennaio 2023, n. 98
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