Prassi – AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 19 gennaio 2023, n. 99

Assoggettamento a imposizione in Italia di redditi da lavoro dipendente prodotti in smart working in Italia da soggetto italiano residente all’estero

 

Con l’istanza di interpello specificata in oggetto, è stato esposto il seguente

 

Quesito

 

Il Contribuente (di seguito anche l’Istante o il Contribuente) dichiara di svolgere, a decorrere dal giugno XXXX, un’attività di lavoro dipendente presso una società cinese.

L’Istante, in ragione della propria attività lavorativa, si è trasferito in Cina dal settembre del medesimo anno ed ha ottenuto la cancellazione dalle anagrafi della popolazione residente in Italia con la conseguente iscrizione all’AIRE.

Il Contribuente comunica, altresì, che le imposte sui redditi, relative all’anno in esame, sono state pagate nel nostro Paese, ai sensi della vigente normativa interna italiana, in quanto in tale annualità non sono stati superati i 183 giorni di permanenza all’estero; diversamente nell’anno successivo, essendo stato superato tale limite, i redditi in esame sono stati assoggettati ad imposizione esclusiva in Cina, Stato di residenza del lavoratore.

Nei primi mesi del 2020 l’Istante è rientrato per un breve soggiorno in Italia ma, a causa dell’emergenza COVID19, gli è stato impossibile rientrare presso la sua residenza in Cina, in quanto tale Stato ha attuato il blocco dei visti per tutti i cittadini stranieri anche se residenti.

Il Contribuente continua, peraltro, a lavorare dall’Italia in modalità smart working per la società cinese e mantiene la sua residenza a Shangai.

L’Istante segnala, pertanto, che, in conseguenza dell’emergenza COVID19, nel 2020 (di seguito l’anno di riferimento) sono stati registrati meno di 183 giorni di permanenza all’estero.

Ciò posto, il Contribuente chiede alla scrivente di chiarire se, nell’anno di riferimento, i redditi di lavoro dipendente in esame debbano essere assoggettati ad imposizione in Italia o in Cina (di seguito primo quesito).

Nel caso in cui tali redditi debbano essere assoggettati ad imposizione in Italia, l’Istante richiede se deve riportare in dichiarazione il ”valore netto frontiera” o il reddito lordo cinese sul quale calcolare l’IRPEF e, successivamente, considerare come credito d’imposta quanto pagato in Cina (di seguito secondo quesito).

 

Soluzione interpretativa prospettata dal contribuente

 

Per quel che concerne il primo quesito, l’Istante ritiene che i redditi di lavoro dipendente, relativi all’anno d’imposta 2020, debbano essere assoggettati ad imposizione esclusiva in Cina, alla luce delle delucidazioni fornite dai punti 39 e 42, delle linee guida OCSE del 21 gennaio 2021, in base alle quali se una persona fisica risulta residente in uno solo dei due Stati contraenti un Trattato internazionale per evitare le doppie imposizioni, ai sensi dell’articolo 4 del Modello OCSE di Convenzione, sarà applicato il regime di tassazione dello Stato di residenza del Contribuente.

In merito al secondo quesito, l’Istante ritiene che, risultando residente in Cina ed iscritto all’AIRE, dovrà presentare la dichiarazione dei redditi, relativi all’anno 2020, solo in Cina, in quanto nella stessa annualità il suddetto Contribuente ha percepito esclusivamente redditi da lavoro dipendente prestato all’estero.

 

Parere dell’Agenzia delle Entrate

 

In via preliminare, si osserva che la residenza fiscale dell’istante non può essere oggetto di riscontro in questa sede, richiedendo la verifica di elementi fattuali che esulano dall’istituto dell’interpello ordinario, la cui funzione consulenziale ne limita l’ambito ai soli casi in cui ricorra un’incertezza interpretativa attinente alla norma tributaria (c.d. ”interpello ordinario puro”), ovvero alla qualificazione giuridico-tributaria della fattispecie (c.d. ”interpello ordinario qualificatorio”).

Sono, infatti, escluse dall’area dell’interpello tutte quelle ipotesi che, coerentemente alla natura, alle finalità dell’istituto ed alle regole istruttorie di lavorazione delle istanze, sono caratterizzate da una spiccata ed ineliminabile rilevanza dei profili fattuali riscontrabili dalla stessa amministrazione finanziaria solo in sede di accertamento, come le questioni involgenti problemi collegati alla residenza delle persone fisiche (Cfr. circolare 1° aprile 2016 n. 9/E, e risoluzione 3 dicembre 2008, n. 471/E).

Il medesimo principio, peraltro, è stato affermato dalla giurisprudenza di legittimità che, nel sostenere la cedevolezza del requisito formalistico dell’iscrizione anagrafica rispetto all’approccio sostanziale previsto nelle Convenzioni, presuppone sempre l’accertamento di situazioni di fatto (Cfr. Cassazione Civile n. 26638 del 10 novembre 2017 e n. 20285 del 23 maggio 2013).

Per quanto sopra evidenziato, lo status di non residente in Italia dell’Istante nel 2020 non sarà oggetto di valutazione ai fini del presente parere, ma sarà assunto acriticamente così come rappresentato nell’istanza di interpello.

Al riguardo, si ricorda che, ai fini della individuazione della residenza fiscale di un individuo, secondo il diritto interno e in assenza di una disposizione normativa specifica che tenga conto dell’emergenza COVID, occorre far riferimento ai criteri indicati nell’articolo 2 del TUIR.

Ai sensi dell’articolo 2, comma 2, del TUIR «si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo d’imposta sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile».

Sul piano del diritto convenzionale, inoltre, nel caso di specie assume rilievo l’articolo 4 del Trattato con la Cina che stabilisce, al paragrafo 2, le cosiddette tie breaker rules per dirimere eventuali conflitti di residenza tra gli Stati contraenti.

Dette regole fanno prevalere il criterio dell’abitazione permanente cui seguono, in ordine gerarchico, il centro degli interessi vitali, il soggiorno abituale e la nazionalità.

Il ricorso ai criteri delle tie breaker rules presuppone comunque un conflitto tra le normative interne dei due Stati sulla residenza del Contribuente.

In altri termini, nella fattispecie in esame, si potrà accertare la residenza dell’Istante in base ai citati criteri solo nell’ipotesi in cui le competenti Autorità tributarie cinesi ritengano il Contribuente residente in Cina nel 2020, ai sensi della vigente normativa interna di tale Stato.

Ciò posto, si osserva come una persona fisica iscritta all’AIRE e rientrata in Italia unicamente a seguito dell’emergenza Covid è considerata fiscalmente residente in Italia secondo le disposizioni interne se risulta avere il domicilio nel nostro Paese per la maggior parte del periodo d’imposta.

Qualora si verificasse un conflitto di residenza con lo Stato estero, questo dovrebbe essere risolto facendo ricorso ai citati criteri convenzionali.

In tale ipotesi, come anche indicato al paragrafo 44 dell’analisi effettuata dal Segretariato OCSE sui trattati e l’impatto della crisi da COVID19, nel caso in cui il soggetto disponga di un’abitazione permanente in entrambi gli Stati, occorrerà verificare gli altri criteri; il conflitto di residenza sarà solitamente risolto usando il criterio del ”soggiorno abituale”.

Con specifico riferimento al criterio del ”soggiorno abituale”, si richiama il paragrafo 19 del Commentario del Modello OCSE, in cui si precisa che il test per dirimere il conflitto di residenza non sarà soddisfatto semplicemente determinando in quale dei due Stati contraenti l’individuo ha trascorso più giorni durante il periodo interessato.

Al fine di stabilire il luogo del soggiorno abituale, occorre infatti tener conto della frequenza, durata e regolarità dei soggiorni che fanno parte della routine della vita di un individuo. Inoltre, l’analisi deve coprire un periodo di tempo sufficiente per poter accertare tali aspetti evitando l’influenza di situazioni transitorie.

Pertanto, qualora in sede di accertamento fosse contestata all’Istante la residenza fiscale in Italia nel 2020, la stessa dovrebbe essere appurata non soltanto in virtù degli elementi richiesti dalla vigente normativa interna italiana (articolo 2, comma 2, del TUIR) quanto sulla base dei criteri stabiliti nella citata Convenzione tra l’Italia e la Cina, valorizzando i fatti e le circostanze specifiche (come, ad esempio, la disponibilità di un’abitazione permanente in Cina, l’assenza di familiari in Italia, le sue relazioni personali ed economiche).

Tanto premesso, in relazione al primo quesito posto dal contribuente si osserva quanto segue.

Ai sensi dell’articolo 3, comma 1, del TUIR, i soggetti non residenti sono tassati in Italia solo in relazione ai redditi prodotti nel territorio dello Stato italiano. Sulla base delle disposizioni contenute nell’articolo 23, comma 1, lettera c) del TUIR, si considerano prodotti nel territorio dello Stato i redditi di lavoro dipendente prestato, da soggetti non residenti, nel territorio italiano.

Tale disposizione non trova applicazione qualora il nostro Paese abbia stipulato, con lo Stato di residenza del lavoratore, una convenzione per evitare le doppie imposizioni che riconosca a quest’ultimo Stato la potestà impositiva esclusiva sul reddito di lavoro dipendente prestato in Italia.

Al riguardo, si fa presente che l’articolo 15, paragrafo 1 Lavoro Subordinato del suddetto Trattato internazionale prevede che le remunerazioni percepite da un residente di uno Stato contraente per «l’attività dipendente» svolta nell’altro Stato contraente, sono imponibili in entrambi i Paesi.

In base al combinato disposto dell’articolo 15 della citata Convenzione e dell’articolo 23 del TUIR, la scrivente è, dunque, dell’avviso che il reddito di lavoro dipendente percepito dall’Istante residente in Cina (circostanza qui assunta acriticamente), per l’attività di lavoro svolta nel 2020 in Italia, rilevi fiscalmente anche nel nostro Paese, ai sensi degli articoli 49 e 51, commi da 1 a 8, del TUIR.

Si fa, altresì, presente che, nella fattispecie rappresentata dall’Istante non può trovare applicazione il disposto del paragrafo 2 dell’articolo 15 della Convenzione in esame, che riconosce, sul reddito percepito per l’attività svolta nell’altro Stato ma nel rispetto di tutte le condizioni ivi previste, la potestà impositiva esclusiva dello Stato di residenza dei lavoratori. Più precisamente, il citato paragrafo 2 dell’articolo 15 prevede che «le remunerazioni che un residente di uno Stato contraente riceve in corrispettivo di un’attività dipendente svolta nell’altro Stato contraente sono imponibili soltanto nel detto primo Stato se:

a) il beneficiario soggiorna nell’altro Stato per un periodo o periodi che non oltrepassano in totale 183 giorni nel corso dell’anno solare considerato; e

b) le remunerazioni sono pagate da, o per conto di, un datore di lavoro che non è residente dell’altro Stato; e

c) l’onere delle remunerazioni non è sostenuto da una stabile organizzazione o da una base fissa che il datore di lavoro ha nell’altro Stato».

Considerato che l’Istante ha soggiornato in Italia nell’anno di riferimento per un periodo superiore ai 183 giorni, non si ritiene soddisfatta la condizione di cui alla citata lettera a) e, conseguentemente, le remunerazioni de quibus risultano imponibili in entrambi gli Stati. La conseguente doppia imposizione sarà risolta, ai sensi dell’articolo 23, paragrafo 3, della Convenzione, attraverso il riconoscimento di un credito d’imposta da parte della Cina, Stato di residenza del Contribuente.

È appena il caso di rilevare che il tema è affrontato anche nell’analisi del Segretariato OCSE sull’impatto del COVID sui Trattati citata dal contribuente.

Al riguardo, si osserva come l’analisi del Segretariato dell’OCSE, del 3 aprile 2020 e successivamente aggiornata il 21 gennaio 2021, focalizzi l’attenzione sull’impatto che le misure sanitarie restrittive, adottate dai Paesi a seguito della pandemia, hanno sui Trattati internazionali.

Nel documento si precisa che l’analisi ivi contenuta rappresenta il punto di vista del Segretariato sull’interpretazione delle disposizioni dei Trattati fiscali, riconoscendo ad ogni giurisdizione la possibilità di adottare proprie indicazioni per fornire certezza fiscale ai contribuenti. La competente autorità fiscale italiana ha tenuto conto dell’analisi svolta dal Segretariato dell’OCSE concludendo degli Accordi amministrativi interpretativi delle disposizioni contenute nell’articolo 15 (lavoro subordinato) delle Convenzioni per evitare le doppie imposizioni con l’Austria, la Francia e la Svizzera; ossia con gli Stati limitrofi rispetto ai quali l’incidenza della mobilità transfrontaliera dei lavoratori è particolarmente significativa.

Gli accordi sono tesi a neutralizzare le conseguenze fiscali delle misure di restrizione alla movimentazione delle persone, dovute all’emergenza COVID19, nei confronti dei lavoratori dipendenti residenti in uno Stato contraente i suddetti Trattati.

Tali lavoratori svolgono abitualmente la loro attività nell’altro Stato contraente ma, a motivo delle misure sanitarie causate dall’emergenza COVID19, sono costretti o esortati temporaneamente a lavorare nello Stato di residenza oppure, nel caso dei frontalieri, anche a restare nello Stato di svolgimento dell’attività lavorativa senza rientrare con cadenza giornaliera nello Stato di residenza. Gli orientamenti contenuti nell’analisi svolta dal Segretariato dell’OCSE sono stati accolti dall’Italia, allo stato, unicamente sulla base e nei limiti dei menzionati accordi amministrativi.

Pertanto, si è dell’avviso che i citati accordi amichevoli stipulati dal nostro Paese con Austria, Francia e Svizzera non possano esplicare effetti anche nei confronti di altri Stati con i quali l’Italia ha stipulato Convenzioni per evitare le doppie imposizioni, nel caso di specie la Cina.

Per quel che concerne il secondo quesito, si rileva che l’Istante dovrà riportare nella dichiarazione dei redditi da presentare in Italia i redditi di lavoro dipendente percepiti nell’anno di riferimento e determinati in base alle disposizioni contenute negli articoli 24 e 51, commi da 1 a 8, del TUIR.

 

Prassi – AGENZIA DELLE ENTRATE – Risposta 19 gennaio 2023, n. 99
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