Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 gennaio 2023, n. 1281
Lavoro, Agevolazioni tariffarie per la fornitura di energia elettrica a favore dei dipendenti delle aziende elettriche, Regolamentazione contrattuale successiva alla cessazione del rapporto di lavoro per il collocamento in pensione, Recesso dalla regolamentazione collettiva sulle agevolazioni tariffarie con estinzione del beneficio anche per gli ex dipendenti ed i loro superstiti, Esclusione della corrispettività tra l’agevolazione tariffaria e la prestazione del singolo lavoratore, Diritti quesiti, Rigetto
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Genova ha respinto l’appello proposto dagli attuali ricorrenti, confermando la pronuncia di primo grado con cui era stata rigettata la domanda volta alla declaratoria di illegittimità o inefficacia della revoca, da parte di E. s.p.a., delle agevolazioni tariffarie per la fornitura di energia elettrica e al risarcimento dei danni o, in subordine, alla condanna di E. spa al pagamento del corrispettivo o indennizzo corrispondente al valore delle agevolazioni tariffarie soppresse.
2. La Corte territoriale ha premesso: che il beneficio in questione è stato introdotto col contratto collettivo post-corporativo (art. 27 c.c.l. del 4.2.1946) a favore dei dipendenti delle aziende elettriche, con la finalità di attribuire un beneficio alle famiglie dei dipendenti che si servivano per uso domestico dell’energia elettrica fornita dal datore di lavoro; che tale beneficio era riconosciuto anche a favore di soggetti non dipendenti, come le vedove o i vedovi, o non più dipendenti, come i lavoratori in pensione; che il beneficio non aveva alcun collegamento con la prestazione lavorativa dei singoli, come la qualifica, la retribuzione ecc.; che con il c.c.l. E. del 23.4.1996 la misura è stata abolita per il personale assunto dall’1.7.1996 mentre è stata confermata per i dipendenti in servizio anche con verbale di accordo aziendale del 19.4.2002; che a seguito di formale recesso da parte di E. spa dagli accordi collettivi sulle agevolazioni tariffarie, il beneficio è stato eliminato anche per gli originari beneficiari e i loro superstiti a far data dall’1.1.2016; che a seguito della citata disdetta è stato sottoscritto con le organizzazioni sindacali un accordo con cui si è riconosciuto agli ex dipendenti e ai superstiti fruitori del beneficio alla data del 31.12.2015 una somma una tantum condizionata alla sottoscrizione entro il 31.12.2016 di un verbale di conciliazione ai sensi dell’art. 2113 cod. civ.
3. La Corte di merito ha ritenuto: che il recesso di E. s.p.a. dall’accordo aziendale del 19.4.2002, con cui era stata convenuta la conferma delle agevolazioni tariffarie per i lavoratori in servizio alla data del 30.6.96, fosse legittimo in quanto l’accordo aziendale aveva una durata indeterminata; che non fossero configurabili diritti quesiti poiché il beneficio in questione non costituiva corrispettivo di prestazioni lavorative già rese ma trovava fondamento unicamente nell’accordo aziendale; che gli accordi successivi alla estinzione del beneficio e concernenti il riconoscimento di una somma una tantum deponevano per il rispetto dei principi di correttezza e buona fede da parte di E. s.p.a.;
che la somma una tantum, in quanto mera liberalità, non poteva essere utilmente censurata per l’ammontare e le modalità di erogazione; che neppure era censurabile la condanna alle spese pronunciata dal tribunale poiché la questione oggetto di causa non poteva definirsi nuova in quanto, all’epoca di deposito del ricorso, era già stata affrontata e decisa con numerose pronunce di merito conformi.
4. Avverso tale sentenza i ricorrenti indicati in epigrafe hanno proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi. E. s.p.a. spa ha resistito con controricorso.
5. Il Procuratore Generale ed entrambe le parti hanno depositato memoria, ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.
Ragioni della decisione
6. Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1372, 1373, 1453, 1375, 1398, 1399, 1703 e ss. e 1387 cod. civ.; violazione dell’art. 33 c.c.n.l. del 21.2.1989 e dell’accordo aziendale del 19.4.2002.
7. Si sostiene che gli attuali ricorrenti abbiano maturato, in costanza del rapporto di lavoro e in base agli accordi collettivi aziendali all’epoca vigenti, il diritto all’agevolazione tariffaria; che la regolamentazione contrattuale successiva alla cessazione dei loro rapporti di lavoro (per il collocamento in pensione) non fosse ad essi opponibile e non potesse far venire meno il beneficio dai medesimi acquisito.
8. Con il secondo motivo si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2099 e 2103 cod. civ. nonché dell’art. 36 Cost.
9. Si afferma che la natura retributiva del diritto alla riduzione tariffaria fosse desumibile dalla rilevanza della stessa ai fini fiscali, previdenziali e pensionistici e per il calcolo del TFR e che risultasse in modo evidente e confessorio dalla nota aziendale E. dell’Ufficio APE – Normativa e contratti dell’1.10.2003, che definiva tale agevolazione tariffaria come “forma di retribuzione in natura”, ai sensi dell’art. 2099 cod. civ. Si invoca il principio di irriducibilità della retribuzione per negare che la società potesse revocare unilateralmente il diritto ormai entrato a far parte del patrimonio del singolo lavoratore pensionato.
10. Con il terzo motivo si addebita alla sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1988, 2702 e 1362 e ss. cod. civ.
11. Si assume che i giudici di appello abbiano erroneamente interpretato la “Certificazione del diritto al mantenimento dell’energia elettrica a tariffa ridotta ai dipendenti cessati dal servizio”, rilasciata ai ricorrenti al momento del pensionamento, in contrasto con i canoni ermeneutici e, specificamente, col criterio dell’interpretazione letterale ed abbiano errato nel considerarla “mera documentazione di carattere amministrativo”. Si argomenta la violazione delle norme che disciplinano la promessa di pagamento, il riconoscimento del debito e, comunque, la scrittura privata, di cui agli artt. 1988 e 2702 cod. civ., alle quali sarebbe riconducibile la certificazione in esame e che esimono il beneficiario dall’onere di provare il rapporto fondamentale, che si presume fino a prova contraria.
12. Con il quarto motivo di ricorso si censura la decisione d’appello, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., per la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1373, 1387 e ss. e 1398 cod. civ. e dei generali principi in tema di recesso dai contratti.
13. Si afferma l’illegittimità del recesso esercitato da E. spa in data 12.10.2015 sotto un duplice profilo: anzitutto, perché avente ad oggetto un accordo aziendale a tempo determinato (e non un accordo “senza predeterminazione di un termine di efficacia”) in quanto l’agevolazione in parola era concessa per la durata della vita di ciascuno dei dipendenti in pensione ed aveva quindi un termine certo nell’an anche se incerto nel quando. Inoltre, per essere stata la disdetta comunicata solo alle organizzazioni sindacali di categoria, non rappresentative dei lavoratori pensionati, risultando la stessa inefficace nei confronti di questi ultimi. Si deduce, in particolare, la violazione dell’art. 1373 cod. civ. sulla efficacia del recesso e degli artt. 1387 e 1388 cod. civ. sul difetto di rappresentanza.
14. Con il quinto motivo di ricorso si denuncia, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ.
15. Si premette che il ricorso introduttivo di primo grado è stato depositato il 22.7.2016, prima che fossero emesse le prime sentenze dei giudici di merito e che, comunque, dovesse riconoscersi la novità della questione ai fini della compensazione delle spese processuali per la mancanza all’epoca di precedenti di legittimità.
16. I primi quattro motivi di ricorso, che si esaminano congiuntamente per connessione, sono infondati.
17. Dalla ricostruzione effettuata dalla Corte distrettuale, non specificamente contrastata dagli odierni ricorrenti, emerge che da un punto di vista storico l’agevolazione tariffaria sull’energia elettrica venne introdotta per la prima volta nel contratto collettivo post corporativo a favore dei dipendenti delle aziende elettriche private con la finalità di attribuire un beneficio alle famiglie dei dipendenti che si servivano per uso domestico della energia erogata dal proprio datore di lavoro.
18. La misura in oggetto fu strettamente collegata all’uso familiare dell’abitazione principale del dipendente tanto che in presenza di più dipendenti E., componenti del medesimo nucleo familiare, l’agevolazione tariffaria spettava per una sola utenza e comunque entro determinati limiti; essa venne estesa agli ex dipendenti posti in quiescenza e riconosciuta anche in favore di soggetti non dipendenti quali le vedove e i vedovi degli ex dipendenti.
19. La previsione di tale beneficio fu mantenuta nei diversi contratti collettivi succedutisi nel tempo fino al contratto collettivo del 1996 che escluse tale misura per i dipendenti assunti a partire dal 1° luglio 1996. Il successivo contratto collettivo 2001 abolì l’istituto stabilendo la necessità di una rinegoziazione della complessiva disciplina aziendale in vigore. In tale contesto si colloca la stipula dell’accordo aziendale di cui al verbale del 19 aprile 2002 (cd. accordo di armonizzazione) con il quale le parti convenivano che per i lavoratori in servizio alla data del 30 giugno 1996 restavano confermate le disposizioni di cui all’art. 33 del c.c.l. 21.2.1989 in materia di energia elettrica.
20. Con il contratto collettivo elettrici dell’anno 2006 E. s.p.a. e le organizzazioni sindacali assunsero formale impegno alla definizione a livello aziendale della questione relativa al riesame della materia delle agevolazioni tariffarie ed in attuazione di tale impegno venne avviato un processo negoziale confluito nella sottoscrizione, nel maggio 2011, di alcuni autonomi accordi programmatici, dedicati alle agevolazioni tariffarie ed alla contestuale attuazione di misure di sostegno del sistema della previdenza complementare, misure modulate in maniera differenziata per fasce di dipendenti distinte in relazione all’epoca di assunzione; tale processo fu portato a conclusione con l’accordo in data 1° dicembre 2011 tra E. e le parti sindacali e prevedeva, per quel che qui rileva, la sostituzione, a decorrere dal 1° febbraio 2012, dell’istituto delle agevolazioni tariffarie con misure di sostegno al sistema della previdenza complementare in azienda.
21. Tali accordi furono sottoscritti dai rappresentanti di tutte le organizzazioni sindacali firmatarie del contratto collettivo elettrici.
22. In data 12 ottobre 2015 E. s.p.a. comunicò alle Segreterie Nazionali delle Organizzazioni Sindacali formale recesso dalla regolamentazione collettiva sulle agevolazioni tariffarie, con estinzione del beneficio alla data del 31 dicembre 2015 anche per gli ex dipendenti ed i loro superstiti. In data 27 novembre 2015, in seguito a confronto tra E. s.p.a. e le organizzazioni sindacali, fu sottoscritto uno specifico accordo con il quale veniva previsto che dal 1° gennaio 2016 agli ex dipendenti e superstiti, fruitori del beneficio alla data del 31 dicembre 2015, era riconosciuta una tantum ed a titolo di liberalità una somma lorda quantificata in base all’età del singolo beneficiario la cui erogazione fu condizionata alla sottoscrizione di un verbale di conciliazione.
23. Dalla evoluzione della disciplina collettiva in materia di agevolazione tariffaria si evince, quindi, che a partire quanto meno dal contratto collettivo del 1996 si avvertì la necessità di un superamento dell’istituto, ritenuto evidentemente anacronistico in considerazione sia della mutata natura dell’E., da ente pubblico economico a società per azioni per effetto del d.l. n. 333/1992 (art. 15) convertito in legge n. 359/1992, sia in relazione al processo di liberalizzazione del mercato elettrico disposto con il d. lgs. n. 79/1999, in attuazione della direttiva 96/92/CE recante norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica, processo completato il 1° luglio 2007 (d.l. n. 73/2007 convertito in legge n. 125/2007).
24. Come evidenziato dalla sentenza impugnata, l’Autorità intervenne con delibera n. 348/2007 sollecitando l’incentivazione del riassorbimento degli sconti sui consumi elettrici riconosciuti ai dipendenti del settore assunti prima del 1° luglio 1996, «al fine di evitare distorsioni del segnale del prezzo percepito per tali consumatori domestici e di ridurre il rischio di un uso inefficiente dell’energia elettrica e le complicazioni amministrative in capo al distributore e al venditore».
25. Alla luce di tale complessivo contesto ed in particolare della evoluzione della disciplina collettiva in tema di agevolazione tariffaria devono essere esaminate le questioni poste dai motivi di ricorso in esame.
26. La prima questione concerne la natura, retributiva (rectius corrispettiva) o meno, dell’agevolazione tariffaria in esame; la relativa verifica, condotta alla luce delle caratteristiche dell’istituto quale regolato dalle norme collettive (v. paragrafo 4.1.), induce ad escludere ogni rapporto di corrispettività tra l’agevolazione tariffaria e la prestazione del singolo lavoratore;
il riconoscimento del relativo diritto e della sua misura, prescindeva, infatti, del tutto dalla qualità e quantità della prestazione lavorativa resa dal singolo dipendente nonché dalla durata del pregresso rapporto e dalla posizione che il lavoratore aveva assunto in azienda; in conseguenza, tale istituto risultava sottratto al rispetto del canone di proporzionalità e sufficienza di cui all’art. 36 Cost., configurandosi come un beneficio che trovava origine nel complessivo regolamento del rapporto di lavoro senza essere specificamente destinato alla remunerazione della prestazione resa dal dipendente.
27. In senso contrario a tale approdo non sono utilmente invocabili alcuni precedenti di questa Corte (Cass. n. 24268 del 2013 e Cass. n. 24533 del 2013), che hanno scrutinato fattispecie non sovrapponibili a quella in esame, in quanto nelle richiamate decisioni l’affermazione della natura retributiva dell’agevolazione tariffaria concessa ai lavoratori si connetteva al carattere alternativo che tale agevolazione aveva assunto rispetto al riconoscimento di un assegno ad personam non assorbibile, di pacifica natura retributiva.
28. Non orienta a soluzione opposta a quella qui condivisa la considerazione del contenuto della lettera del 16 febbraio 1963, inviata dalla Direzione dell’E. alle Segreterie nazionali delle Organizzazioni sindacali, che sembra configurare il riconoscimento dell’agevolazione tariffaria quale contropartita a fronte del contenimento degli incrementi retributivi rivendicati dai lavoratori;
ciò sia perché tale lettera esprime solo la posizione dell’E. e non è significativa della comune volontà delle parti collettive nella regolamentazione dell’istituto, sia per la dirimente considerazione che il documento alla base delle censure articolate non è evocato nel rispetto delle prescrizioni dell’art. 366, comma 1, n. 6 cod. proc. civ. non avendo la parte ricorrente indicato se e dove nell’ambito del giudizio di merito esso era stato prodotto, come era suo onere (Cass. n. 29093 del 2018, Cass. n. 195 del 2016, Cass. n. 16900 del 2015, Cass. n. 26174 del 2014, Cass. 24/10/2014 n. 22607 del 2014, Cass. Sez. Un, n. 7161 del 2010).
29. Neppure può valere a sorreggere l’affermazione della natura retributiva dell’agevolazione tariffaria in oggetto la circostanza del suo inserimento nel CUD e la sua qualificazione come «reddito da lavoro» ai fini IRPEF (Cass. n. 586 del 2017, Cass. n. 11414 del 2015), tenuto conto delle specifiche finalità della legge tributaria per la quale ciò che rileva è che una determinata erogazione (o il suo controvalore) costituisca indice di capacità contributiva che lo renda assoggettabile a prelievo fiscale; tanto esclude che dalla qualificazione a fini fiscali dell’agevolazione tariffaria possano trarsi indicazioni destinate ad incidere sulla configurazione dell’istituto in oggetto nell’ambito del rapporto di lavoro.
30. La seconda questione che pongono le censure articolate concerne la configurabilità di un diritto quesito in capo agli odierni ricorrenti, ex pensionati, al mantenimento del beneficio.
31. A riguardo occorre premettere che secondo l’orientamento del giudice di legittimità «nell’ambito del rapporto di lavoro sono configurabili diritti quesiti, che non possono essere incisi dalla contrattazione collettiva in mancanza di uno specifico mandato o di una successiva ratifica da parte dei singoli lavoratori, solo con riferimento a situazioni che siano entrate a far parte del patrimonio del lavoratore subordinato, come nel caso dei corrispettivi di prestazioni già rese, e non invece in presenza di quelle situazioni future o in via di consolidamento, che sono frequenti nel contratto di lavoro, da cui scaturisce un rapporto di durata con prestazioni ad esecuzione periodica o continuativa, autonome tra loro e suscettibili come tali di essere differentemente regolate in caso di successione di contratti collettivi» (Cass. n. 14944 del 2014; Cass. n 20838 del 2009). Pertanto, gli unici diritti intangibili sono quelli che sono già entrati a far parte del patrimonio del lavoratore, quale corrispettivo di una prestazione già resa o di una fase del rapporto già eseguita, situazioni queste non configurabili in relazione alla pretesa azionata dagli odierni ricorrenti, espressione di una mera aspettativa al mantenimento nel tempo della più favorevole normativa collettiva che tale beneficio ha previsto.
32. L’agevolazione tariffaria in questione trova, infatti, la propria fonte nelle disposizioni del contratto collettivo le quali, come ripetutamente chiarito dal giudice di legittimità, non si incorporano nel contenuto del contratto individuale dando luogo a diritti quesiti sottratti al potere dispositivo delle organizzazioni sindacali, ma operano sul singolo rapporto come fonte esterna di regolamento del rapporto, concorrente con la fonte individuale, con la conseguenza che, in caso di successione dei contratti collettivi, si realizza una sostituzione delle nuove clausole e le precedenti disposizioni non sono suscettibili di essere conservate secondo il criterio del trattamento più favorevole, restando la conservazione di quel trattamento affidata all’autonomia contrattuale delle parti collettive stipulanti, le quali possono prevederla con apposita clausola di salvaguardia (Cass. n. 16043 del 2018, Cass. n. 1298 del 2000, Cass. n. 11466/1997, Cass. n. 11052 del 1995), volontà nello specifico non rinvenibile.
33. Una volta esclusa la configurabilità del consolidarsi di un diritto quesito al mantenimento del beneficio in capo ai lavoratori per effetto delle richiamate pattuizioni collettive, il recesso di E. s.p.a, risulta senz’altro consentito alla luce del consolidato orientamento di questa Corte, che si richiama anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ., secondo il quale qualora il contratto collettivo non abbia un predeterminato termine di efficacia, non può vincolare per sempre tutte le parti contraenti, perché finirebbe in tal caso per vanificarsi la causa e la funzione sociale della contrattazione collettiva, la cui disciplina, da sempre modellata su termini temporali non eccessivamente dilatati, deve parametrarsi su una realtà socio economica in continua evoluzione, sicché a tale contrattazione va estesa la regola, di generale applicazione nei negozi privati, secondo cui il recesso unilaterale rappresenta una causa estintiva ordinaria di qualsiasi rapporto di durata a tempo indeterminato, che risponde all’esigenza di evitare – nel rispetto dei criteri di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto – la perpetuità del vincolo obbligatorio. Ne consegue che, in caso di disdetta del contratto, i diritti dei lavoratori, derivanti dalla pregressa disciplina più favorevole, sono intangibili solo in quanto siano già entrati nel patrimonio del lavoratore quale corrispettivo di una prestazione già resa o di una fase del rapporto già esaurita, e non anche quando vengano in rilievo delle mere aspettative sorte alla stregua della precedente più favorevole regolamentazione. (Cass. n. 14961 del 2022, Cass n. 40409 del 2021, Cass. n. 23105 del 2019, Cass. 18548 del 2009).
34. Il quinto motivo di ricorso è inammissibile.
35. Con riferimento al regolamento delle spese, il sindacato della Corte di cassazione è limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte vittoriosa, con la conseguenza che esula da tale sindacato, e rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, sia la valutazione dell’opportunità di compensare in tutto o in parte le spese di lite, tanto nell’ipotesi di soccombenza reciproca, quanto nelle altre ipotesi normativamente previste, sia provvedere alla loro quantificazione, senza eccedere i limiti minimi massimi fissati dalle tabelle vigenti (v. Cass. n. 19613 del 2017; n. 8421 del 2017; Sez. 6 n. 24502 del 2017).
36. Per le ragioni esposte il ricorso deve essere respinto.
37. La regolazione delle spese segue il criterio di soccombenza, con liquidazione come in dispositivo.
38. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in € 5.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.