Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 gennaio 2023, n. 1597

Lavoro, Regime di agevolazione tariffaria sul consumo di energia elettrica, Esclusione della natura retributiva della agevolazione tariffaria, Diritti quesiti, Rigetto

 

Fatti di causa

 

1. Con sentenza n. 1053/2019 la Corte d’appello di Milano ha confermato il rigetto della domanda proposta da E.G.P. ed altri ex dipendenti di E. s.p.a., attualmente pensionati, in passato fruitori del regime di agevolazione tariffaria sul consumo di energia elettrica, intesa all’accertamento della nullità/inefficacia/inopponibilità dell’accordo sindacale del 27 novembre 2015 in quanto sottoscritto da associazioni sindacali in totale carenza di mandato e comunque la sua erroneità, con condanna di E. s.p.a. a corrispondere il corrispettivo monetario dei benefit sui consumi energetici; in via subordinata gli odierni ricorrenti avevano chiesto la condanna di E. s.p.a. al pagamento degli importi a ciascuno spettanti come da tabella allegata all’accordo sindacale del 27 novembre 2015;

2. La Corte di merito, ricostruita la disciplina collettiva via via succedutasi nel tempo ed evolutasi nel senso di un progressivo e radicale superamento del quadro originario, essenzialmente in ragione dalla mutata natura giuridica di E. da ente pubblico economico a società per azioni (art. 15, d.l. n. 337/1992 (ndr art. 15, d.l. n. 333/1992) conv. in legge n. 359/1992) e della liberalizzazione, a partire dal 1 luglio 2007, del mercato dell’energia elettrica, ha escluso che alla agevolazione in oggetto potesse riconoscersi natura retributiva restando irrilevante la qualificazione ai fini fiscali di detta erogazione ai sensi degli artt. 49 e 51 TUIR; ciò posto ha escluso che tali agevolazioni tariffarie configurassero diritti quesiti risultando pertanto le stesse suscettibili di essere incise dalla unilaterale disdetta da parte dell’E. delle relative previsioni collettive alla luce del principio generale dell’ordinamento secondo il quale il contratto collettivo senza predeterminazione di un termine di efficacia non può vincolare per sempre tutte le parti contraenti perché finirebbe in tal modo per vanificare la causa e la funzione sociale della contrattazione collettiva che, viceversa, deve parametrarsi su una realtà socio economica in continua evoluzione.

Neppure sussistevano i presupposti per il riconoscimento della somma una tantum prevista dall’accordo collettivo 2015, avente natura di erogazione liberale in senso lato, frutto di trattativa sindacale tesa ad edulcorare l’impatto sociale del pienamente legittimo recesso E..

3. Per la cassazione della decisione hanno proposto ricorso E.G.P. e gli altri dipendenti sulla base di sette motivi; la parte intimata ha resistito con tempestivo controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ. .

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo gli odierni ricorrenti deducono nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e dell’art. 1372 cod.civ. Lamentano la omessa pronunzia su due questioni determinanti devolute con l’atto di gravame con il quale avevano denunziato che il giudice di primo grado aveva omesso di pronunziare sia sulla carenza di mandato in capo alle organizzazioni sindacali firmatarie dell’accordo sia sulla “causa petendi”, vale a dire sulla specifica fattispecie costituiva rivendicata, rappresentata dall’applicazione dell’art. 30, punto c) delle Dichiarazioni a verbale apposte ai contratti collettivi succedutisi a partire dal 1973; tali domande erano state del tutto ignorate dal primo giudice come denunziato con l’atto di appello; evidenziano che la sentenza di secondo grado aveva dato atto della proposizione della questione, senza tuttavia affrontarla in quanto il precedente richiamato in motivazione ai sensi dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. non si era espresso sulla specifica questione;

richiamano il valore confessorio delle difese spiegate da E. in punto di riconoscimento del carattere di rendita all’agevolazione in oggetto ed invocano la giurisprudenza di legittimità secondo la quale per i rapporti di lavoro cessati nel vigore di una determinata fonte collettiva i diritti attribuiti dal contratto non possono essere influenzati dalla stipulazione di successivi contratti il cui oggetto è limitato ai rapporti di lavoro in atto.

2. Con il secondo motivo deducono violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ., denunziando la errata percezione degli accordi sindacali del 17 maggio 2011 e del 27 novembre 2011.

3. Con il terzo motivo deducono violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma 1 n. 4 cod. proc. civ. (omessa pronunzia – errata individuazione della domanda); sostengono, in sintesi, di avere sin dalla prima udienza del giudizio di primo grado dichiarato di rinunziare alla agevolazione tariffaria chiedendo l’accertamento del diritto al corrispettivo monetario del benefit mentre la Corte si era pronunziata sul diritto al mantenimento della agevolazione tariffaria.

4. Con il quarto motivo deducono violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e dell’art. 2099 cod. civ. in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 4 e 5 cod. proc. civ.; sostengono che la Corte aveva trascurato di prendere in considerazione il quinto ed il sesto motivo di gravame formulati con l’atto di appello; censurano inoltre sotto vari profili l’affermazione della natura retributiva dell’agevolazione tariffaria sul consumo di energia elettrica.

5. Con il quinto motivo deducono violazione e falsa applicazione dell’art. 12 Preleggi, degli artt. 1872, 1321, 1322 cod. civ. e dell’art. 36 Cost. in relazione dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. (con riferimento all’omesso esame di un fatto storico e all’intangibilità dei diritti quesiti). Assumono in particolare il contrasto tra la motivazione sviluppata a sostegno del decisum e le prove documentali acquisite in atti.

6. Con il sesto motivo deducono violazione dell’art. 112 cod. proc.civ. dell’art. 3 Cost., dell’art. 15 legge n. 300 del 1970 in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 4, cod. proc. civ., censurando in sintesi la sentenza impugnata per avere omesso di pronunziare su uno specifico motivo di appello con il quale era denunziata la ingiustificata disparità di trattamento tra lavoratori attivi e ex dipendenti in pensione.

7. Con il settimo motivo deducono violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e degli artt. 1175 e 1375 cod. civ. censurando la sentenza impugnata per avere omesso di esaminare il terzo motivo di gravame formulato nell’atto di appello, con il quale si dolevano che il giudice di prime cure non avesse rilevato la violazione dei principi di correttezza e buona fede.

8. Il primo motivo di ricorso presenta profili di inammissibilità ed è comunque infondato.

8.1. È inammissibile in quanto nel denunziare l’omesso esame di una specifica questione dedotta in secondo grado il motivo si limita ad un rinvio per relationem al contenuto dell’atto di appello (ricorso, pag. 12). Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, infatti, affinché possa utilmente dedursi in sede di legittimità un vizio di omessa pronunzia, ai sensi dell’art. 112 cod. proc. civ., è necessario, da un lato, che al giudice del merito siano state rivolte una domanda od un’eccezione autonomamente apprezzabili, ritualmente ed inequivocabilmente formulate, per le quali quella pronunzia si sia resa necessaria ed ineludibile, e, dall’altro, che tali istanze siano riportate puntualmente, nei loro esatti termini e non genericamente ovvero per riassunto del loro contenuto, nel ricorso per cassazione, con indicazione specifica, altresì, dell’atto difensivo e/o del verbale di udienza nei quali l’una o l’altra erano state proposte; ciò al fine di consentire al giudice di verificare, “in primis”, la ritualità e la tempestività ed, in secondo luogo, la decisività delle questioni prospettatevi. Pertanto nel caso in cui si deduca, la violazione, nel giudizio di merito, del citato art. 112 cod. proc. civ., riconducibile alla prospettazione di un’ipotesi di “error in procedendo” per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del “fatto processuale”, detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena di inammissibilità, all’adempimento da parte del ricorrente – per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l’altro, il rinvio “per relationem” agli atti della fase di merito – dell’onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad una loro autonoma ricerca, ma solo ad una verifica degli stessi (Cass. n. 15367 del 2014, Cass. n. 21226 del 2010, Cass. n. 6361 del 2007).

8.2. Occorre, inoltre, in via generale, con riferimento a tutti i motivi di ricorso che presentano profili di inammissibilità connessi alla violazione dell’art. 366, comma 1 n. 6 cod. proc. civ. nell’evocazione degli atti e documenti di causa alla base delle censure formulate, che non può tenersi conto delle integrazioni rinvenibili nella memoria ex art. 378 cod. proc. civ. dei ricorrenti la quale ha solo funzione illustrativa e chiarificatrice dei motivi ritualmente formulati in ricorso, dovendosi escludere ogni efficacia sanante degli eventuali vizi dello stesso (Cass. n. 30660 del 2018, Cass. n. 7237 del 2006).

8.3. Il motivo è comunque infondato in quanto le tesi dei ricorrenti devono ritenersi implicitamente disattese alla luce del percorso argomentativo logico giuridico alla base del decisum.

8.4. La Corte d’appello, infatti, esclusa la natura retributiva della agevolazione tariffaria in controversia e la connessa configurabilità in capo ai lavoratori di un diritto quesito al relativo mantenimento per il futuro ha ritenuto che tale misura poteva essere validamente incisa dalla disdetta unilaterale della relativa regolamentazione intimata da E. s.p.a.,; in tal modo, il giudice di appello ha mostrato di ritenere irrilevanti le questioni prospettate, concernenti la carenza di mandato ed il difetto di rappresentatività delle OO.SS. che hanno sottoscritto l’accordo del 27.11.2015, nonché la portata della previsione dell’art. 30 p. 4 dichiarazioni a verbale del CCNL anche in relazione alla dichiarazione E., che avrebbe comportato che “quella che era sostanzialmente una rendita è stata trasformata in un capitale attraverso un’operazione che appare di per sé neutrale”.

9. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile in quanto per dedurre la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. è necessario denunciare che il giudice non abbia posto a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, cioè abbia giudicato in contraddizione con la prescrizione della norma, il che significa che per realizzare la violazione deve avere giudicato o contraddicendo espressamente la regola di cui alla norma, cioè dichiarando di non doverla osservare, o contraddicendola implicitamente, cioè giudicando sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte invece di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre; in altri termini, una questione di violazione o di falsa applicazione dell’art. 115 (e dell’art. 116) cod. proc. civ. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass. Sez. Un. n. 20867 del 2020, Cass. n. 1229 del 2019, Cass. n. 27000 del 2016).

9.1. Da tanto consegue che il motivo di ricorso, per come concretamente articolato, non appare riconducibile al vizio formalmente denunziato sostanziandosi, in definitiva, nella richiesta di un nuovo apprezzamento nel merito del contenuto degli accordi sindacali del maggio e del novembre 2011, con particolare riferimento alla valutazione del trattamento riservato agli ex dipendenti pensionati rispetto ai lavoratori attivi, accordi peraltro evocati in violazione delle prescrizioni imposte a pena di inammissibilità, dall’art. 366, comma 1 n. 6 cod. proc. civ.. Dalla illustrazione del motivo neppure risulta prospettata, prima che dimostrata, l’assoluta impossibilità logica di ricavare dagli elementi probatori acquisiti i contenuti informativi individuati dal giudice e la attitudine dei corretti contenuti informativi a determinare una decisione diversa, non già in termini di mera probabilità, bensì di assoluta certezza” (n. 12971 del 2022).

10. Il terzo motivo di ricorso è infondato.

10.1. La Corte distrettuale non ha omesso di pronunziare sulla domanda di accertamento del diritto al corrispettivo monetario del benefit sui consumi energetici della cui proposizione ha dato espressamente atto. La verifica della natura del diritto alla tariffa agevolata e della connessa possibilità che su tale misura potesse incidere la disdetta unilaterale della società E.., sui quali si è diffusa la sentenza impugnata, costituivano, infatti, accertamento prodromico indispensabile al fine del riconoscimento del diritto al corrispettivo del benefit. Una volta esclusa, all’esito di tale verifica, la esistenza di un diritto quesito in capo ai dipendenti ex pensionati E. s.p.a. a continuare a godere per il futuro dell’agevolazione in questione, non vi era, infatti, alcun autonomo spazio per il riconoscimento del diritto al corrispettivo del benefit come rivendicato dai ricorrenti.

11. Il quarto motivo di ricorso è inammissibile valendo le considerazioni espresse al paragrafo 8.1. sia in tema di necessità, al fine della configurazione dell’omessa pronunzia della necessità che al giudice di merito sia proposta una domanda od un’eccezione autonomamente apprezzabili sia in tema di rinvio per relationem.

11.1. Quanto al primo profilo, le deduzioni dei ricorrenti si rivelano già in astratto inidonee a consentire la configurazione del vizio di omessa pronunzia posto che esse non investono la omessa pronunzia su una domanda o su una eccezione autonomamente apprezzabili, ma attengono all’asserita mancata considerazione delle «puntuali critiche» formulate nell’atto di appello alla sentenza di primo grado in relazione a determinati elementi tratti dalla contrattazione collettiva che secondo parte ricorrente avrebbero dovuto persuadere della natura retributiva dell’agevolazione in oggetto. Quanto al secondo profilo, ancora una volta gli odierni ricorrenti si limitano ad un rinvio per relationem all’atto di appello inidoneo alla valida deduzione del vizio denunziato.

11.2. Nel merito, la affermazione della natura non retributiva (rectius non corrispettiva) dell’agevolazione tariffaria appare condivisibile alla luce della regolamentazione collettiva dell’istituto che esclude ogni collegamento tra l’agevolazione in questione e la prestazione del singolo lavoratore; il riconoscimento del relativo diritto e della sua misura si presentava infatti del tutto “sganciato” dalla qualità e quantità della prestazione lavorativa resa dal dipendente nonché dalla durata del pregresso rapporto e dalla posizione che il lavoratore aveva assunto in azienda; ed infatti la agevolazione tariffaria veniva configurata quale “concessione” non computata ad alcun effetto; alla stregua di tali caratteristiche la agevolazione in questione risultava sottratta al rispetto del canone di proporzionalità e sufficienza di cui all’art. 36 Cost., configurandosi come un beneficio che trovava origine nel complessivo regolamento del rapporto di lavoro senza essere specificamente destinato alla remunerazione della prestazione resa dal dipendente.

11.3. In senso contrario a tale approdo non sono utilmente invocabili alcuni precedenti di questa Corte (Cass. n. 24268 del 2013 e Cass. n. 24533 del 2013), che hanno scrutinato fattispecie non sovrapponibili a quella in esame, in quanto nelle richiamate decisioni l’affermazione della natura retributiva dell’agevolazione tariffaria concessa ai lavoratori si connetteva al carattere alternativo che tale agevolazione aveva assunto rispetto al riconoscimento di un assegno ad personam non assorbibile, di pacifica natura retributiva.

11.4. Non orienta a soluzione opposta a quella qui condivisa la considerazione del contenuto della lettera del 16 febbraio 1963 inviata dalla Direzione dell’E. alle Segreterie nazionali delle Organizzazioni sindacali, che sembra configurare il riconoscimento dell’agevolazione tariffaria quale contropartita a fronte del contenimento degli incrementi retributivi rivendicati dai lavoratori;

ciò sia perché tale lettera esprime solo la posizione dell’E. e non è significativa della comune volontà delle parti collettive nella regolamentazione dell’istituto.

11.5. Neppure può valere a sorreggere l’affermazione della natura retributiva dell’agevolazione tariffaria in oggetto la circostanza del suo inserimento nel CUD e la sua qualificazione come «reddito da lavoro» ai fini IRPEF (Cass. n. 586 del 2017, Cass. n. 11414 del 2015), tenuto conto delle specifiche finalità della legge tributaria per la quale ciò che rileva è che una determinata erogazione (o il suo controvalore) costituisca indice di capacità contributiva che lo renda assoggettabile a prelievo fiscale;

tanto esclude che dalla qualificazione a fini fiscali dell’agevolazione tariffaria possano trarsi indicazioni destinate ad incidere sulla configurazione dell’istituto in oggetto nell’ambito del rapporto di lavoro.

12. Il quinto motivo di ricorso è inammissibile laddove denunzia, ai sensi dell’art. 360, comma 1 n. 5 cod. proc. civ. omesso esame di un fatto controverso e decisivo, stante la preclusione alla deduzione del vizio motivazionale scaturente dalla esistenza di <<doppia conforme>>, ai sensi dell’art. 348 ter ultimo comma cod. proc. civ., non avendo parte ricorrente, come suo onere, indicato le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (Cass. n. 20994 del 2019, Cass. n. 19001 del 2016, Cass. n. 5528 del 2014).

13. Il sesto motivo di ricorso è inammissibile incorrendo parte ricorrente nella violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione avendo affidato la deduzione di omessa pronunzia al rinvio per relationem agli atti del giudizio di merito, come non consentito (v. paragrafo 8.1.).

14. Per ragioni analoghe deve essere affermata la inammissibilità del settimo motivo di ricorso per cassazione connotato anch’esso da rinvio per relationem all’atto di appello, intrinsecamente inidoneo a consentire la verifica della fondatezza del vizio denunziato sulla base del solo ricorso per cassazione, secondo quanto già in precedenza osservato (v. paragrafo 8.1.).

Deve ulteriormente osservarsi che la specifica questione della violazione da parte di E. dei principi di correttezza e buona fede, che sembrerebbe essere stata riproposta in questa sede, non è stata specificamente affrontata dal precedente richiamato ai sensi dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. nella sentenza impugnata, di talché onde impedire una valutazione di novità della stessa costituiva onere del ricorrente dimostrare la avvenuta tempestiva e rituale deduzione della questione nelle fasi di merito (Cass. n. 20694 del 2018, Cass. n. 15430 del 2018, Cass. n. 23675 del 2013), come viceversa non è avvenuto.

15. In base alle considerazioni che precedono il ricorso deve essere respinto con regolamento secondo soccombenza delle spese di lite liquidate ai sensi del D.M. n. 147/2022.

16. Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dell’art.13 d. P.R. n. 115/2002 (Cass. Sez. Un. n. 23535/2019), se dovuto.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 8.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori, come per legge. Con distrazione. Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso incidentale a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.

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