Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 20 gennaio 2023, n. 1771
Lavoro, Fondo di garanzia INPS, Conoscibilità dell’esito infruttuoso dell’esecuzione, Partecipazione del lavoratore alle operazioni di pignoramento, Datore di lavoro non assoggettabile alle procedure concorsuali, Prescrizione, Decorrenza dalla cognizione dell’insufficienza totale o parziale delle garanzie patrimoniali del datore, Rigetto
Fatti di causa
1.- Il signor A.S. ha agito in giudizio nei confronti dell’INPS, per chiedere il pagamento, a carico del Fondo di garanzia, delle ultime mensilità di retribuzione (luglio, agosto e settembre 2012), per un ammontare complessivo di Euro 6.259,00.
Il Tribunale di Firenze ha respinto la domanda, in quanto presentata il 10 marzo 2014, allorché era già maturata la prescrizione annuale prevista dalla legge.
Ad avviso del Tribunale, il dies a quo decorre dalla data del verbale di pignoramento mobiliare negativo (15 febbraio 2013) e non dal momento in cui il debitore, con maggiore o minore solerzia, ha ritirato il verbale e ha così avuto conoscenza del suo contenuto.
Né il lavoratore deve attendere il deposito degli ultimi bilanci della società (18 dicembre 2013), che attestano la non fallibilità del datore di lavoro. I bilanci potrebbero essere depositati «anche a distanza di anni» e, a voler annettere rilievo a tale momento, sarebbero vanificate quelle esigenze di certezza del diritto che sono all’origine della fissazione di un termine di prescrizione.
2.- Con sentenza pubblicata il 20 settembre 2018 con il numero 763/2018, la Corte d’appello di Firenze ha accolto il gravame proposto da A.S. e ha condannato l’INPS a corrispondere all’appellante la somma lorda di Euro 6.259,00, oltre agl’interessi legali e alla rivalutazione monetaria, e a rifondergli le spese di lite del doppio grado.
A fondamento della decisione, la Corte territoriale ha argomentato che:
a) l’appellante può ottenere dal Fondo di garanzia istituito presso l’INPS il pagamento delle ultime tre mensilità, relative ai dodici mesi che precedono la data d’inizio dell’esecuzione forzata (art. 2 del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 80);
b) l’art. 2, comma 5, del d.lgs. n. 80 del 1992 fissa, a tale riguardo, un termine di prescrizione annuale: tale termine, anche in ragione della sua brevità, decorre solo dal momento in cui <<il lavoratore ha effettiva conoscenza dell’infruttuoso esperimento della procedura esecutiva>>;
c) non si può imputare alcun comportamento negligente al lavoratore, che ha ritirato il 7 marzo 2013 il verbale di pignoramento del 15 febbraio 2013;
d) pertanto, allorché la domanda amministrativa è stata presentata, il 1° marzo 2014, il termine annuale di prescrizione non era ancora decorso;
e) superflua è la disamina del primo motivo d’appello, che verte sulla data di deposito dei bilanci da parte del datore di lavoro;
f) le spese di entrambi i gradi di giudizio seguono la soccombenza.
3.- L’INPS impugna per cassazione la sentenza della Corte d’appello di Firenze, con ricorso notificato il 19 novembre 2018 e affidato a due motivi, illustrati da memoria.
4.- A.S. resiste con controricorso, illustrato da memoria.
5.- Fissata alla pubblica udienza del 27 settembre 2022 (art. 375, secondo comma, cod. proc. civ.), la causa è stata trattata in camera di consiglio, senza l’intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, in quanto nessuno degl’interessati ha formulato istanza di discussione orale (art. 23, comma 8-bis, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, inserito dalla legge di conversione 18 dicembre 2020, n. 176, e prorogato fino al 31 dicembre 2022 dall’art. 16, comma 1, del decreto-legge 30 dicembre 2021, n. 228, convertito, con modificazioni, nella legge 25 febbraio 2022, n. 15).
6.- Il Pubblico Ministero ha chiesto di rigettare il ricorso.
Ragioni della decisione
1.- Il ricorso si articola in due motivi.
1.1.- Con il primo mezzo (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), l’INPS denuncia la violazione degli artt. 1, comma 2, e 2, commi 3 e 5, del d.lgs. n. 80 del 1992 e dell’art. 2, comma 5, della legge 29 maggio 1982, n. 297, in riferimento all’art. 165 disp. att. cod. proc. civ. e all’art. 2935 cod. civ.
La sentenza impugnata avrebbe errato nell’escludere l’estinzione del diritto per prescrizione annuale e nel considerare tempestiva una domanda presentata solo il 10 marzo 2014.
Ad avviso del ricorrente, verrebbe in rilievo la data del verbale di pignoramento (15 febbraio 2013), che ha accertato l’esito negativo della procedura esecutiva. Sarebbe, invece, ininfluente il momento del ritiro del verbale (7 marzo 2013), sul quale fa leva, per escludere il compimento della prescrizione, la sentenza impugnata.
Il lavoratore avrebbe potuto partecipare alle operazioni di pignoramento (art. 165 disp. att. cod. proc. civ.) e conoscerne così l’esito senza ritardo. Il tempo atteso per il rilascio del verbale di pignoramento negativo rappresenterebbe un mero ostacolo di fatto e non potrebbe impedire la decorrenza della prescrizione.
Irrilevante sarebbe anche il tempo necessario per la presentazione dei bilanci della società, che comprovano, per il datore di lavoro insolvente, la non assoggettabilità a fallimento.
1.2.- Con la seconda censura (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), svolta in via subordinata, il ricorrente si duole della violazione dell’art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 80 del 1992, in riferimento all’art. 1 della legge 13 agosto 1980, n. 427, come modificato dall’art. 1, comma 5, della legge 19 luglio 1994, n. 451, e dall’art. 1, comma 27, della legge 24 dicembre 2007, n. 247.
La Corte territoriale avrebbe accolto integralmente la domanda del lavoratore, in violazione del massimale che delimita le prestazioni del Fondo di garanzia con riguardo alle ultime tre mensilità di retribuzione. Il predetto massimale, costituito da una somma non superiore a tre volte la misura massima del trattamento d’integrazione salariale mensile al netto delle trattenute previdenziali (art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 80 del 1992), ammonterebbe, per l’anno di riferimento del 2012, a Euro 3.161,85.
La Corte d’appello fiorentina, in base al principio “iura novit curia”, avrebbe dovuto contenere la condanna entro l’importo massimo determinato dalla legge.
2.- Con riguardo al primo motivo, occorre esaminare, preliminarmente, l’eccezione d’inammissibilità formulata nel controricorso e incentrata sulla novità della questione della conoscibilità dell’esito infruttuoso dell’esecuzione.
L’eccezione dev’essere disattesa.
Il ricorrente censura in maniera specifica e intelligibile la ratio decidendi su cui s’incardina la pronuncia impugnata: il compimento della prescrizione annuale.
Nello scrutinio devoluto a questa Corte, è essenziale l’esame del momento a partire dal quale il diritto può essere fatto valere, secondo l’ordinaria diligenza. Su tale momento indugia anche la disamina dei giudici d’appello, che il ricorrente censura sul versante della violazione di legge, senza sollevare questioni nuove, estranee al tema del decidere.
3.- Il motivo può essere dunque esaminato nel merito e si rivela infondato.
4.- Il Fondo di garanzia paga i «crediti di lavoro, diversi da quelli spettanti a titolo di trattamento di fine rapporto, inerenti gli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro rientranti nei dodici mesi che precedono» la data di inizio dell’esecuzione forzata (art. 2, comma 1, lettera b, del d.lgs. n. 80 del 1992).
L’art. 2, comma 5, primo periodo, del d.lgs. n. 80 del 1992 stabilisce che il diritto alla prestazione del Fondo si prescrive in un anno.
5.- Oggetto del contendere è proprio il compimento della prescrizione annuale.
Secondo i principi generali (art. 2935 cod. civ.), la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere.
A tal fine, occorre ponderare le peculiarità del diritto del lavoratore di ottenere dall’INPS, in caso d’insolvenza del datore di lavoro, la corresponsione delle ultime tre retribuzioni.
Si tratta di un diritto di credito a una prestazione previdenziale, distinto e autonomo rispetto al credito vantato nei confronti del datore di lavoro.
Il diritto in esame non si perfeziona con la cessazione del rapporto di lavoro, ma al verificarsi dei presupposti previsti dalla legge, che li individua nell’insolvenza del datore di lavoro, nella verifica dell’esistenza e della misura del credito in sede di ammissione al passivo o all’esito di procedura esecutiva’.
Ne consegue che, prima del verificarsi di tali presupposti, nessuna domanda di pagamento può essere rivolta all’INPS e, pertanto, non può decorrere la prescrizione del diritto del lavoratore nei confronti del Fondo di garanzia (Cass., sez. lav., 24 febbraio 2006, n. 4183, con riguardo alle ultime tre retribuzioni; negli stessi termini, Cass., sez. lav., 28 luglio 2011, n. 16617, e 17 dicembre 2005, n. 27917, con riguardo al pagamento del TFR a carico del Fondo di garanzia).
La prescrizione decorre, dunque, dal momento in cui si perfeziona in tutti i suoi elementi costitutivi la fattispecie descritta, che condiziona la proponibilità della domanda all’INPS (Cass., sez. lav., 3 gennaio 2020, n. 32, punto 11).
6.- Quando il datore di lavoro «sia assoggettato alle procedure di fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa ovvero alla procedura dell’amministrazione straordinaria», il diritto può esser fatto valere e il pagamento può essere dunque richiesto al Fondo di garanzia «[t]rascorsi quindici giorni dal deposito dello stato passivo, reso esecutivo ai sensi dell’articolo 97 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, ovvero dopo la pubblicazione della sentenza di cui all’articolo 99 dello stesso decreto, per il caso siano state proposte opposizioni o impugnazioni riguardanti il suo credito, ovvero dalla pubblicazione della sentenza di omologazione del concordato preventivo» (art. 2, comma 2, della legge n. 297 del 1982, richiamato dall’art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 80 del 1992).
Quando, come avviene nel caso di specie, il datore di lavoro non sia assoggettabile alle procedure di fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa ovvero alla procedura dell’amministrazione straordinaria, il lavoratore può azionare il suo diritto e chiedere al Fondo di garanzia il pagamento dei crediti di lavoro insoddisfatti, «sempreché, a seguito dell’esperimento dell’esecuzione forzata per la realizzazione di tali crediti, le garanzie patrimoniali siano risultate in tutto o in parte insufficienti» (art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 80 del 1992 e, negli stessi termini, art. 2, comma 5, primo periodo, della legge n. 297 del 1982, richiamato dall’art. 2, comma 3, del d.lgs. n. 80 del 1992).
7.- In tale ultima fattispecie, il termine annuale di prescrizione decorre, dunque, dal momento in cui le garanzie patrimoniali risultino in tutto o in parte insufficienti e il lavoratore possa formulare una domanda, adeguatamente suffragata dalla prova dell’insufficienza delle garanzie.
8.— Il vocabolo “risultare”, che figura nel testo di legge, denota la necessità che il dato dell’insufficienza sia palese, e dunque “risulti”, a un creditore che si adoperi con l’ordinaria diligenza per prenderne cognizione.
Già sul versante letterale, non viene in rilievo il dato della mera redazione del processo verbale da un angolo visuale meramente astratto, ma il momento in cui il creditore sia edotto delle emergenze di tale processo verbale: il verbo “risultare” evoca l’acquisizione di conoscenza, nella prospettiva concreta del creditore che intraprenda una determinata procedura esecutiva, avvalendosi degli strumenti che l’ordinamento gli accorda.
Tale interpretazione, nel valorizzare una nozione di “ordinaria diligenza”, peraltro comunemente recepita nella disciplina della prescrizione (fra le molte, Cass., S.U., 11 gennaio 2008, n. 576), non annette rilievo a un ostacolo di mero fatto nell’esercizio del diritto. Il risultare dell’insufficienza delle garanzie non è un imponderabile dato di fatto, ma assurge a elemento costitutivo della fattispecie in esame, così come è delineata dalla legge.
Né in tal modo si vanificano le esigenze di certezza, insite nella scelta normativa di fissare un termine di prescrizione. La possibilità di far valere il diritto, cui l’art. 2935 cod. civ. riconnette il decorso della prescrizione, è ancorata a parametri oggettivi e presuppone la conoscibilità dei fatti rilevanti ai fini del dies a quo del relativo termine, in armonia con l’effettività della tutela giurisdizionale, presidiata dalla Carta fondamentale (art. 24 Cost.) e perciò non meno rilevante rispetto alle esigenze di certezza dei rapporti giuridici enfatizzate nel motivo di ricorso.
A tale riguardo, si deve tener conto non solo della brevità dl termine di prescrizione, richiamata dai giudici d’appello, ma anche del primario rango costituzionale degl’interessi coinvolti. La disciplina della legge n. 297 del 1982 e del d.lgs. n. 80 del 1992 è preordinata a rendere più incisiva la tutela del lavoratore (artt. 4 e 35 Cost.), con peculiare riguardo alla retribuzione, imprescindibile per assicurargli un’esistenza libera e dignitosa (art. 36 Cost.).
9.- Il canone dell’ordinaria diligenza è immanente a tutta la disciplina che presiede alle azioni del lavoratore a tutela dei propri crediti, nell’ipotesi d’insolvenza del datore di lavoro.
Quanto al diritto alle ultime tre mensilità di retribuzione, questa Corte ha affermato, anche di recente, che «L’intervento del Fondo di garanzia istituito presso l’INPS per la realizzazione dei crediti di lavoro nei confronti del datore di lavoro inadempiente, che non sia assoggettabile alle procedure concorsuali, risponde ad un’esigenza di socializzazione del rischio da inadempimento e da insolvenza, che pone a carico dell’ente previdenziale, cui spetta il diritto di surroga, i rischi connessi alla procedura di recupero del credito, essendo subordinato all’assolvimento, da parte del lavoratore, dell’onere di agire in executivis nei confronti del datore di lavoro secondo un criterio conformato, nei tempi e nei modi, alla misura dell’ordinaria diligenza nell’esercizio dell’azione esecutiva individuale» (di recente, Cass., sez. VI-L, 24 ottobre 2022, n. 31405, punto 3.1.).
La nozione di ordinaria diligenza riveste dunque rilievo cruciale, come questa Corte ha chiarito nell’analizzare il connesso profilo dei tempi appropriati per intentare una procedura esecutiva nei confronti del datore di lavoro.
Fondamentale parametro di giudizio, in tale materia, è il «più generale dovere di diligenza», che grava sul lavoratore e si deve conformare «alla misura dell’ordinaria diligenza nell’esercizio dell’azione esecutiva individuale». In tale vaglio, occorre tener conto anche dell’economicità dell’attività diretta alla soddisfazione del credito (Cass., sez. VI-L, 7 luglio 2020, n. 14020).
10.- Fulcro della tesi del ricorrente è che il lavoratore, con l’ordinaria diligenza, avrebbe potuto partecipare alle operazioni di pignoramento, nell’esercizio della facoltà attribuita dall’art. 165 disp. att. cod. proc. civ., e così conoscere in anticipo l’insufficienza delle garanzie patrimoniali.
Tale prospettazione, nel censurare i parametri normativi cui si deve conformare la valutazione della diligenza doverosa, non coglie nel segno, per molteplici ragioni.
10.1.- Meritano di essere condivise, a tale riguardo, le conclusioni motivate del Pubblico Ministero, che inquadra la presenza del creditore nella fase del tentativo dell’esecuzione forzata come «una mera facoltà di natura partecipativa» ed esclude che da tale facoltà scaturiscano, per un verso, «oneri di condotta in capo al creditore» e, per altro verso, effetti pregiudizievoli quando si scelga di non partecipare.
10.2.- È ben vero che l’art. 165, primo comma, disp. att. cod. proc. civ. consente al creditore, all’atto della richiesta di pignoramento, di dichiarare che intende partecipare, personalmente alle operazioni. Alle operazioni di pignoramento il creditore può partecipare «a sue spese», giovandosi dell’assistenza di un difensore e di un esperto o di uno di essi (terzo comma).
La partecipazione alle operazioni di pignoramento, tuttavia, implica per il lavoratore un ulteriore dispendio di denaro e si pone così in antitesi con quel canone di economicità che impronta di sé la diligenza che dev’essere profusa in questo particolare ambito (ordinanza n. 14020 del 2020, cit.).
Come questa Corte ha evidenziato, «l’inutile esperimento dell’esecuzione forzata individuale rappresenta già, di per sé, una condizione di aggravamento della tutela concessa al lavoratore dipendente da un datore non assoggettato a procedura concorsuale […] rispetto al lavoratore creditore di un datore di lavoro assoggettato a procedura concorsuale», legittimato ad accedere al Fondo di garanzia «decorsi 15 giorni dall’accertamento del credito (dal deposito dello stato passivo) senza essere tenuto a rapportarsi con la misura del riparto in sede concorsuale (e quindi anche se in ipotesi questo risultasse capiente)» (ordinanza n. 14020 del 2020, cit., punto 15).
Non si ravvisano ragioni per far gravare sul lavoratore oneri ulteriori, con una più grave sperequazione a suo danno rispetto al lavoratore dipendente da un imprenditore fallibile.
Inoltre, la partecipazione del lavoratore, per essere fruttuosa, dovrebbe assumere le sembianze di una partecipazione qualificata, supportata dall’assistenza del difensore e dell’esperto, con ulteriore aggravio di costi.
10.3.- Si deve poi considerare che l’inizio delle operazioni peritali, cui le difese della parte ricorrente conferiscono risalto, non è neppure un momento di per sé determinante.
Le operazioni di pignoramento non si esauriscono necessariamente uno actu, con il primo tentativo di accesso dell’ufficiale giudiziario, e danno luogo a una fattispecie a formazione progressiva, che si dipana attraverso svariati incombenti.
In base all’art. 492, quarto comma, cod. proc. civ., applicabile anche alla procedura esecutiva di cui si discute, l’ufficiale giudiziario può invitare il debitore a indicare ulteriori beni utilmente pignorabili, avvertendolo delle sanzioni comminate dall’art. 388 cod. pen. per l’omessa o falsa dichiarazione.
Può essere necessaria la nomina di un esperto stimatore per valutare i mobili da pignorare.
10.4.- Anche ad ammettere che il lavoratore profonda il massimo impegno e partecipi con costanza alle operazioni di pignoramento, quel che rileva è comunque la consegna del processo verbale.
Alla consegna del processo verbale annette rilievo anche la disciplina dell’art. 518, sesto comma, cod. proc. civ., nelle sue diverse formulazioni, che, pur dettando tempi diversi per tale incombente, ne confermano il ruolo basilare anche per gli adempimenti successivi.
10.5.- È il processo verbale che attesta l’insufficienza delle garanzie patrimoniali ed è solo dal momento della consegna del processo verbale che l’insufficienza risulta per il lavoratore in modo inequivocabile, consentendogli dunque di far valere il diritto verso il Fondo di garanzia e di proporre una domanda debitamente supportata. Al fine di ottenere la consegna del verbale, il lavoratore deve adoperarsi con l’ordinaria diligenza.
11.- La Corte d’appello, in coerenza con i principi enunciati, ha individuato nel ritiro del verbale di pignoramento mobiliare negativo il momento in cui il creditore, con una condotta improntata all’ordinaria diligenza, ha conosciuto l’insufficienza delle garanzie patrimoniali, necessaria per accedere all’intervento del Fondo di garanzia. Tale conoscenza è stata acquisita in tempi ragionevolmente ravvicinati, che non consentono di formulare a carico del creditore alcun addebito di negligenza.
12.- Tale valutazione, sorretta dall’apprezzamento di tutte le circostanze rilevanti, non è infirmata da doglianze che investano il profilo dell’accertamento di fatto e resiste alle critiche che, esclusivamente sotto il profilo della violazione di legge, ha formulato l’Istituto con il primo mezzo.
13.- Il motivo dev’essere, pertanto, rigettato, in applicazione del seguente principio di diritto: «Il diritto del lavoratore di ottenere dall’INPS, quale gestore del Fondo di garanzia, il pagamento dei crediti di lavoro, diversi da quelli spettanti a titolo di trattamento di fine rapporto, relativi agli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro, si prescrive nel termine di un anno. Nel caso di datore di lavoro non assoggettabile alle procedure di fallimento, concordato preventivo, liquidazione coatta amministrativa ovvero alla procedura dell’amministrazione straordinaria, la prescrizione annuale decorre dal momento in cui il lavoratore, in seguito all’esperimento dell’esecuzione forzata, ha avuto cognizione o avrebbe dovuto avere cognizione dell’insufficienza totale o parziale delle garanzie patrimoniali, adoperandosi con una condotta improntata all’ordinaria diligenza per ottenere, ai sensi dell’art. 518 cod. proc. civ. la consegna del processo verbale di pignoramento redatto dall’ufficiale giudiziario».
14.- Si deve dunque esaminare la seconda censura, che il ricorrente formula in via gradata, nell’ipotesi di rigetto del primo mezzo.
15.- La doglianza è inammissibile.
15.1.- L’art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 80 del 1992 dispone che il pagamento effettuato dal Fondo non possa essere superiore «ad una somma pari a tre volte la misura massima del trattamento straordinario di integrazione salariale mensile al netto delle trattenute previdenziali e assistenziali».
Il ricorrente lamenta che la pronuncia impugnata condanni al pagamento di un importo superiore al massimale di legge. È irrilevante che l’INPS, nei gradi di merito, non abbia formulato contestazioni di sorta sul superamento del massimale e sono persuasive, a tale riguardo, le considerazioni svolte dalla parte ricorrente nella memoria illustrativa (pagina 7): nessun “giudicato interno” si è formato sul tema della conformità dell’importo richiesto al massimale, profilo rilevabile d’ufficio che comunque non altera il tema del decidere devoluto a questa Corte.
15.2.- La doglianza è inammissibile per un’altra, dirimente, ragione, che attiene alla sua genericità, anch’essa segnalata dalla difesa del controricorrente.
Il vizio della sentenza previsto dall’art. 360, n. 3, cod. proc. civ. dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo (art. 366, n. 4, cod. proc. civ.), non solo con l’indicazione delle norme che si reputano violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni, intelligibili ed esaurienti, volte a dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata si pongano in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità.
L’ammissibilità della censura postula dunque una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia e specifiche e puntuali contestazioni, che non si sostanzino nella mera contrapposizione alle soluzioni desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata.
S’impedirebbe altrimenti a questa Corte di adempiere il suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione e le si demanderebbe l’individuazione della norma violata o dei punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa, con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni (fra le molte, Cass., sez. I, 1° febbraio 2022, n. 3059).
15.3.- La sentenza della Corte d’appello fiorentina condanna l’INPS a un importo di Euro 6.259,00, che, nel dispositivo, è individuato come «somma lorda».
Le doglianze dell’INPS, nel denunciare la violazione dell’art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 80 del 1992 e nel richiamare un coacervo di altre disposizioni, menzionano un massimale calcolato al netto delle trattenute previdenziali e assistenziali (pagina 12 del ricorso).
Il ricorrente pone dunque a raffronto grandezze eterogenee: l’importo lordo, computato dalla sentenza d’appello, e quello netto, che individua come massimale invalicabile.
Il motivo non offre ragguagli di sorta sull’ammontare che, in concreto, alla luce della normativa applicabile alla fattispecie controversa, raggiungono le trattenute previdenziali e assistenziali inglobate dalla Corte di merito nel quantum complessivo.
Tale carenza argomentativa preclude a questa Corte la verifica sulla dedotta violazione di legge.
16.- Il ricorso, in conclusione, dev’essere rigettato.
17.- Il ricorrente dev’essere condannato al pagamento delle spese (art. 385, primo comma, cod. proc. civ.), che si liquidano nella misura indicata in dispositivo.
18.- A norma dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228), il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si deve dare atto con la presente sentenza (Cass., S.U., 27 novembre 2015, n. 24245), per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per l’impugnazione, ove sia dovuto (Cass., S.U., 20 febbraio 2020, n. 4315).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente a rifondere alla parte controricorrente le spese del presente giudizio, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi, in Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso delle spese generali e agli accessori di legge.
Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dell’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, ove dovuto.