Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 24 gennaio 2023, n. 2117

Lavoro, Incorporazione di società, Aspettativa non retribuita, Licenziamento per giustificato motivo oggettivo, Licenziamento ritorsivo, Comunicazione alla Direzione territoriale del lavoro, Procedura di conciliazione ex art. 7 della Legge n. 604/1966, Onere della prova del carattere ritorsivo del licenziamento sul lavoratore, Accoglimento 

 

Fatti di causa

 

1. M.B. – assunto dal 1998 alle dipendenze della Casa di Cura D. dott. F. come coordinatore tecnico addetto al reparto di radiologia e retribuito con il trattamento economico previsto dal c.c.n.l. di settore per il VII livello e con un superminimo di £1.000.000 oltre al 2% del fatturato di servizio TAC e RMN – successivamente all’incorporazione nel 2008 della società da parte della G.C. & R. proprietaria della Città di Lecce H. s.r.I., nel marzo del 2009, in considerazione della difficile situazione societaria e nella prospettiva di una crescita professionale all’interno della società, rinunciò al compenso aggiuntivo del 2% per il 2008 e fino al 31.3.2009. Collocato in aspettativa non retribuita per sei mesi e poi in CIGS riprese la sua attività a gennaio del 2010 senza che gli venisse ripristinato il compenso del 2% e quindi, dal settembre 2015, venne soppressa anche l’erogazione del superminimo ad personam concordato.

Inoltre, dal maggio 2015 il lavoratore aveva rinunciato allo svolgimento delle funzioni di coordinatore tecnico.

2. Il lavoratore, perciò, adì il Tribunale di Taranto il 1° aprile 2016 per ottenere il pagamento delle somme dovute dal 2010 al 2015 a titolo di compenso provvigionale.

3. Con raccomandata del 4 maggio successivo era convocato davanti alla Direzione Territoriale del Lavoro di Taranto ai sensi dell’art. 7 della legge n. 604/1966 per una conciliazione in relazione ad un preannunciato licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

4. La conciliazione non andava a buon fine ed in data 31 maggio 2016 il Basile riceveva la lettera di licenziamento che impugnava davanti al Tribunale di Taranto assumendone la ritorsività e comunque l’ingiustificatezza.

5. Il Tribunale in sede sommaria ed all’esito dell’opposizione escluse il carattere ritorsivo del licenziamento e ritenne sussistente il giustificato motivo oggettivo posto a suo fondamento.

6. La Corte di appello, al contrario, ha accolto il reclamo ed ha ritenuto che il licenziamento dovesse invece qualificarsi come ritorsivo in quanto surrettiziamente giustificato da difficoltà economiche che non erano state dimostrate. Il giudice del reclamo ha sottolineato che in sede di conciliazione il lavoratore era libero di regolare i suoi interessi patrimoniali nel modo ritenuto più opportuno sino a rischiare il posto di lavoro pur di non accondiscendere a soluzioni non pienamente soddisfacenti. Ha rammentato che la parentesi conciliativa non consente di ritenere che perciò solo il lavoratore fosse consapevole delle difficoltà dell’azienda né che tale supposta conoscenza fosse essa stessa prova dell’esistenza delle difficoltà. Ha ritenuto che il licenziamento costituisse la reazione non al rifiuto di definire il contenzioso pendente quanto, piuttosto, alla stessa iniziativa giudiziaria del lavoratore. Pertanto, la Corte territoriale ha dichiarato nullo il licenziamento ed ordinato la reintegrazione del lavoratore e la condanna della società al risarcimento del danno che ha quantificato nelle retribuzioni dal licenziamento all’offerta di reintegrazione dedotto l’aliunde perceptum.

7. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la Città di Lecce H. G.C. & R. s.r.l. affidato a due motivi. M.B. ha resistito con controricorso ed il Procuratore Generale ha concluso, ai sensi dell’art. 23 comma 8 bis del d.l. 28 ottobre 2020 n. 137 inserito nella legge di conversione 18 dicembre 2020 n. 176, per il rigetto del ricorso. La ricorrente ha depositato memorie illustrative ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

 

Ragioni della decisione

 

8. Con il primo motivo di ricorso è denunciato in relazione all’art. 360 primo comma n. 5 c.p.c. l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. In relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c. la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 18 commi 1 e 2 della legge n. 300 del 1970 come modificato dalla legge n. 92 del 2012 e degli artt. 1345 e 2697 c.c..

8.1. Deduce la ricorrente che il giudice di appello avrebbe erroneamente valorizzato, per ritenere ritorsivo il licenziamento, i tempi di avvio della procedura ex art. 7 della legge n. 604 del 1966 e quelli di promozione dell’azione giudiziaria da parte del lavoratore per il pagamento dei compensi provvigionali dal 2010 al 2015 senza considerare invece che, come era stato rappresentato in giudizio, tale conoscenza non era reale.

Il ricorso del lavoratore, infatti, era stato notificato alla datrice di lavoro quando la procedura di conciliazione finalizzata ad evitare il preannunciato licenziamento era già iniziata.

8.2. Sostiene che pertanto, una volta esclusa la conoscenza dell’iniziativa giudiziaria non vi sarebbero altri elementi per ritenere dimostrata la natura ritorsiva del licenziamento, fermo restando che era onere del ricorrente che io invocava dimostrarla. Conseguentemente alla fattispecie non sarebbe comunque applicabile la tutela prevista dai primi due commi dell’art. 18 dello Statuto ma in ipotesi solo quella più attenuata o risarcitoria prevista dai successivi commi 7 e 5 della stessa norma.

9. Con il secondo motivo di ricorso è censurata la sentenza per avere violato e falsa- mente applicato l’art. 18 commi 4, 5 e 7 della legge n. 300 del 1970 come modificato dalla legge n. 92 del 2012. Deduce, in via principale, che il licenziamento quand’anche fosse ritorsivo sarebbe comunque legittimo se sorretto da adeguati motivi oggettivi. Inoltre, in via gradata, osserva che la Corte avrebbe trascurato di verificare, ai fini della tutela applicabile, se fosse manifestamente insussistente il fatto giustificativo del recesso ovvero se più semplicemente ne mancassero i presupposti.

10. Il primo motivo di ricorso è fondato e deve essere accolto.

10.1. Ritiene il Collegio che nel valutare la natura ritorsiva del licenziamento non si possa trascurare di considerare che al licenziamento per giustificato motivo oggettivo, qual è quello intimato all’odierno ricorrente, trova applicazione l’art. 7 della legge n. 604 del 1966, nel testo modificato dalla legge n. 92 del 2012 e ratione temporis vigente, in base al quale il datore di lavoro che abbia i requisiti dimensionali di cui all’art.18 della legge n. 300 del 1970 e ss.mm., per procedere al licenziamento per giustificato motivo oggettivo di un suo dipendente è tenuto, quale primo atto del procedimento che potrà poi culminare con il licenziamento, a comunicare alla Direzione territoriale del lavoro del luogo dove il lavoratore presta la sua opera, trasmettendone copia per conoscenza anche al lavoratore, la sua intenzione di procedere al licenziamento per motivo oggettivo indicando i motivi del licenziamento medesimo nonché le eventuali misure di assistenza alla ricollocazione del lavoratore interessato (cfr. art. 7 commi 1 e 2 della legge n. 604 del 1966). Per effetto di tale comunicazione la Direzione territoriale del lavoro procederà alla convocazione delle parti davanti alla commissione provinciale di conciliazione di cui all’art. 410 c.p.c. per l’esperimento della procedura di conciliazione obbligatoria. A norma dell’art. 41 della legge n. 92 del 2012, quindi, il licenziamento che venga poi intimato per giustificato motivo oggettivo, fatto salvo il diritto al preavviso o alla relativa indennità sostitutiva, produrrà effetto “dal giorno della comunicazione con cui il procedimento medesimo è stato avviato”.

10.2. Il procedimento per l’intimazione del licenziamento per giustificato motivo oggettivo inizia perciò con quella manifestazione di volontà, già delineata nei suoi contorni, che è oggetto della comunicazione che deve essere inoltrata alla Commissione territoriale per attivare la preventiva Procedura di conciliazione ed è a quel momento che deve in primo luogo aversi riferimento per valutare se la scelta datoriale sia improntata o meno ad un intento ritorsivo.

10.3. Nel caso in esame la Corte territoriale ha invece trascurato di esaminare il contenuto ed i tempi della comunicazione di avvio della procedura di conciliazione ex art. 7 della legge n. 604 del 1966, documentata dalla società datrice nel costituirsi nel giudizio di primo grado (doc. 10 della memoria di primo grado come viene specificatamente ricordato nel ricorso per cassazione a pag. 15). Si tratta, all’evidenza, di circostanza di fatto che può essere decisiva nello stabilire se sussista o meno un nesso di conseguenzialità tra la scelta datoriale di procedere al licenziamento – manifestata in prima istanza proprio in quella comunicazione e perfezionatasi con il licenziamento intimato per effetto della mancata conciliazione stragiudiziale – e la successiva ed in parte parallela azione giudiziaria intrapresa dal lavoratore per conseguire e provvigioni che questi assumeva gli spettassero.

10.4. A tal proposito va ribadito in primo luogo che nel caso in cui si alleghi la nullità del licenziamento perché ritorsivo non solo il motivo illecito addotto ex art. 1345 c.c. deve essere determinante, cioè costituire l’unica effettiva ragione di recesso, ed esclusivo ma inoltre il motivo lecito, formalmente addotto, deve essere previamente verificato e risultare insussistente (cfr. Cass. n. 9468 del 04/04/2019). È onere del lavoratore provare il carattere ritorsivo del licenziamento mentre graverà sul datore di lavoro la dimostrazione dell’esistenza del giustificato motivo oggettivo. Nel suo accertamento il giudice potrà poi valorizzare tutto il complesso degli elementi acquisiti al giudizio, compresi quelli già considerati per escludere il giustificato motivo oggettivo, nel caso in cui questi elementi, da soli o nel concorso con altri, nella loro valutazione unitaria e globale consentano di ritenere raggiunta, anche in via presuntiva, la prova del carattere ritorsivo del recesso (cfr. Cass. n. 23583 del 23/09/2019).

10.5. Da quanto esposto segue che in accoglimento del primo motivo la sentenza deve essere cassata e rinviata alla Corte di merito che procederà ad un nuovo esame della controversia tenendo conto del dato fattuale emergente dalla comunicazione ricordata e della sua incidenza sulla scelta ritorsiva o meno del datore di lavoro verificando, comunque, l’effettività delle ragioni poste a fondamento del recesso nel rispetto dei reciproci oneri probatori.

11. Il secondo motivo di ricorso – per quanto ancora può rilevare essendo il suo esame in parte assorbito dall’accoglimento del primo motivo – è infondato nella parte in cui si duole della mancata verifica, da parte del giudice di merito nell’individuare la tutela applicabile, della manifesta insussistenza del fatto giustificativo del licenziamento. Con la sentenza n. 125 del 19 maggio 2022, infatti, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 18, settimo comma, secondo periodo, della legge n. 300 del 1970, come modificato dall’art. 1, comma 42, lettera b), della legge n. 92 del 2012, limitatamente alla parola «manifesta» che ha espunto dal testo della norma. Tale accertamento non è pertanto più necessario.

12. in conclusione, il ricorso deve essere accolto nei termini esposti mentre il secondo motivo va rigettato nei limiti di cui in motivazione. La sentenza cassata deve essere rinviala alla Corte di appello di Lecce, in diversa composizione che procederà ad un nuovo esame della controversia in applicazione crei principi esposti e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo di ricorso. Rigetta il secondo nei limiti di cui in motivazione. Cassa la sentenza in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Lecce, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

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