I crediti da lavoro diversi dal T.F.R. sono garantiti entro i 12 mesi dal tentativo di conciliazione.
Nota a Cass. 18 novembre 2022, n. 34031
Fabrizio Girolami
La richiesta di tentativo obbligatorio di conciliazione ex artt. 410-412-bis c.p.c. (alla quale sia seguito il giudizio che ha condotto alla formazione di un titolo infruttuosamente eseguito dal lavoratore) va considerato quale dies a quo nel calcolo a ritroso del periodo di 12 mesi al cui interno devono collocarsi le retribuzioni non corrisposte rilevanti per consentire l’intervento del Fondo di garanzia INPS (di cui alla L. n. 297/1982), ai sensi di quanto disposto dall’art. 2, co. 1, D.Lgs. n. 80/1992.
Tale importante principio di diritto è stato affermato dalla Corte di Cassazione con sentenza 18 novembre 2022, n. 34031, con un intervento nomofilattico a precisazione del precedente orientamento in materia (cfr. Cass. n. 16249/2020; Cass. n. 38521/2021; Cass. n. 41248/2021; Cass. n. 4041/2022).
Nel caso di specie, un dipendente, a seguito della cessazione del rapporto di lavoro (31.07.2002), aveva attivato il tentativo di conciliazione ex art. 410 c.p.c. in data 23.06.2003 (con esito negativo per mancata comparizione del datore di lavoro). Successivamente, con ricorso del 7.10.2003 il lavoratore aveva adito l’autorità giudiziaria al fine di ottenere il pagamento dell’ultima mensilità di retribuzione (luglio 2002). Essendo rimasta infruttuosa l’esecuzione forzata della sentenza di condanna del datore, il lavoratore aveva citato in giudizio l’INPS, nella qualità di soggetto gestore del Fondo di garanzia, per ottenere il versamento di differenze sul T.F.R. e altri crediti da lavoro diversi dal T.F.R.
In via amministrativa, l’INPS aveva accolto la domanda limitatamente al T.F.R., ritenendo che il restante credito non fosse coperto dalla garanzia del Fondo in quanto non rientrava nei 12 mesi precedenti i termini indicati dall’art. 2, co. 1, D.Lgs. n. 80/1992. In particolare, il dies a quo a ritroso non poteva individuarsi nella data in cui era stato promosso il tentativo di conciliazione, data la natura “precontenziosa” e “non giurisdizionale” dello stesso.
Il lavoratore, a seguito del rigetto della domanda proposta all’INPS, aveva instaurato un giudizio di merito, all’esito del quale la Corte d’Appello di Brescia – confermando la sentenza di primo grado – aveva ritenuto che non potesse essere presa in considerazione la data di deposito dell’istanza del tentativo di conciliazione “in quanto il termine dei 12 mesi delimita l’ambito di operatività della garanzia e non è, quindi, soggetto alle regole della prescrizione e della sua interruzione”.
Nel giudizio di legittimità, la Cassazione ha accolto il ricorso del lavoratore (cassando la sentenza impugnata con rinvio), ritenendo che:
- l’art. 2, co. 1, D.Lgs. n. 80/1992 prevede che il Fondo di garanzia si sostituisce al datore di lavoro insolvente nel pagamento dei crediti di lavoro, diversi da quelli spettanti a titolo di T.F.R., inerenti gli ultimi 3 mesi dei rapporto di lavoro rientranti nei 12 mesi che precedono la data: a) del provvedimento che determina l’apertura della procedura fallimentare, del concordato preventivo, della liquidazione coatta o dell’amministrazione straordinaria; b) di inizio dell’esecuzione forzata; c) del provvedimento di messa in liquidazione o cessazione dell’esercizio provvisorio o dell’autorizzazione alla continuazione dell’esercizio di impresa per i lavoratori che hanno continuato a prestare attività lavorativa, ovvero la data di cessazione del rapporto di lavoro, se questa è intervenuta durante la continuazione dell’attività dell’impresa;
- costituisce onere del lavoratore – che intende richiedere l’intervento del Fondo di garanzia – procurarsi un titolo esecutivo e promuovere la conseguente azione esecutiva nei confronti del datore di lavoro insolvente, in quanto “da un punto di vista sistematico, l’accertamento giurisdizionale ovvero la sua consacrazione in un titolo esecutivo conseguito nei confronti del datore di lavoro rappresentano la modalità necessaria per l’individuazione della misura stessa dell’intervento solidaristico del Fondo di garanzia, essendo l’ente previdenziale terzo rispetto al rapporto di lavoro inter partes ed essendo nondimeno la sua obbligazione modulata sui crediti maturati in costanza di rapporto di lavoro”;
- nel caso oggetto del giudizio, l’iniziativa del lavoratore ha “condotto alla consacrazione di un titolo esecutivo ed alla consequenziale procedura, rimasta infruttuosa”. Pertanto, tale iniziativa “va apprezzata nel suo completo dispiegarsi, attribuendo rilevanza innanzi tutto al primo degli atti necessari al conseguimento del detto titolo esecutivo” e, dunque, al tentativo obbligatorio di conciliazione di cui all’art. 410 c.p.c., che, ai sensi dell’art. 412-bis c.p.c. vigente all’epoca dei fatti di causa “costituiva condizione di procedibilità rispetto al giudizio di accertamento del credito e di condanna del datore di lavoro”;
- ne consegue, dunque, che la richiesta di tentativo obbligatorio di conciliazione, alla quale sia seguito il giudizio che ha condotto al formarsi di un titolo infruttuosamente eseguito dal lavoratore, va considerato quale dies a quo nel calcolo a ritroso del periodo di 12 mesi al cui interno devono collocarsi le retribuzioni non corrisposte rilevanti per consentire l’intervento del Fondo di garanzia.
Alla luce del rilevante principio di diritto della Cassazione è dunque possibile includere tra le ultime tre mensilità della retribuzione, indennizzabili dal Fondo di garanzia INPS, quelle dell’anno antecedente alla richiesta con cui il lavoratore ha attivato, nei confronti del datore inadempiente, il tentativo obbligatorio di conciliazione, prima dell’instaurazione del relativo giudizio.