Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 25 gennaio 2023, n. 2232

Lavoro, TFR, Fondo di Garanzia INPS, Rivalutazione monetaria e interessi computati a far data dalla cessazione del rapporto di lavoro, Obbligazione di natura previdenziale e non retributiva a carico del Fondo, Rigetto

 

Fatti di causa

 

1. La Corte d’Appello di Napoli ha confermato la sentenza di primo grado con la quale era stata accolta la domanda volta ad ottenere il TFR dal Fondo di garanzia gestito dall’INPS, e riconosciuti solo gli interessi legali dal 121° giorno dalla domanda amministrativa, esclusa la rivalutazione monetaria del credito (ex art. 16, sesto comma, legge n.412 del 1991).

2. Avverso la sentenza della Corte d’Appello di Napoli ricorre A.E., con ricorso affidato a un motivo, ulteriormente illustrato con memoria.

3. L’INPS ha conferito solo delega in calce alla copia notificata del ricorso.

 

Ragioni della decisione

 

4. Con unico motivo la parte ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 2 co. 2 L. 297/82 in relazione all’art. 429 co. 3 cod.proc.civ., per avere la Corte di merito negato il diritto a percepire la rivalutazione monetaria e gli interessi computati a far data dalla cessazione del rapporto di lavoro (19.10.2001), pur non avendo l’appellante avversato la qualificazione del credito, come credito previdenziale, sul presupposto che essa in nulla confliggesse con il diritto a percepire i relativi crediti accessori, oltre al TFR, in virtù di un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2 L. 297/82 e dell’art. 429 cod.proc.civ. a mente dei quali è previsto, a carico del Fondo, il pagamento del TFR e dei relativi accessori, impregiudicata la collocazione formale delle attività del Fondo tra quelle ritenute previdenziali e la previsione di un identico iter procedurale per l’istruzione e la trattazione delle domande di competenza dell’INPS.

5. Il ricorrente richiama Cass. nn.12971/14 e 8265/10 per sottolineare che il quantum dell’obbligazione pecuniaria dovrebbe essere calcolato con riferimento al credito da lavoro nel suo ammontare complessivo, alla stregua di un’interpretazione funzionale a garantire la tutela effettiva del lavoratore, ratio legis della protezione assicurata dalla normativa, altrimenti non garantita.

6. Si chiede, in definitiva, che la rivalutazione monetaria e gli interessi legali vengano computati, anno per anno, sulla somma rivalutata, dalla cessazione del rapporto all’effettivo soddisfo.

7. Il ricorso è da rigettare.

8. Questa Corte ha ormai consolidato il principio di diritto secondo cui il diritto del lavoratore di ottenere dall’INPS, in caso di insolvenza del datore di lavoro, la corresponsione di emolumenti retributivi inerenti agli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro e il TFR, ha natura di diritto di credito ad una prestazione previdenziale soggetto a prescrizione annuale, ed è perciò distinto ed autonomo rispetto al credito vantato nei confronti del datore di lavoro, restando pertanto esclusa la fattispecie dell’obbligazione solidale (così, tra le più recenti, Cass. nn. 16852 del 2020 e 23533 del 2021).

9. Il diverso principio di diritto enunciato da Cass. Sez.Un. n. 14220 del 2002, secondo cui il credito relativo al TFR e agli altri emolumenti retributivi dovuti negli ultimi tre mesi del rapporto non muterebbe la propria natura retributiva quando venga fatto valere nei confronti del Fondo di garanzia, risulta disatteso fin da Cass. n. 27917 del 2005, cui sono seguite numerose successive conformi (tra le quali Cass. nn. 16617 del 2011, 12971 del 2014 e 20547 del 2015) che hanno via via consolidato il diverso principio sopra ricordato, recentemente ribadito da Cass. nn. 16852 del 2020 e 23533 del 2021, cit., ormai assurto al rango di diritto vivente (nell’accezione fatta propria, da ult., da Cass. Sez.Un. n. 4135 del 2019, ossia di stabile approdo interpretativo del giudice di legittimità).

10. Una soggezione al dictum dell’anzidetta pronuncia delle Sezioni Unite non è configurabile nemmeno in relazione all’art. 374, comma 3, cod.proc.civ., secondo cui ove la sezione semplice ritenga di non condividere il principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite, deve rimettere a queste ultime, con ordinanza motivata, la decisione della causa, atteso che tale ultima previsione è stata introdotta ad opera del d.lgs. n. 40 del 2006, art. 8 entrato in vigore il 2 marzo 2006, e deve logicamente riferirsi alle pronunce a Sezioni Unite per le quali valga la prescrizione dell’art. 384, comma 1, cod.proc.civ. per come a sua volta novellato dal d.lgs. n. 40 del 2006, art. 12 secondo cui «la Corte enuncia il principio di diritto quando decide il ricorso proposto a norma dell’art. 360, comma 1, n. 3), e in ogni altro caso in cui, decidendo su altri motivi del ricorso, risolve una questione di diritto di particolare importanza», derivandone altrimenti l’incongruenza di un vincolo negativo per le sezioni semplici soltanto nei riguardi delle pronunce di cassazione con rinvio o seguite dalla decisione della causa nel merito, che – a norma del previgente art. 384, co.1, cod.proc.civ. – sole potevano legittimamente contenere l’enunciazione del principio di diritto (v., in termini, Cass. n. 29519 del 2022).

11. Ebbene, il Fondo non assume in via solidale e sussidiaria la medesima obbligazione retributiva del datore di lavoro rimasta inadempiuta, bensì una distinta ed autonoma obbligazione di natura previdenziale (fra le altre, Cass.nn. 1861, 3165 del 2022, 4897 del 2021), soggetta a domanda amministrativa (Cass. n. 9495 del 2016) e alle regole proprie del credito previdenziale: quanto agli accessori, gli interessi dal 121° giorno dalla domanda (termine entro il quale l’ente previdenziale è tenuto a provvedere ex art. 7 L. n.533 del 1973) e l’insuscettibilità del credito di essere soggetto a rivalutazione monetaria (ex art. 429 cod.proc.civ.), alla stregua delle disposizioni previste dall’art. 16, sesto comma, legge n.412 del 1991.

12. L’obbligazione che assume il Fondo nei confronti del lavoratore è, dunque, relativa al pagamento del trattamento di fine rapporto e degli interessi legali (crediti accessori) alla stregua del disposto dell’art. 2, secondo comma, legge n. 297 del 1982 che recita: «il lavoratore o i suoi aventi diritto possono ottenere a domanda il pagamento, a carico del fondo, del trattamento di fine rapporto di lavoro e dei relativi crediti accessori, previa detrazione delle somme eventualmente corrisposte…».

13. La diversa pretesa del lavoratore, in forza del rapporto di lavoro (e non del rapporto assicurativo), alla rivalutazione monetaria e agli interessi legali sul trattamento di fine rapporto, sarebbe stata esigibile solo nei confronti del datore di lavoro, se diligentemente azionata dal lavoratore, dalla cessazione del rapporto di lavoro, tramite insinuazione al passivo del fallimento o promuovendo la formazione di un titolo giudiziale e l’esperimento non satisfattivo dell’esecuzione forzata.

14. Solo nelle ipotesi dianzi descritte, all’esito infruttuoso dell’insinuazione al passivo e dell’esperimento dell’esecuzione forzata, l’obbligazione del Fondo, azionata dal lavoratore in forza del distinto rapporto assicurativo, si sarebbe identificata, nel quantum, con il credito già vanamente azionato nei confronti del datore insolvente.

15. In conclusione, la sentenza impugnata, uniformatasi ai predetti principi, è immune da censure.

16. Non si provvede alla regolazione delle spese per non avere la parte intimata svolto attività difensiva.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso. Ai sensi dell’art. 13,co.1-quater, d.P.R.n.115/2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art. 13,co. 1, se dovuto.

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