Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 26 gennaio 2023, n. 2392

Lavoro, Licenziamento per giusta causa, Obblighi di diligenza e obbedienza ex art. 2104 c.c., Reiterate violazioni disciplinari, Auto, assegnazione dei periodi di congedo per le ferie, Carattere dirigenziale del rapporto di lavoro, Dirigenti dei Consorzi di bonifica, Applicabilità ai dirigenti delle sole conseguenze risarcitorie del licenziamento, Rigetto 

 

Rilevato che

 

1. Con sentenza n. 1158/2017 la Corte d’appello di Bologna respinse il reclamo di V. B. avverso la sentenza che, in sede di opposizione, aveva confermato la legittimità del licenziamento per giusta causa intimatogli dal Consorzio di Bonifica della Provincia di Rimini con lettera del 22.6.2015 in relazione ad un reiterato comportamento ostile nei confronti dei superiori gerarchici, così violando obblighi di diligenza e obbedienza ex art. 2104 c.c. ed incidendo sul rendimento proprio e di altri uffici con pregiudizio grave per l’amministrazione consortile.

1.1. Il giudice del reclamo escluse che potesse trovare ingresso nel giudizio la domanda di annullamento/inefficacia/illegittimità di precedenti sanzioni disciplinari evocate nella lettera di contestazione non a titolo di recidiva – che, quindi, non erano elemento costitutivo dell’illecito addebitato – ma quale espressione del persistere del B. in un reiterato e costante atteggiamento di ostilità nei confronti della parte datoriale. Ritenne infondate le censure con le quali era investita la regolarità del modus operandi della Commissione regionale incaricata che aveva condotto e concluso la procedura avviata dal Consorzio ex art. 5 c.c.n.l. applicabile. Osservò che erano risultati provati tutti gli addebiti contestati (consistiti in gravi accuse di illecito nei confronti dei vertici del Consorzio, nell’ auto- -assegnazione dei periodi di congedo per le ferie, nella sistematica registrazione dei colloqui con i colleghi all’insaputa degli interlocutori) e reputò che gli stessi integrassero una giusta causa di recesso ai sensi dell’art.2119 cod. civ..

2. La Corte di cassazione, adita dal B., rigettati i primi due motivi di ricorso, accolse in parte il quarto motivo e, assorbiti gli altri, cassò la sentenza rimettendo le parti davanti alla Corte di appello di Bologna in diversa composizione per un nuovo esame.

2.1. Il giudice di legittimità ritenne che la registrazione di conversazioni fra colleghi, addebitata al B., non potesse essere considerata tout court illecita in quanto l’utilizzo, a fini difensivi, della registrazione di colloqui intercorsi tra il dipendente ed i colleghi sul luogo di lavoro non necessita del consenso dei presenti, dovendosi procedere ad un bilanciamento tra le contrapposte istanze di riservatezza, da una parte, e di tutela giurisdizionale del diritto del lavoratore dall’altra contemperando la norma sul consenso al trattamento dei dati con le formalità previste dal codice di procedura civile per la tutela dei diritti in giudizio.

2.2. Conseguentemente la sentenza della cassazione ritenne legittima, e perciò inidonea ad integrare un illecito disciplinare, la condotta del lavoratore che aveva effettuato le registrazioni per tutelare la propria posizione all’interno dell’azienda e per precostituirsi un mezzo di prova. Osservò infatti che, se pertinente alla tesi difensiva e non eccedente le sue finalità, la condotta doveva essere ritenuta coerente con il legittimo esercizio di un diritto.

3. Il giudizio venne riassunto davanti alla Corte di appello di Bologna che, in applicazione di detti principi, accertò la illegittimità del licenziamento intimato al B. e condannò il Consorzio di Bonifica della Romagna al risarcimento del danno che liquidò in sedici mensilità di retribuzione, oltre interessi e rivalutazione monetaria dal 26 giugno 2015 al saldo, detratto l’importo dell’assegno alimentare corrisposto nelle mensilità di sospensione del licenziamento.

3.1. La Corte del rinvio, nel delimitare l’ambito della sua decisione, ha accertato che: era coperto da giudicato l’accertamento, effettuato già in sede di appello, che con riguardo ai precedenti disciplinari non era stata specificatamente contestata la recidiva atteso che gli stessi erano stati richiamati solo per evidenziare un persistente atteggiamento di ostilità mantenuto nel tempo dal B.; neppure era più in discussione il rilievo disciplinare da attribuire alla condotta del lavoratore che si era autoassegnato le ferie; ugualmente non era più controversa tra le parti la definitività della prima sanzione disciplinare stante la mancata impugnazione del lodo ad essa inerente.

3.2. Tanto premesso, la Corte del rinvio ha proceduto all’esame della lettera di contestazione e, ribadita l’irrilevanza delle precedenti contestazioni disciplinari (neppure evocate ai fini di una eventuale recidiva), ha ritenuto generiche ed indeterminate le circostanze elencate ai punti 2 e 4 della contestazione di addebito (reiterazione di atteggiamenti di ostilità verso i dirigenti dell’Ente con mancanza di rispetto e non accettazione delle decisioni assunte; reiterato utilizzo di sistemi non consoni al ruolo e denotanti scarsa o nulla fiducia nei confronti dei dirigenti e superiori) il cui contenuto specifico non era stato descritto e che erano prive di riferimenti di tempo e di luogo. Il giudice del rinvio ha poi ritenuto irrilevanti, ai fini della valutazione della correttezza del procedimento disciplinare, le puntualizzazioni fattuali del Consorzio del 29 gennaio 2015 perché successive all’audizione del lavoratore e mai prima tempestivamente contestate. Venendo all’esame delle due condotte che erano state, invece, ritualmente addebitate al B. la Corte di appello ha sottolineato che per quella relativa all’auto-ettribuzione di tre giorni di ferie, in disparte il giudicato, i fatti non erano stati contestati dal lavoratore. Con riguardo alla registrazione di conversazioni tra colleghi la Corte del rinvio ha ritenuto privo di rilevanza disciplinare il comportamento del lavoratore, il quale aveva dimostrato di avervi proceduto per specifiche finalità difensive. A tal riguardo la Corte di merito ha osservato inoltre che la prova articolata dal Consorzio, che ne era onerato, aveva ad oggetto circostanze di fatto non pertinenti né rilevanti ed era perciò inammissibile. In definitiva, l’unico addebito sostanzialmente incontestato (l’auto-attribuzione di tre giorni di ferie), è stato ritenuto di modesta entità e perciò inidoneo a sorreggere da solo il licenziamento intimato. Da ultimo la Corte territoriale ha evidenziato che la condotta addebitata al lavoratore, per quanto provata, non era riconducibile al disposto dell’art. 22 del c.c.n.l. di settore tenuto conto della natura e della gravità della condotta.

3.3. Una volta accertata l’illegittimità del recesso la Corte del rinvio, richiamando un precedente di legittimità su un caso analogo, ha ritenuto applicabile al caso di specie la sola tutela risarcitoria e, utilizzando in via equitativa i parametri dettati dal c.c.n.l. dei dirigenti dei servizi pubblici locali in considerazione della contiguità del settore, ha avuto riguardo all’anzianità anagrafica, a quella lavorativa ed alla posizione apicale già rivestita ed ha liquidato sedici mensilità di retribuzione a titolo di indennità risarcitoria da cui ha detratto quanto percepito per assegno alimentare durante la sospensione del rapporto, somma sulla quale ha poi ritenuto di dover computare gli accessori dovuti per legge. Quanto alla denunciata ritorsività del licenziamento il giudice del rinvio ha ritenuto di non dover procedere all’esame della questione evidenziandone l’inammissibilità atteso che non era stata posta né nella fase sommaria né in quella di opposizione.

4. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso V. B. affidato a quattro motivi. Il Consorzio di Bonifica della Romagna ha resistito con controricorso ed ha formulato ricorso incidentale con dieci motivi. Il B. si è difeso con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative. Tolta dal ruolo per impedimento del relatore la causa è stata fissata per la decisione all’odierna adunanza camerale.

 

Considerato che

 

5. Il ricorso principale di V.B..

5.1. Con il primo motivo di ricorso è denunciata la violazione del principio di non contestazione ex artt. 115 e 116 c.p.c. e si deduce che, in violazione delle citate disposizioni, la Corte territoriale aveva ritenuto non applicabile al rapporto di lavoro del B. l’art. 81 del c.c.n.l. per i dirigenti dei Consorzi di Bonifica del 2006 – che assicurava ai dirigenti già in servizio alla data del 30 gennaio 1996 la conservazione del regime di stabilità anche in caso di accorpamento o di fusione di consorzi – sebbene fosse incontestato il fatto che il B., a quella data, era dirigente di ruolo e che sull’applicazione della citata disposizione collettiva si era formato il giudicato.

5.2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell’art. 81 c.c.n.l. per i dirigenti dei consorzi di bonifica ed enti similari di diritto pubblico e dei Consorzi di miglioramento fondiario e deduce che la Corte avrebbe dovuto disporre la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro già occupato.

5.3. Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 21 e 51 comma 2 del d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165; dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970 e dell’art. 69 del c.c.n.l. dirigenti dei consorzi di bonifica. Sostiene il ricorrente che erroneamente il giudice del rinvio avrebbe fatto discendere l’applicazione della tutela propria dei dipendenti di diritto privato alla qualificazione del Consorzio come ente pubblico economico soggetto, perciò, alla disciplina privatistica dei rapporti di lavoro. Al contrario si osserva che al rapporto di lavoro, caratterizzato da una impronta pubblicistica, trova applicazione la tutela reale dettata dall’art. 18 nella sua originaria formulazione, come per tutti i dipendenti pubblici.

5.4. Con l’ultimo motivo di ricorso, infine, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., la violazione degli artt. 8, commi 2 e 3, e 11 comma 2, allegato H, del c.c.n.l. per i dirigenti dei Consorzi di Bonifica degli Enti similari di diritto pubblico e dei Consorzi di miglioramento Fondiari. Il B. sostiene che una corretta applicazione delle citate disposizioni collettive avrebbe dovuto convincere la Corte del rinvio, una volta annullato il licenziamento, a condannare il Consorzio a corrispondere, come chiesto sin dal primo grado, oltre all’indennità risarcitoria riconosciuta e quantificata in sedici mensilità di retribuzione, anche le retribuzioni non erogate durante la sospensione cautelare e la relativa regolarizzazione contributiva.

Sostiene che in base alle ricordate disposizioni collettive, qualora alla sospensione cautelare non segua il licenziamento in tronco del lavoratore (nella specie annullato), il diritto alla retribuzione si espande e dalle somme complessivamente dovute va solo detratto l’assegno alimentare.

6. Il ricorso incidentale del Consorzio di Bonifica della Romagna è affidato a dieci motivi.

6.1. Con il primo motivo è denunciata la violazione ed errata applicazione dell’art. 81 c.c.n.l. per i Dirigenti Consorzi Bonifica e, anche in replica a quanto dedotto dal ricorrente principale con il suo secondo motivo di ricorso, si censura la sentenza nella parte in cui sembra sostenere che esista un diritto alla reintegrazione sulla base della norma collettiva procedendo ad una errata assimilazione tra stabilità e tutela reale.

6.2. Con il secondo motivo di ricorso il Consorzio si duole dell’omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, relativamente al carattere dirigenziale del rapporto di lavoro con il B. e si denuncia, altresì, la violazione degli artt. 2118 e 2119 c.c., tutto ciò con riguardo all’art. 360 primo comma n. 5 c.p.c.. Ad avviso del Consorzio il comportamento contestato, ove rapportato alla natura dirigenziale del rapporto, integrava una giusta causa di licenziamento del dirigente o comunque la sua “giustificatezza” tenuto conto dei poteri attribuiti per la qualifica rivestita.

6.3. Il terzo motivo di ricorso ha ad oggetto l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360 primo comma n. 5 c.p.c.; la violazione degli artt. 2118 e 2119 c.c. in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c.; la nullità della sentenza per violazione del giudicato ai sensi dell’art. 360 primo comma n. 4 c.p.c.. Sostiene il Consorzio che la sentenza non avrebbe tenuto conto del rilievo attribuito dalla sentenza cassata all’atteggiamento ostile tenuto dal B., evincibile dalle plurime contestazioni precedenti a quella che ha dato poi luogo al licenziamento. Osserva che le stesse, sebbene non andassero ad integrare l’addebito che aveva poi condotto al recesso, tuttavia, non potevano essere ignorate nel valutare l’idoneità della condotta ad incidere il vincolo fiduciario.

6.4. Con il quarto motivo è denunciata, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., la nullità della sentenza che avrebbe violato il giudicato. Inoltre, il Consorzio denuncia l’avvenuta violazione degli artt. 2118 e 2119 e 2697 c.c. oltre che dell’art. 115 c.p.c., sempre in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c.. Sostiene il ricorrente che la Corte territoriale sarebbe incorsa nelle denunciate violazioni di legge per aver trascurato di considerare che nel precedente giudizio di cassazione intercorso tra le parti si era formato un giudicato sul fatto che il lavoratore si era auto collocato in ferie e tale circostanza era rilevante nella valutazione della gravità della violazione contestata e che aveva condotto al licenziamento. Sulla base di tali premesse la Corte di appello in sede di rinvio non avrebbe potuto procedere ad una nuova valutazione della rilevanza dell’addebito.

6.5. Con il quinto motivo di ricorso incidentale è denunciata ancora una volta la nullità della sentenza in relazione all’avvenuta violazione del giudicato. La violazione degli artt. 2118, 2119 e 2697 c.c. oltre che dell’art. 115 c.p.c. con riferimento all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c.. Ad avviso del Consorzio la Corte territoriale sarebbe incorsa nella denunciata violazione per non aver considerato che l’uso indiscriminato da parte del B. delle registrazioni effettuate era circostanza che non era stata ritualmente e tempestivamente contestata nel giudizio e, dunque, non avrebbe potuto essere confutata in sede di reclamo ma piuttosto doveva essere ritenuta accertata.

6.6. Con il sesto motivo di ricorso si insiste nella nullità della sentenza per violazione del giudicato e degli artt. 2118, 2119 e 2697 c.c. oltre che dell’art. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c. sempre con riguardo alla violazione del principio di non contestazione.

6.7. Il settimo motivo di ricorso denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo consistito nella minaccia di utilizzo pubblico delle registrazioni illegittimamente acquisite. Ad avviso del Consorzio tale comportamento era stato specificatamente contestato al B. ma la Corte di merito non ne aveva tenuto conto.

6.8. Con l’ottavo motivo di ricorso si denuncia, in relazione all’art. 360 primo comma n. 5 c.p.c., la violazione dell’art. 2697 c.c., dell’art.421 c.p.c. e l’omesso esame di documenti prodotti. Il Consorzio deduce che nel giudizio erano state prodotte oltre alle due registrazioni esaminate anche un dvd (doc. 48), già allegato al ricorso ex art. 700 c.p.c. e che, peraltro, il giudice avrebbe potuto e dovuto acquisire d’ufficio tenuto conto del principio di prova offerto. Ad avviso del Consorzio ricorrente, infatti, se la Corte di merito ne avesse tenuto conto, se del caso acquisendolo, avrebbe accertato che l’uso che il lavoratore aveva fatto delle registrazioni era del tutto eccedente rispetto allo scopo perseguito.

6.9. Il nono motivo di ricorso ha ad oggetto la denuncia della violazione dell’art. 2697 c.c., dell’art.421 c.p.c. in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c. e l’omesso esame di documenti prodotti in relazione all’art. 360 primo comma n. 5 c.p.c.. Il Consorzio evidenzia che, con riguardo alle registrazioni effettuate nel bar, non sarebbe stata offerta la prova che queste contenevano conversazioni di lavoro. Si sottolinea allora che la Corte di merito avrebbe potuto approfondire, anche utilizzando i suoi poteri officiosi, quale ne fosse il contenuto.

6.10. Con l’ultimo motivo del ricorso incidentale, infine, è denunciata la violazione dell’art. 7 della I. n. 300 del 1970 e dei principi in materia di contestazione di addebito in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c.. Inoltre, si lamenta la violazione dell’art. 22 del c.c.n.l. di settore oltre che dell’art. 1 allegato H sempre in relazione all’art.360 primo comma n. 3 c.p.c.. Ad avviso del ricorrente la Corte di merito avrebbe errato nel ritenere che le puntualizzazioni della contestazione abbiano inficiato il corretto svolgimento del procedimento disciplinare per il fatto che sono intervenute successivamente all’audizione del lavoratore. Si sostiene in proposito che l’ossequio al principio della immodificabilità della contestazione non precluderebbe al datore di lavoro di chiarire ed integrare l’addebito in un secondo momento, ma pur sempre nel corso del procedimento disciplinare, essendo consentito al lavoratore di difendersi a maggior ragione tenuto conto le precisazioni non avevano ad oggetto fatti nuovi ma si trattava di specificazioni dell’originaria contestazione.

7. Ragioni di priorità logica impongono di trattare con precedenza le questioni poste con il ricorso incidentale del Consorzio di Bonifica della Romagna ed in particolare i motivi da due a dieci che attengono, per vari aspetti, alla legittimità del licenziamento.

7.1. In linea generale deve essere rammentato che le censure con le quali è denunciato un omesso esame di fatto decisivo in relazione all’art. 360 primo comma n. 5 c.p.c. per essere ammissibili devono risultare conformi a quanto disposto dal testo novellato della citata norma, riformulata dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, la quale, come è noto, autorizza la denuncia del vizio di omesso esame di un fatto storico principale o secondario a condizione che la sua esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Come è stato più volte ribadito da questa Corte sin dalla sentenza delle sezioni unite del 07/04/2014 n. 8053 il ricorrente, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti ed infine la sua “decisività”. Resta fermo, tuttavia, che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

7.2. Fatta questa doverosa premessa, ritiene il Collegio che il secondo motivo di ricorso, che individua il fatto decisivo trascurato, nella mancata valutazione della specifica condotta in relazione al carattere dirigenziale del rapporto di lavoro intercorso con il B., si sostanzia piuttosto in un diverso apprezzamento dei fatti da parte della Corte territoriale che non solo non trascura gli elementi di prova acquisiti al giudizio ma procede ad un apprezzamento degli stessi secondo standard ragionevolmente plausibili sicché non solo non incorre nel vizio di motivazione denunciato ma neppure nel vizio di sussunzione desumibile dal richiamo effettuato agli artt. 2118 e 2119 c.c. che regolano il recesso dal rapporto a tempo indeterminato ed in particolare quello per giusta causa.

7.3. Analogo ragionamento deve essere fatto con riguardo al terzo motivo del ricorso incidentale con il quale, pur dandosi atto della corretta perimetrazione delle questioni devolute al giudice del rinvio a seguito del primo intervento della Cassazione, ci si duole del fatto che non si sarebbe tenuto nella dovuta considerazione, nell’escludere la giusta causa, l’atteggiamento ostile desumibile dalle contestazioni che avevano preceduto quella che aveva poi dato luogo al licenziamento. La Corte territoriale non trascura affatto di valutarle e ne tiene conto chiarendo quale corretto rilievo era possibile attribuire a fatti estranei alla contestazione di addebito. Per tale aspetto, dunque, la censura è inammissibile.

Nella sostanza con il motivo si sollecita una diversa e più favorevole ricostruzione dei fatti rispetto a quella pur plausibile effettuata dal giudice del rinvio che ha escluso nella condotta accertata l’esistenza dei tratti dell’insubordinazione dai quali far scaturire la legittima risoluzione del rapporto di lavoro.

7.4. Neppure la sentenza è incorsa nella denunciata violazione del giudicato, oggetto del quarto motivo di ricorso. Correttamente la Corte territoriale – circoscritto l’ambito delle violazioni contestate al lavoratore, rilevanti ed accertate nel corso del giudizio – ha doverosamente proceduto, nell’esercizio del potere attribuito al giudice di merito di valutazione degli elementi di fatto a sua disposizione, alla verifica della loro sussumibilità in una giusta causa di recesso o comunque di una sua giustificatezza. Ancora una volta la censura si risolve in una inammissibile pretesa di rivalutazione del merito.

7.5. Il quinto ed il sesto motivo di ricorso, da trattare congiuntamente in ragione della sostanziale identità della questione trattata, non possono essere accolti. Con le censure, pur denunciandosi che sul piano processuale la Corte del rinvio non avrebbe tenuto conto del fatto che l’uso indiscriminato delle registrazioni non era stato ritualmente e tempestivamente contestato dal lavoratore e dunque non poteva più essere messo in discussione, nella realtà si pretende di procedere ad una diversa valutazione dei fatti quanto alla loro incidenza sul vincolo fiduciario a cagione della loro gravità.

La Corte di cassazione con la sua sentenza aveva demandato alla Corte di appello di rivalutare i fatti accertati per verificare se le registrazioni che erano state effettuate avessero rilevanza disciplinare tenuto conto della loro pertinenza e non eccedenza rispetto all’esercizio del diritto di difesa del lavoratore ed è in tale contenuto ambito che si è mossa la Corte del rinvio con la sentenza che viene qui impugnata per escludere appunto l’eccedenza della raccolta dei dati. Non solo non è ravvisabile alcuna nullità per violazione di giudicato, ma neppure la Corte è incorsa nelle altre violazioni di legge formalmente denunciate con i due motivi di ricorso (degli artt. 2118, 2119, 2697 c.c. e 115 c.p.c.). In particolare, non è chiaro in cosa possa consistere l’inversione dell’onere della prova denunciata. Quanto alla violazione dell’art. 115 c.p.c. è appena il caso di ricordare che una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali (cfr tra le tante recentemente Cass. 01/03/2022 n.6674, ma già Cass. 27/12/2016 n. 27000).

7.6. Non è ravvisabile poi l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, denunciato con il settimo motivo di ricorso, consistito nella minaccia di utilizzo pubblico delle registrazioni illegittimamente acquisite. La Corte di merito, infatti, ne ha valutato la rilevanza tenendo conto dell’uso per scopi difensivi cui le registrazioni erano finalizzate. Si è del pari fatta carico di accertare in fatto che nessuna prova era stata offerta dell’avvenuta minaccia di un uso pubblico diverso delle registrazioni e solo all’esito di tali verifiche, con accertamento di merito a lei riservato, la Corte territoriale ha ritenuto conclusivamente e complessivamente che l’acquisizione delle registrazioni per tale finalità non fosse eccedente e dunque non potesse avere rilievo disciplinare. Si tratta ancora una volta di una richiesta, inammissibile n questa sede, di nuova e più favorevole valutazione dei fatti tutti presi in considerazione e valutati con un percorso del tutto plausibile.

7.7. Impinge ancora nel merito la censura formulata con l’ottavo motivo di ricorso. Come è noto, infatti, in tema di prova, spetta in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, assegnando prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, nonché la facoltà di escludere anche attraverso un giudizio implicito la rilevanza di una prova, senza che egli sia tenuto ad esplicitare, per ogni mezzo istruttorio, le ragioni per cui lo ritenga irrilevante ovvero ad enunciare specificamente che la controversia può essere decisa senza necessità di ulteriori acquisizioni (Cass.13/06/2014 n. 13485). L’omesso esame di un fatto riportato in un documento diviene rilevante solo ove si concreti, per la sua decisività, una violazione dell’art. 360 primo comma n. 5 c.p.c. nel testo novellato applicabile e nella specie non ravvisabile trattandosi di fatti, quelli descritti, tutti presi in esame dalla Corte di appello in sede di rinvio. Quanto alla denunciata violazione dell’art. 421 c.p.c. va qui ribadito che l’uso dei poteri istruttori da parte del giudice del lavoro, non ha carattere discrezionale e costituisce un potere-dovere del cui esercizio o mancato esercizio questi è tenuto a dar conto, tuttavia, per poter censurare l’inesistenza o la lacunosità della motivazione in sede di ricorso per cassazione circa la sua mancata attivazione, occorre dimostrare di averne sollecitato l’esercizio e, nella specie, non è stato fatto. Diversamente si introdurrebbe per la prima volta in sede di legittimità un tema del contendere totalmente nuovo rispetto a quelli già dibattuti nelle precedenti fasi di merito (cfr. Cass.25/10/2017 n. 25374). In sostanza la deducibilità della omessa attivazione dei poteri istruttori come vizio motivazionale e non come errore in procedendo, impedendo al giudice di legittimità l’esame diretto degli atti, impone al ricorrente che muova alla sentenza impugnata siffatta censura di riportare testualmente, in omaggio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, tutti quegli elementi (emergenti dagli atti ed erroneamente non presi in considerazione dal giudice di merito) dai quali era desumibile la sussistenza delle condizioni necessarie per l’esercizio degli invocati poteri. L’esistenza di una “pista probatoria”, vale a dire di fatti o mezzi di prova idonei a sorreggere le sue ragioni con carattere di decisività (rispetto ai quali avrebbe potuto e dovuto esplicarsi l’officiosa attività di integrazione istruttoria demandata al giudice di merito). La sollecitazione del potere officioso vale anche ad evitare di sovrapporre la volontà del giudicante a quella delle parti in conflitto di interessi e non valicare il limite obbligato della terzietà (cfr. Cass. 18/06/2008 n. 16507 ed ivi ulteriori richiami).

7.8. Analoghe considerazioni a quelle già svolte valgono per dichiarare inammissibile e comunque infondato, sotto il profilo della violazione dell’art. 2697 c.c., il nono motivo di ricorso. È appena il caso di ricordare che per aversi una violazione dell’art. 2697 c.c. è necessario che venga posto a carico della parte che non ne è onerata la prova della pretesa azionata. Nella specie è pacificamente onere del Consorzio dimostrare la legittimità del recesso ed a tale onere la Corte non ha affatto contravvenuto.

Inammissibilmente poi è denunciata l’insufficienza della motivazione (v. pag. 53 del ricorso incidentale) vizio espunto dalla novella del 2012. La censura si risolve ancora una volta in una inammissibile richiesta di nuovo esame dei fatti e valutazione degli stessi, tutti già presi in considerazione dal giudice del rinvio, per conseguire un esito diverso e più favorevole.

7.9. Anche l’ultimo motivo del ricorso incidentale non può essere accolto. Con accertamento di fatto a lei riservato la Corte territoriale, in sede di rinvio, ha accertato che le condotte ulteriori non erano state mai prima contestate e così ha escluso che si trattasse, come si pretende di dire oggi, di mere puntualizzazioni di fatti già accertati.

8. Occorre ora procedere all’esame del ricorso principale ed in particolare dei primi tre motivi, da esaminare congiuntamente in quanto attengono tutti, per aspetti diversi, alla tutela applicabile alla fattispecie. Insieme ad essi va trattato il primo motivo del ricorso incidentale del Consorzio che investe anch’esso profili inerenti alla corretta applicazione dell’art. 81 del c.c.n.l. per i dirigenti dei Consorzi di Bonifica del 2006.

8.1. Al riguardo va rammentato che, per quanto qui interessa, la Corte territoriale in sede di rinvio dalla Cassazione ha ritenuto che, una volta accertata l’illegittimità del recesso intimato dal Consorzio al B. – il quale era stato assunto a tempo indeterminato il 13.1.1986 con la qualifica di dirigente amministrativo – non trovasse applicazione l’art. 81 ultimo alinea del c.c.n.l. di settore che assicura, ai dirigenti a tempo indeterminato che abbiano maturato alla data del 30.1.1996 un’anzianità pari o superiore a venti anni, la conservazione a titolo personale della stabilità del rapporto. Pertanto, ha ritenuto che al rapporto trovasse applicazione la sola tutela risarcitoria dopo aver accertato che il contratto collettivo per i Dirigenti dei Consorzi di Bonifica, in particolare il suo art. 69, non aveva esteso pattiziamente a tale personale la tutela reale applicabile alle qualifiche inferiori.

8.2. Ritiene il Collegio che tale ricostruzione non si esponga alle critiche formulate con il ricorso e debba perciò essere confermata.

8.3. Nessuna violazione del principio di non contestazione è ravvisabile atteso che la Corte territoriale nell’escludere l’applicabilità alla fattispecie dell’art. 81 del c.c.n.l. si è limitata a prendere atto del fatto, questo sì allegato e non contestato, che il B. era stato assunto a tempo indeterminato con una delibera del Consorzio del 13.1.1986 e, coerentemente, ha verificato l’applicabilità alla fattispecie della previsione collettiva che assicura la conservazione del regime di stabilità (e di altri istituti) proprio al personale a tempo indeterminato che avesse maturato una specifica anzianità della quale invece il B. non risultava in possesso. Dalla lettura del ricorso non emerge affatto che le allegazioni nel giudizio fossero diverse da quelle poste dalla sentenza impugnata a fondamento della sua decisione e, come è noto, l’onere di contestazione in ordine ai fatti costitutivi del diritto si coordina con l’allegazione dei medesimi. L’identificazione del tema decisionale dipende infatti in pari misura dall’allegazione e dall’estensione delle relative contestazioni o non contestazioni (cfr. Cass.19/10/2016 n. 21075 e 10/05/2018 n. 11252).

8.4. Il secondo motivo del ricorso del B., cui è collegato il primo motivo di ricorso incidentale del Consorzio, denuncia la violazione dell’art. 81 c.c.n.l. per i dirigenti dei consorzi di bonifica ed enti similari di diritto pubblico e dei Consorzi di miglioramento fondiario e si insiste nell’affermare che all’applicazione dell’art. 81 del c.c.n.l. sarebbe dovuta conseguire la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro già occupato. Al contrario il Consorzio insiste per la correttezza della soluzione adottata dalla Corte del rinvio. Ritiene al riguardo il Collegio che la Corte di merito nell’interpretare la norma collettiva abbia esattamente ritenuto che la tipizzazione di alcune ipotesi di risoluzione del rapporto – mediante estensione ai dirigenti delle disposizioni concernenti gli impiegati di grado immediatamente inferiore – comportasse l’applicabilità ai dirigenti delle sole conseguenze risarcitorie del licenziamento ma non anche del regime legale di stabilità reale (richiamando peraltro un precedente di questa Corte relativo ad una fattispecie del tutto sovrapponibile alla presente: cfr. Cass. 26/05/2000 n. 6901). La tutela reale può essere pattiziamente estesa al di fuori dei limiti legati soggettivi e oggettivi a condizione però che tale estensione risulti chiaramente dalla disciplina individuale o collettiva del rapporto dedotto in giudizio. Nel caso in esame, il fatto che il contratto collettivo per i dirigenti dei Consorzi di bonifica, abbia tipizzato alcune ipotesi di risoluzione del rapporto, estendendo ai dirigenti le altre disposizioni collettive concernenti gli impiegati di grado immediatamente inferiore va inteso, come ha correttamente sottolineato la Corte di merito, nel senso che ai primi sono estese solo le conseguenze risarcitorie del licenziamento intimato al di fuori delle ipotesi previste dalla stessa disciplina collettiva, ma non anche il regime legale di stabilità reale.

8.5. Anche il terzo motivo del ricorso principale non può essere accolto atteso che nessun rilievo può essere attribuito alla natura pubblica del Consorzio ed alla esistenza di un ruolo organico del personale dipendente, poiché trattandosi pacificamente di ente pubblico economico, deve riconoscersi la natura assolutamente paritetica dei relativi rapporti di lavoro, assoggettati – alla stessa stregua di ogni altro rapporto di lavoro – alla contrattazione collettiva, e comunque ad un regime privatistico al quale è estraneo il concetto di appartenenza ad un ruolo organico nel significato che tale concetto assume nell’ambito del pubblico impiego. Non è concepibile, in via di principio, una equazione tra stabilità del rapporto privato di ruolo – da intendersi piuttosto nel senso di rapporto di lavoro a tempo indeterminato – e stabilità reale (cfr. Cass. ult. cit. ed anche Cass. 10/10/2016 n. 20332 e più recentemente Cass.04/03/2021 n. 6086 ed anche Cass. 15/10/2019 n. 26038).

8.6. Anche l’ultimo motivo del ricorso principale – che denuncia la violazione dell’art. 8 comma 2 e 3 e dell’art. 11 comma 2 e allegato H del c.c.n.l. – non può essere accolto. Va premesso che con la censura, pur denunciandosi una violazione delle norme del contratto collettivo, si pretende di sostituire alla valutazione equitativa del danno del giudice di merito – che ha utilizzato i parametri di un contratto collettivo contiguo ed assimilabile (in considerazione della tipologia dei servizi erogati e della estensione territoriale dell’attività) – una diversa valutazione. Al riguardo va ribadito che la valutazione equitativa del danno è caratterizzata da un certo grado di approssimatività e dunque è suscettibile di rilievi in sede di legittimità solo se la statuizione che la sorregge difetti totalmente la giustificazione o si discosti dai dati di comune esperienza macroscopicamente (cfr. tra le altre Cass. n. 22896 del 2012 ma già n. 1529 del 2010). Peraltro, le norme collettive che si lamenta siano state violate prevedono due soli casi in cui il datore di lavoro che abbia versato durante la sospensione cautelare facoltativa l’assegno alimentare di cui all’art. 11 è tenuto a corrispondere gli emolumenti non percepiti: per il caso in cui alla sospensione non segua il licenziamento in tronco (art. 8 comma 3) ovvero quando la contestazione degli addebiti non sia effettuata nei trenta giorni dalla notifica del provvedimento di sospensione (art. 8 comma 2). Si tratta di ipotesi tassative che nella specie non risulta neppure dedotto che ricorrano.

9. In conclusione per le ragioni esposte entrambi i ricorsi devono essere rigettati. La reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese del giudizio di cassazione. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale e di quello incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per i rispettivi ricorsi a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuti.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso principale e quello incidentale. Compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale e incidentale a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.

 

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 26 gennaio 2023, n. 2392
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