In caso di soppressione di posizione dirigenziale occorre che sussista una giustificatezza alla base del recesso del datore di lavoro.
Nota a Cass. (ord.) 29 dicembre 2022, n. 38026
Daniele Magris
“Al rapporto di lavoro del dirigente non si applicano le norme limitative dei licenziamenti individuali (artt. 1 e 3 legge n. 604/1966) e conseguentemente la nozione di giustificatezza del licenziamento del dirigente – posta dalla contrattazione collettiva di settore -, non coincide con quella di giustificato motivo di licenziamento contemplato dalla legge citata”. Pertanto, la causa di giustificazione del recesso del datore di lavoro non deve necessariamente coincidere con le ragioni previste dall’art. 3, L. cit., “considerato che il principio di buona fede e correttezza (parametro per misurare la legittimità del licenziamento) deve essere coordinato con quello di iniziativa economica, garantita dall’art. 41 Cost., che verrebbe radicalmente negata ove si impedisse all’imprenditore, a fronte di razionali e non arbitrarie ristrutturazioni aziendali, di scegliere discrezionalmente le persone idonee a collaborare con lui ai più alti livelli della gestione dell’impresa”.
Questo, l’importante principio ribadito dalla Corte di Cassazione (ord. 29 dicembre 2022, n. 38026; conf. Cass. n. 23044/2021; Cass. n. 12688/2016; Cass. n. 3121/2015) la quale precisa che, essendo il rapporto di lavoro dirigenziale caratterizzato da un accentuato profilo fiduciario, la ricerca delle ragioni alla base del licenziamento non può fondarsi sui parametri valutativi propri del concetto legale di giustificato motivo. Ciò, in quanto “la giustificatezza è un genus ben più ampio nel quale si inquadrano tutta una serie di ulteriori fattispecie, diverse da quelle che legittimano il recesso causale nei confronti dei lavoratori non appartenenti alla categoria dirigenziale, purché idonee a concretizzare valide ragioni di cessazione del rapporto di lavoro” (cfr. Cass. n. 9665/2019; e Cass. n. 27199/2018).
In particolare, con riguardo al c.d. licenziamento economico, la giustificatezza del licenziamento si differenzia dal giustificato motivo oggettivo ed “include qualsiasi motivo di recesso che non sia arbitrario, pretestuoso, non corrispondente alla realtà ove, cioè, la ragione del recesso sia rinvenuta unicamente nell’intento di liberarsi del dirigente e non in quello di perseguire il legittimo esercizio del potere riservato all’imprenditore”. Pertanto:
– ai fini del riscontro della giustificatezza, non occorre verificare analiticamente le specifiche condizioni, essendo sufficiente una valutazione globale che escluda l’arbitrarietà del recesso ossia il comportamento datoriale puramente irrispettoso delle regole e dei procedimenti che assicurano la correttezza nell’esercizio del diritto (Cass. n. 33254/2021; Cass. n. 34736/2019 e Cass. n. 9796/2015);
– il licenziamento del dirigente non deve possedere i caratteri della extrema ratio;
– è escluso l’accertamento della possibilità di repêchage in quanto incompatibile con la figura del dirigente che, come detto, è assistita da un regime di libera recedibilità del datore di lavoro (v. Cass. n. 3175/2013 e Cass. n. 13958/2014).
Alla luce di queste considerazioni, la Corte si pone in linea con i giudici di seconde cure che, nel caso di specie, hanno accertato la violazione dei principi di buona fede e correttezza nel recesso intimato al dirigente, ritenendolo: caratterizzato da arbitrarietà e pretestuosità; finalizzato solo alla eliminazione di un dipendente non gradito; nonché caratterizzato da incoerenza, irragionevolezza e mancata soppressione della posizione del dirigente estromesso.