Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 02 febbraio 2023, n. 3129

Lavoro, Iscrizione negli elenchi nominativi dei lavoratori agricoli,  Provvedimento di disconoscimento adottato dall’INPS, Obbligo di motivazione dei provvedimenti di cancellazione dall’elenco dei lavoratori agricoli, Onere della prova a carico del lavoratore, Rigetto

 

Fatti di causa

 

1.- Il signor G.A.L. ha chiesto al Tribunale di Foggia, previo annullamento del provvedimento di variazione adottato dall’INPS, di dichiarare il diritto di essere iscritto negli elenchi nominativi dei lavoratori agricoli per l’anno 2011, per aver lavorato come bracciante agricolo per 105 giornate, e di condannare l’INPS al ripristino della posizione assicurativa.

Il giudice adìto ha rigettato la domanda, con sentenza del 13 giugno 2017.

2.- Il lavoratore soccombente ha interposto gravame, respinto dalla Corte d’appello di Bari con sentenza pubblicata il 10  febbraio 2021 con il numero 82/2021.

A fondamento della decisione, la Corte territoriale ha osservato che:

a) la «innegabile specialità» della materia, unita alle esigenze di speciale celerità delle procedure di accertamento in esame, rende inapplicabili le previsioni della legge 7 agosto 1990, n. 241;

b) ad ogni modo, l’interessato non può giovarsi dell’inosservanza delle regole del procedimento, quando difettino gli elementi costitutivi della prestazione;

c) quando l’Istituto previdenziale disconosca il rapporto di lavoro, spetta al lavoratore provarne l’esistenza, la durata e l’onerosità e il giudice non può risolvere la controversia solo sulla base del riscontro dell’iscrizione, che si configura come un mero meccanismo di agevolazione probatoria;

d) insufficiente è la documentazione, di formazione unilaterale, su cui fanno leva le difese dell’appellante;

e) l’appellante ha omesso «di articolare prova testimoniale relativa all’attività di lavoro agricolo svolta nell’anno 2011 ed in particolare al contestato rapporto di lavoro subordinato nell’ambito dell’azienda agricola F. di L.M.».

3.- G.A.L. impugna per cassazione la sentenza della Corte d’appello di Bari, con ricorso notificato il 2 agosto 2021, che affida a quattro motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.

4.- L’INPS non ha svolto in questa sede attività difensiva.

5.- La causa, fissata alla pubblica udienza del 9 novembre 2022 (art. 375, secondo comma, cod. proc. civ.), è stata trattata in camera di consiglio, senza l’intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, in quanto nessuno degl’interessati ha formulato istanza di discussione orale (art. 23, comma 8-bis, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, inserito dalla legge di conversione 18 dicembre 2020, n. 176, e prorogato fino al 31 dicembre 2022 dall’art. 16, comma 1, del decreto-legge 30 dicembre 2021, n. 228, convertito, con modificazioni, nella legge 25 febbraio 2022, n. 15).

6.- Il Pubblico Ministero ha formulato conclusioni motivate e ha chiesto di dichiarare tanto inammissibili quanto infondate la prima, la seconda e la terza censura, e inammissibile il quarto motivo.

 

Ragioni della decisione

 

1.- Il ricorso per cassazione del signor G.A.L. si articola in quattro motivi.

1.1.- Con il primo mezzo (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), il ricorrente censura la violazione dell’art. 97, secondo comma, Cost. e dell’art. 3 della legge n. 241 del 1990 e lamenta che il provvedimento di disconoscimento adottato dall’INPS sia carente di ogni motivazione

1.2.- Con la seconda censura (art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.), il lavoratore prospetta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, consistente nell’omessa valutazione circa la sussistenza o sufficienza della motivazione del provvedimento adottato dall’INPS.

1.3.- Con il terzo motivo (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), il ricorrente si duole della violazione dell’art. 2697 cod. civ. e imputa alla sentenza d’appello di aver attribuito valore di piena prova al provvedimento di cancellazione e di aver fatto gravare sul lavoratore cancellato dagli elenchi l’onere di provare la sussistenza del rapporto di lavoro. Spetterebbe all’INPS la prova delle ragioni che hanno giustificato la cancellazione.

1.4.- Con la quarta doglianza (art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.), il ricorrente denuncia omesso esame di documenti decisivi per il giudizio.

Tra tali documenti, il ricorrente enumera la PEC INPS del 6 febbraio 2016 e la sentenza del TAR Puglia n. 7 del 2016.

Con la PEC citata, l’Istituto avrebbe ammesso che «non sussiste un provvedimento individuale e formale di disconoscimento dedicato al singolo interessato».

Quanto alla sentenza del TAR Puglia, avrebbe riconosciuto il diritto dell’interessato di avere cognizione del provvedimento di disconoscimento, per comprenderne natura, effetti e motivazioni. Tali documenti, ove fossero stati valutati, avrebbero condotto a una decisione diversa.

Con il medesimo motivo, il ricorrente censura, altresì, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., addebitando alla Corte barese di non aver valutato in alcun modo i documenti menzionati, a dispetto del loro carattere decisivo.

2.- Il primo e il secondo motivo sottendono il medesimo tema dell’obbligo di motivazione dei provvedimenti di cancellazione dall’elenco dei lavoratori agricoli.

3.- Il secondo motivo, che denuncia omesso esame di fatto decisivo ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., è inammissibile.

3.1.- La sentenza d’appello ha respinto il gravame del lavoratore e ha confermato la decisione di primo grado.

3.2.- Nell’ipotesi di “doppia conforme” di cui all’art. 348-ter, quinto comma, cod. proc. civ., applicabile ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012 (art. 54, comma 2, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134), il ricorso per cassazione «può essere proposto esclusivamente per i motivi di cui ai numeri 1), 2), 3) e 4) del primo comma dell’articolo 360».

Al fine di evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (nel testo riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, e applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (fra le molte, Cass., sez. I, 22 dicembre 2016, n. 26774).

3.3.- A tale onere la parte ricorrente non ha ottemperato, con la conseguente inammissibilità della censura.

Tale ragione d’inammissibilità è dirimente e priva di rilievo la verifica sulla possibilità stessa di ricondurre all’omesso esame di un fatto decisivo, secondo il paradigma del novellato art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame della sussistenza o della sufficienza della motivazione.

4.- Infondata è la prima censura, che s’incentra sull’obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi, ivi inclusi quelli di cancellazione dagli elenchi dei lavoratori agricoli.

5.- Anche a prescindere dall’applicabilità di tale disciplina, negata dalla Corte d’appello e propugnata dalla parte ricorrente, si deve ribadire che la violazione delle regole del giusto procedimento, sancite dai precetti costituzionali (art. 97 Cost.) e specificate dalla legge n. 241 del 1990, non si ripercuote sul sorgere del diritto alle prestazioni previdenziali, ancorato alla sussistenza dei requisiti tipizzati dalla legge (di recente, Cass., sez. lav., 28 dicembre 2022, n. 37971, punto 10, in conformità a un indirizzo oramai costante).

Allorché difettino i fatti costitutivi del diritto vantato, l’interessato non può limitarsi a far leva sulle anomalie del procedimento amministrativo al fine di conseguire la prestazione che rivendica (sentenza n. 37971 del 2022, cit., punto 11; in epoca più risalente, Cass., sez. lav., 24 febbraio 2003, n. 2804).

Tali principi, richiamati nelle conclusioni motivate del Pubblico Ministero (pagina 2), si attagliano anche all’ipotesi in cui sia stato l’Istituto previdenziale a dare impulso al procedimento, in seguito a una verifica ispettiva (Cass., sez. lav., 6 dicembre 2019, n. 31954; nei medesimi termini, Cass., sez. lav., 30 settembre 2014, n. 20604). Non presta il fianco a censure, pertanto, l’affermazione della sentenza impugnata, che ha escluso, in capo all’assicurato, la possibilità di accampare «disfunzioni procedimentali addebitabili all’Istituto», per essere dispensato dall’onere della prova dei presupposti della prestazione richiesta.

Quel che rileva, dunque, è l’accertamento dei presupposti delle prestazioni dedotte in causa.

6.- Tali enunciazioni di principio introducono all’esame della terza doglianza, rubricata come violazione di legge e, in particolare, come violazione dell’art. 2697 cod. civ.

7.- Il motivo dev’essere disatteso.

Esso è in parte infondato e in parte inammissibile.

8.- La censura è infondata, nella parte in cui assume che gravi sull’INPS l’onere di dimostrare le ragioni della cancellazione che ha disposto.

L’iscrizione di un lavoratore nell’elenco dei lavoratori agricoli adempie a una mera funzione ricognitiva della corrispondente situazione soggettiva e di agevolazione probatoria. Funzione che viene meno qualora l’INPS, a seguito di un controllo, disconosca l’esistenza del rapporto dì lavoro (Cass., sez. lav., 2 dicembre 2022, n. 35548).

In caso di contestazione da parte dell’Istituto, incombe sul lavoratore l’onere di provare l’esistenza, la durata e la natura onerosa del rapporto dedotto a fondamento del diritto d’iscrizione negli elenchi dei braccianti agricoli a tempo determinato (Cass., sez. lav., 16 maggio 2018, n. 12001, in linea con Cass., S.U., 26 ottobre 2000, n. 1133; di recente, la già richiamata sentenza n. 37971 del 2022, punto 17).

A questi principi si è uniformata la Corte territoriale.

9.- Il motivo è inammissibile nella parte in cui addebita alla sentenza d’appello di aver conferito valore di piena prova al provvedimento di cancellazione, senza cogliere la ratio decidendi della pronuncia d’appello.

10.- La sentenza impugnata, lungi dall’annettere al provvedimento amministrativo un valore probatorio privilegiato, ha evidenziato che, in seguito alla contestazione dell’INPS, spetta al giudice valutare con prudente apprezzamento tutti gli elementi probatori acquisiti (pagine 5, 6 e 7). Tali affermazioni sono conformi a diritto e sono coerenti con i principi enunciati da questa Corte sin dalla richiamata sentenza n. 1133 del 2000.

La Corte di merito ha poi proceduto a una complessiva disamina del materiale probatorio in atti e delle contrapposte deduzioni, disamina che non si arresta al provvedimento di cancellazione.

11.- Il terzo mezzo è inammissibile anche sotto un diverso profilo, segnalato dalle conclusioni motivate del Pubblico Ministero (pagine 2 e 3).

11.1.- La violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. può essere censurata in cassazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., solo quando il giudice abbia attribuito l’onere della prova a una parte diversa da quella che ne era gravata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni (Cass., sez. III, 29 maggio 2018, n. 13395).

La violazione dell’art. 2697 cod. civ. non può essere utilmente denunciata in sede di legittimità quando, in virtù di un’incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, il giudice abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere: in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (Cass., sez. lav., 19 agosto 2020, n. 17313).

11.2.- Dietro lo schermo della violazione di legge, il motivo di ricorso, nella sua essenza, si appunta sulla valutazione delle risultanze istruttorie, compiuta dai giudici d’appello.

La Corte territoriale ha ponderato gli elementi probatori acquisiti e ha passato in rassegna la documentazione prodotta dall’odierno ricorrente, per affermare l’insufficienza delle annotazioni del datore di lavoro, che si configurano come documenti di formazione unilaterale (pagina 6), contraddetti dalle risultanze dell’accertamento ispettivo.

I giudici d’appello hanno poi posto l’accento sulla lacunosità delle allegazioni in ordine agli indici rivelatori della subordinazione (pagina 4 della sentenza impugnata). Con riguardo a tale profilo, che è parte integrante della decisione impugnata, la parte ricorrente non indirizza rilievi critici di sorta, idonei a svelare l’erroneità del percorso argomentativo.

Il ricorrente non ha avvalorato le domande proposte, al fine di sconfessare le emergenze del verbale ispettivo, con idonee richieste di prove orali, volte a dimostrare le caratteristiche del rapporto di lavoro nell’anno 2011: neppure su tale punto, il ricorrente svolge critiche mirate.

Al rigetto della domanda, i giudici d’appello giungono sulla base di una pluralità di elementi, che la parte ricorrente non fa segno di critiche pertinenti.

12.- Il quarto motivo è inammissibile in tutti i profili di censura in cui si articola.

13.- Il motivo è formulato in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.

13.1.- Come si è rilevato nella disamina del secondo mezzo, la parte ricorrente avrebbe dovuto dimostrare la diversità delle ragioni di fatto che sorreggono la pronuncia di primo grado e quella d’appello, al fine di corroborare l’ammissibilità dello specifico motivo proposto e di superare la preclusione sancita dall’art. 348-ter, quinto comma, cod. proc. civ.

13.2.- In disparte tale profilo, comunque dirimente, si deve ribadire l’irrilevanza dei vizi del procedimento amministrativo, che il ricorrente reputa siano suffragati dalla PEC dell’INPS e dalla sentenza del TAR Puglia che si pronuncia sull’istanza di accesso.

Come ha puntualizzato il Pubblico Ministero nelle conclusioni motivate concernenti il quarto motivo (pagina 3), le anomalie del procedimento, che ha condotto alla cancellazione, in seguito a un accertamento ispettivo, non determinano per ciò stesso la fondatezza della domanda del ricorrente.

14.- Inammissibile è anche la censura (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) di violazione dell’art. 115 cod. proc. civ.

14.1.- La violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. può essere dedotta in cassazione solo quando il giudice, in contraddizione espressa o implicita con la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi che gli sono riconosciuti (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilità di ricorrere al notorio).

È inammissibile, per contro, la diversa doglianza con cui si lamenta che il giudice, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggiore forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, in quanto tale attività valutativa non esorbita dal perimetro dell’art. 116 cod. proc. civ. (Cass., S.U., 30 settembre 2020, n. 20867).

14.2.- La parte ricorrente non ha allegato la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., nei termini rigorosi enucleati dalla giurisprudenza di questa Corte.

La doglianza, peraltro, si esaurisce nel rilievo che la sentenza d’appello abbia trascurato di valutare due documenti, sul presupposto che tali documenti avrebbero potuto rovesciare l’esito del giudizio.

Presupposto che comunque si palesa erroneo, alla luce dell’attinenza dei documenti richiamati ai vizi del procedimento.

Vizi che la Corte d’appello, senza incorrere negli errori in diritto denunciati, ha ritenuto inidonei a corroborare la pretesa dell’odierno ricorrente, in difetto di una prova persuasiva dei presupposti della domanda.

La decisione, in coerenza con i principi enunciati da questa Corte in ordine al riparto dell’onere della prova, esclude che sia stata offerta in giudizio una prova adeguata della domanda proposta dal lavoratore.

Tale valutazione rinviene il suo ubi consistam nella carenza delle allegazioni, nella mancata articolazione di istanze istruttorie, civile del 9 novembre 2022.

nell’inattendibilità della documentazione, nelle risultanze dell’accertamento ispettivo.

I documenti, di cui il ricorrente lamenta l’omesso esame, non attengono alla prova rigorosa di un rapporto di lavoro subordinato, atto a conferire titolo alle prestazioni richieste, e non scardinano il coacervo di elementi che la sentenza impugnata ha valorizzato. Anche da questo punto di vista, le censure restano confinate al piano della richiesta di un riesame del merito, in questa sede precluso, tanto più al cospetto di una “doppia conforme”.

15.- Il ricorso, pertanto, dev’essere, nel suo complesso, rigettato.

16.- Nessuna statuizione si deve adottare sulle spese, in quanto l’INPS non ha svolto in questa sede attività difensiva.

17.- Il rigetto del ricorso impone di dare atto (Cass., S.U., 27 novembre 2015, n. 24245) dei presupposti per il pagamento, a carico del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per l’impugnazione, ove sia dovuto (Cass., S.U., 20 febbraio 2020, n. 4315).

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dell’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, ove dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 02 febbraio 2023, n. 3129
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