La mera inerzia del lavoratore ad esercitare un proprio diritto non prova di per sé una volontà abdicativa, dovendo ogni rinuncia essere espressa o ricavarsi da condotte univoche.
Nota a Cass. (ord.) 3 gennaio 2023, n. 91
Fabio Iacobone
La mera inerzia inerzia del lavoratore nel contestare i provvedimenti datoriali e/o nel rivendicare ipotetiche differenze retributive “non è sufficiente a determinare la perdita del diritto in capo al creditore, occorrendo un “quid pluris” che valga ad esprimere una chiara e certa volontà abdicativa”.
Il principio è ribadito dalla Corte di Cassazione (ord. 3 gennaio 2023, n. 91; conf. Cass. n. 19235/2011) la quale precisa che:
a) la mancata iniziativa del lavoratore diretta a sollecitare l’attuazione della clausola di rotazione nel periodo di cassa integrazione guadagni straordinaria non preclude il diritto del medesimo di far valere la responsabilità risarcitoria del datore di lavoro per l’inadempimento della clausola in questione. In altri termini, ad eccezione dei casi “in cui gravi sul creditore l’onere di rendere una dichiarazione volta a far salvo il suo diritto di credito, il silenzio o l’inerzia non possono essere interpretati quale manifestazione tacita della volontà di rinunciare al diritto di credito, la quale non può mai essere oggetto di presunzioni”;
b) la rinuncia ad un diritto oltre che espressa può essere tacita potendosi desumere da un comportamento concludente del titolare che riveli in modo univoco la sua effettiva e definitiva volontà abdicativa. In tal caso è necessario che la volontà dismissiva “si desuma non dalla semplice mancata richiesta dell’emolumento, quali che ne siano le motivazioni, ma da circostanze esteriori che conferiscano un preciso significato negoziale al contegno tenuto” (così Cass. n. 3657/2020).