Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 gennaio 2023, n. 2520

Lavoro, Contestazione disciplinare, Stress lavorativo, Repressione di condotte anti-sindacali, Attività di sindacalista del lavoratore, Limiti di continenza stabiliti per l’esercizio lecito del diritto di critica del lavoratore nei confronti del datore, Rigetto

 

Rilevato che

 

1. la Corte d’Appello di Milano, in riforma della sentenza del locale Tribunale, ha annullato la sanzione disciplinare (otto giorni di sospensione) irrogata dal datore di lavoro S. S.P.A. con lettera dell’8/9/2016, al dipendente G.D.M. (membro RSU SLC COBAS), a seguito di contestazione disciplinare, per avere inviato il 14/7/2016 ad alcuni colleghi e rappresentanti sindacali aziendali una e-mail avente ad oggetto “Morte del collega V.R.”, ritenuta dalla società costituente grave strumentalizzazione di un tragico evento al fine di contestare l’azienda ed i suoi colleghi della RSU per avere raggiunto un accordo di chiusura della procedura di mobilità, che egli invece aveva rifiutato di sottoscrivere;

2. la Corte di merito, in particolare, ricostruita la vicenda del suicidio di V.R. e del ritrovamento di una bozza di e-mail del medesimo, intestata “C. S.”, che collegava la tragica decisione a situazione di stress lavorativo, ricordato il contesto dei commenti in sede sindacale su tale vicenda e della comunicazione alla direzione aziendale da parte di altri rappresentanti sindacali, sentitisi offesi dalla e-mail di G.D.M. nella parte in cui dichiarava che, a suo avviso, si trattava “di una morte conseguente/istigata da una precisa azione (la mobilità) di S. e dei delegati RSU che con la loro firma hanno acconsentito che ciò avvenisse”, ha giudicato l’iniziativa da ricondurre nell’alveo della dialettica sindacale e del diritto di critica, richiamando altra sentenza dello stesso ufficio in procedura ex art. 28 Stat. Lav. relativa alla medesima vicenda; ha ritenuto che i reali destinatari delle espressioni fossero i colleghi sindacalisti (così non ravvisando un intento direttamente lesivo della reputazione della società); ha qualificato la sanzione disciplinare “illegittima, perché il potere disciplinare del datore di lavoro non può esplicarsi in relazione a comportamenti estranei al rapporto di lavoro ed attinenti all’esercizio del diritto alla libertà sindacale, costituzionalmente garantito”;

3. avverso la predetta sentenza la società propone ricorso per cassazione con quattro motivi, illustrati da successiva memoria; resiste il lavoratore con controricorso e successiva memoria illustrativa;

 

Considerato che

 

1. con il primo motivo, parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 118 disp. att. c.p.c. e comunque nullità della sentenza (art. 360, n. 3 e 4, c.p.c.), per avere il giudice di merito motivato per relationem richiamando una decisione – la n. 1632/2018 – che non contiene né i principi, né le argomentazioni che le vengono attribuite dalla sentenza qui impugnata;

2. il motivo è inammissibile, trattandosi all’evidenza di un banale refuso (n. 1632 anziché 1642) nell’indicazione di un precedente (tra l’altro riguardante la medesima società), che non comporta alcuna lesione del diritto di difesa né nullità procedurale di sorta, anche perché i brani pertinenti della motivazione del precedente sono stati riportati per esteso nella motivazione della sentenza qui impugnata;

3. con il secondo motivo, deduce omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, n. 5, c.p.c.), per avere il giudice di merito omesso di esaminare il fatto storico dell’autorizzazione da parte del signor D.M. alla divulgazione ed inoltro della mail del 14/7/2016 all’esterno dei destinatari iniziali ed in particolare proprio alla direzione del personale;

4. il motivo è infondato, perché l’esame del fatto storico dedotto non è stato omesso dalla Corte, ma espressamente analizzato e valutato nei seguenti termini (pag. 7 della sentenza impugnata): “Il Collegio rileva ulteriormente che l’espressione “gira pure a chi ti pare” rivolta dal D.M. al suo interlocutore, oltre ad essere estremamente generica ed evidentemente dettata solo da un impulso polemico, non è idonea a mutare la natura della comunicazione in esame e quindi può solo essere idonea a giustificarne l’avvenuta trasmissione all’azienda, ma senza ulteriori implicazioni”;

5. con il terzo motivo, parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e comunque la nullità della sentenza (art. 360, n. 3 e 4, c.p.c.) per avere il giudice di merito fatto ricorso alla propria scienza, utilizzato prove non dedotte e disatteso delle prove legali valutandole secondo il proprio apprezzamento;

6. il motivo è in parte inammissibile; la valutazione delle prove è esattamente il compito del giudice del merito, e, per giurisprudenza pacifica di questa Corte, la valutazione delle risultanze delle prove e la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti (Cass. n. 31273/2019; n. 16467/2017); il motivo è anche infondato nella parte in cui si assume che la Corte avrebbe fatto ricorso alla sua scienza privata, dal momento che l’aver rilevato un intento polemico nella mail in contestazione è all’evidenza frutto di attività valutativa, non già il risultato della individuazione di una fonte di prova non offerta dalle parti;

7. con il quarto motivo, viene dedotta violazione e falsa applicazione degli artt. 2, 21, 39 Cost., anche avuto riguardo agli artt. 2104, 2105, 2043 c.c., 46 CCNL, per avere il giudice di merito ritenuto il carattere sindacale, e nei limiti della continenza sostanziale e formale, della mail del signor D.M. 14/7/2016;

8. il motivo è in parte infondato ed in parte inammissibile;

9. è infondato nella misura in cui censura la valutazione della Corte di merito, che la condotta contestata rientrava in una pura dinamica (quantunque aspra) sindacale, segnatamente tra rappresentanti sindacali con diverse valutazioni (tutte astrattamente legittime) in merito alla decisione di sottoscrivere o meno un accordo in materia di mobilità; questione estranea alla reputazione dell’azienda e tanto più estranea all’esercizio di un suo intervento disciplinare all’interno di tale dialettica sindacale;

10. in proposito, vanno ribaditi i principi, espressi da questa Corte in materia di repressione di condotte anti-sindacali (Cass. n. 2375/2015), ma valevoli, per identità di ratio, anche nella presente fattispecie di sanzione disciplinare collegata ad attività sindacale, in base ai quali, intendendosi per conflitto collettivo non solo quello, tradizionale, tra capitale e lavoro, ma anche quello fra organizzazioni rappresentative, secondo opzioni e visioni differenti, degli interessi dei lavoratori, rispetto a quest’ultimo conflitto, il datore di lavoro è tenuto a conservare un atteggiamento di neutralità (non limitato al mero rispetto dell’art. 17 Stat. lav.), salvi solo gli eventuali interventi necessari per proteggere l’incolumità delle persone o l’integrità dell’azienda, sicché, sebbene possa anche, in singole occasioni, schierarsi a favore di una organizzazione sindacale e contro un’altra, resta a lui precluso il ricorso ai poteri disciplinari e gerarchico-direttivi, che sono attribuiti ai soli fini del governo delle esigenze produttive dell’azienda (v. anche Cass. n. 18176/2018, per l’affermazione che il lavoratore che sia anche rappresentante sindacale se, quale lavoratore, è soggetto allo stesso vincolo di subordinazione degli altri dipendenti, in relazione all’attività di sindacalista si pone su un piano paritetico con il datore di lavoro, con esclusione di qualsiasi vincolo di subordinazione, giacché detta attività, espressione di una libertà costituzionalmente garantita dall’art. 39 Cost., in quanto diretta alla tutela degli interessi collettivi dei lavoratori nei confronti di quelli contrapposti del datore di lavoro, non può essere subordinata alla volontà di quest’ultimo);

11. è inammissibile nella misura in cui viene censurato l’apprezzamento in ordine al superamento o meno dei limiti di continenza stabiliti per l’esercizio lecito del diritto di critica del lavoratore nei confronti del datore, che costituisce una valutazione rimessa al giudice di merito (Cass. n. 996/2017; n. 1379/2019), ove sorretta, come nel caso di specie, da motivazione congrua e priva di omissioni;

12. il ricorso deve pertanto essere respinto;

13. la regolazione delle spese del presente grado di giudizio segue il criterio della soccombenza, con liquidazione come da dispositivo;

14. al rigetto dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali;

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso.

Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio, che liquida in € 5.000 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 27 gennaio 2023, n. 2520
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: