Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 febbraio 2023, n. 3694

Lavoro, Infortunio mortale sul lavoro, Conseguenze risarcitorie, Erogazione in favore dei superstiti delle prestazioni di legge da parte di INAIL e INPS e di somme a titolo di acconto, Criterio della comparazione tra poste omogenee, Danno cd. differenziale, Accoglimento

 

Rilevato che

 

1. la Corte d’Appello di Perugia, per quanto in questa sede rileva, in parziale riforma di sentenza del locale Tribunale, ha respinto le domande di A.R.C. nei confronti di E. s.r.l. e di M.G., così riformando la statuizione di condanna delle controparti al risarcimento del danno non patrimoniale (quantificato in primo grado nella misura di € 245.000);

2. come illustrato nella sentenza gravata, che ha confermato nel resto la sentenza di primo grado, la controversia riguarda le conseguenze risarcitorie (cd. quantum) dell’infortunio mortale sul lavoro occorso il 12/10/2005 ad E.M., dipendente di E., morto due giorni dopo l’infortunio in conseguenza di esso all’età di 48 anni, in relazione al quale sono state accertate responsabilità penali e sono state erogate in favore dei superstiti le prestazioni di legge da parte di INAIL e INPS, nonché somme a titolo di acconto;

3. in particolare, la Corte di merito ha ritenuto che il valore delle prestazioni erogate o che saranno erogate alla vedova da parte dell’INAIL fosse, in concreto, superiore al valore complessivo del danno patrimoniale e non patrimoniale da lei subito in conseguenza dell’infortunio; ha risolto il problema di interpretazione dell’art. 10, commi 6 e 7, d.P.R. n. 1124/1965 (riguardante il divieto di cumulo tra risarcimento ed indennità), consistente nello stabilire se la detrazione debba avvenire solo nell’ambito di poste omogenee o se debba tener conto di tutte le somme erogate dall’Istituto assicuratore, nel senso che ai fini del calcolo del danno differenziale devono essere conteggiati tanto il danno patrimoniale che quello non patrimoniale; ha altresì ritenuto non accoglibile la domanda di modifica di imputazione delle somme versate alla vedova, non avendovi le parti appellanti (la società datrice di lavoro e M.G.) interesse, in quanto, qualora la ripartizione interna degli acconti abbia danneggiato taluno degli aventi diritto, sarà questi ad avere interesse ad avanzare le relative doglianze;

4. avverso la predetta sentenza propongono ricorso per cassazione gli eredi, affidato a 2 motivi; resistono con controricorso le controparti; le parti hanno comunicato memorie;

 

Considerato che

 

1. con il primo motivo, la sola vedova deduce violazione degli artt. 1223, 2087, 2059 c.c., 10 e 85 d.P.R. n. 1124/1965, 13 d.lgs. n. 38/2000 (art. 360, n. 3, c.p.c.); contesta l’operato scomputo dell’erogazione dell’istituto assicuratore per poste non omogenee;

evidenzia la necessità di liquidare separatamente i pregiudizi patrimoniali e non patrimoniali, e l’autonomia del danno da perdita parentale;

2. il motivo è fondato per quanto di ragione;

3. questa Corte ha, infatti, chiarito che in materia va applicato (a differenza dell’opzione interpretativa seguita dalla Corte di merito) il criterio della comparazione tra poste omogenee;

4. è stato affermato che, in tema di danno cd. differenziale, la diversità strutturale e funzionale tra l’erogazione INAIL ex art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000 ed il risarcimento del danno secondo i criteri civilistici non consente di ritenere che le somme versate dall’istituto assicuratore possano considerarsi integralmente satisfattive del pregiudizio subito dal soggetto infortunato o ammalato, con la conseguenza che il giudice di merito, dopo aver liquidato il danno civilistico, deve procedere alla comparazione di tale danno con l’indennizzo erogato dall’INAIL secondo il criterio delle poste omogenee, tenendo presente che detto indennizzo ristora unicamente il danno biologico permanente e non gli altri pregiudizi che compongono la nozione pur unitaria di danno non patrimoniale; pertanto, occorre dapprima distinguere il danno non patrimoniale dal danno patrimoniale, comparando quest’ultimo alla quota INAIL rapportata alla retribuzione e alla capacità lavorativa specifica dell’assicurato; successivamente, con riferimento al danno non patrimoniale, dall’importo liquidato a titolo di danno civilistico vanno espunte le voci escluse dalla copertura assicurativa (danno morale e danno biologico temporaneo) per poi detrarre dall’importo così ricavato il valore capitale della sola quota della rendita INAIL destinata a ristorare il danno biologico permanente (Cass. n. 9112/2019); ciò in linea con la ricostruzione costituzionalmente orientata del sistema in termini coerenti con la struttura bipolare del danno-conseguenza, operando un computo per poste omogenee, sicché, dall’ammontare complessivo del danno biologico, va detratto non già il valore capitale dell’intera rendita costituita dall’INAIL, ma solo il valore capitale della quota di essa destinata a ristorare, in forza dell’art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000, il danno biologico stesso, con esclusione, invece, della quota rapportata alla retribuzione ed alla capacità lavorativa specifica dell’assicurato, volta all’indennizzo del danno patrimoniale (Cass. n. 20807/2016; cfr. anche, Cass. n. 13819/2017 nonché, in comparazione con il sistema previgente all’ambito temporale di applicazione dell’art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000, Cass. n. 777/2015, n. 4025/2016, e, in riferimento alle modifiche introdotte dalla legge n. 145/2018, Cass. n. 8580/2019); ed in coerenza con il principio per cui, in tema di responsabilità civile del datore di lavoro, la liquidazione del danno alla salute conseguente ad infortunio sul lavoro o a malattia professionale va effettuata secondo i criteri civilistici e non sulla base delle tabelle di cui al d.m. del 12 luglio 2000, deputate alla liquidazione dell’indennizzo INAIL ex art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000, in ragione della differenza strutturale e funzionale tra tale indennizzo e il risarcimento del danno civilistico, salvo, poi, detrarre d’ufficio quanto indennizzabile dall’INAIL, anche indipendentemente dalla effettiva erogazione (Cass. n. 22021/2022);

5. con il secondo motivo la vedova e gli altri superstiti (i figli in proprio e quali eredi della nonna M.B., il fratello e le due sorelle in proprio e quali eredi della madre del lavoratore deceduto M.B.) deducono violazione degli artt. 1223, 2087, 2059 c.c., 10 e 85 d.P.R. n. 1124/1965 (art. 360, n. 3, c.p.c.), censurando la statuizione della Corte territoriale relativa al rigetto della domanda delle controparti di imputare diversamente la somma percepita in acconto dalla vedova;

6. il motivo è inammissibile per difetto di interesse ad agire, difettando una situazione processuale di soccombenza legittimante l’impugnazione (si trattava di domanda delle controparti, respinta dalla Corte di merito);

7. in conclusione, va accolto il primo motivo del ricorso principale, inammissibile il primo; la sentenza impugnata deve essere, quindi, cassata con rinvio, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, alla Corte di Appello di Perugia in diversa composizione per l’ulteriore esame della domanda di A.R.C. oggetto del presente ricorso, attendendosi ai principi sopra affermati, con applicazione alla fattispecie, tenuto conto della posizione di erede e di superstite, del criterio di liquidazione per poste omogenee, ed esclusa qualsiasi rilevanza in materia alla pensione INPS, basata su presupposti e con scopi diversi;

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo di ricorso, inammissibile il secondo.

Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Perugia in diversa composizione, anche per le spese.

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