Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 febbraio 2023, n. 3700

Lavoro, Adibizione a mansioni inferiori, Azione risarcitoria per il danno da demansionamento,  Danno non patrimoniale alla immagine professionale ed alla dignità dei lavoratori, Prova per presunzioni, Rigetto

 

Rilevato che

 

1. con sentenza n. 417/2016 del 10 gennaio 2017 la Corte d’appello di Cagliari confermava la pronuncia del locale Tribunale che aveva accolto il ricorso proposto da M.G.B. e dagli altri litisconsorti indicati in epigrafe, collaboratori sanitari cat. D, dipendenti dell’Azienda Ospedaliera B. ed assegnati alla struttura complessa di Cardiochirurgia, inteso ad ottenere l’accertamento dell’inadempimento da parte dell’azienda in relazione alla assegnazione degli stessi a svolgere in via esclusiva tutte le mansioni del personale subalterno di categoria A e B (in sintesi, mansioni di natura alberghiera e quelle concernenti gli interventi di natura igienico-sanitaria);

2. i lavoratori avevano dedotto che la lamentata adibizione a mansioni inferiori aveva comportato l’impossibilità di svolgere talune proprie mansioni infermieristiche (assistenza psicologica e relazionale al paziente, attività di studio, ricercar e formazione, attività di gestione e pianificazione degli interventi di natura sanitaria, educazione sanitaria) con conseguente danno alla professionalità;

inoltre, per effetto delle condizioni di lavoro stressanti, mortificanti e irrispettose delle norme sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, la figura dell’infermiere, legislativamente e contrattualmente valorizzata come “professionista dell’assistenza”, autonomo e responsabile, era stata, nel loro caso, di fatto, degradata dall’azienda datrice di lavoro in quella di “tuttofare”;

avevano, perciò, avviato nel 2006 azione risarcitoria per il danno da demansionamento ed erano addivenuti alla sottoscrizione di un verbale di conciliazione il 1° marzo 2007 in base al quale l’Azienda si era impegnata ad assumere un ausiliario e ad assegnare alla struttura complessa di Cardiochirurgia personale con la qualifica di operatore sanitario in numero pari a quello del personale già in servizio inquadrato come ausiliario;

l’Azienda si era resa però inadempiente agli obblighi assunti con il verbale di conciliazione e la situazione di demansionamento era perdurata;

i suddetti lavoratori avevano, quindi, agito per ottenere la risoluzione per inadempimento del verbale di conciliazione e l’accertamento dell’illegittimità del comportamento datoriale che aveva impedito ovvero limitato lo svolgimento di mansioni di competenza del personale infermieristico imponendo anche di sopportare carichi di Lavoro eccessivi e dannosi per la loro integrità psico-fisica;

3. il Tribunale aveva accolto la domanda, dichiarato risolto l’accordo transattivo, condannato l’Azienda ad astenersi dall’adibire i ricorrenti alle mansioni proprie delle categorie inferiori A e B ed al risarcimento del danno (come da quantificazioni operate in sentenza per ciascuno dei ricorrenti);

4. la Corte territoriale, pronunciando sull’impugnazione dell’Azienda, confermava l’indicata pronuncia;

respingeva le censure afferenti al ritenuto demansionamento rilevando le differenti mansioni alle quali sono tenuto gli infermieri professionali, gli ausiliari, gli operatori tecnici addetti all’assistenza (O.T.A.) e gli operatori sanitari (O.S.S.) come risultanti dai rispettivi profili contrattuali;

evidenziava che dalla prova testimoniale svolta era emersa la costante adibizione dei ricorrenti a mansioni (inferiori) di assistenza di base quali le incombenze alberghiere, igieniche, di trasporto, di accompagnamento e di mobilizzazione estranee alla categoria del proprio profilo e rientranti nella declaratoria degli ausiliari, degli O.T.A. e degli O.S.S.; rilevava che, di fatto, i ricorrenti avevano svolto un ruolo di sostituzione, sia pure parziale, del personale di support di categoria A e B e che tale sostituzione non era stata occasionale ma costante e indispensabile al funzionamento del reparto;

riteneva accertato il demansionamento;

evidenziava che i ricorrenti avevano allegato significativi elementi ai fini della sussistenza del danno non patrimoniale così da consentire un accertamento presuntivo del danno all’immagine ed alla dignità professionale;

disattendeva, infine, la censura relativa alla liquidazione equitativa del danno;

5. avverso tale statuizione ha proposto ricorso l’Azienda Ospedaliera B. con cinque motivi;

6. i lavoratori hanno resistito con controricorso;

7. entrambe le parti hanno depositato memorie.

 

Considerato che

 

1. con il primo motivo l’Azienda denuncia violazione o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., dell’art. 2103 cod. civ. anche alla luce dell’art. 115, comma 1, cod. proc. civ. e dell’art. 112 cod. proc. civ.;

espone non essere dubbio che l’attività prevalente assegnata agli infermieri fosse quella tipica del loro profilo e che gli originari ricorrenti non avevano mai dedotto che la datrice di lavoro li avesse assegnati a svolgere le mansioni del personale di supporto delle categorie A e B in via prevalente; essi avevano, piuttosto, lamentato che l’assegnazione accessoria alle mansioni di natura alberghiera li distogliesse dallo svolgimento delle mansioni infermieristiche di maggior pregio (assistenza psicologica e relazionale ai pazienti) e pregiudicasse la loro immagine professionale;

addebita alla Corte territoriale di avere contraddetto quanto risultava dall’attività istruttoria e di avere inserito nel thema decidendum eccezioni mai svolte dalle controparti, in violazione degli articoli 112 e 115 cod. proc. civ.;

evidenzia che gli stessi lavoratori avevano dedotto che le mansioni sostitutive alberghiere rappresentavano una prestazione accessoria ed aggiuntiva rispetto a quelle infermieristiche ed avevano determinato un surplus di lavoro tale da comportare anche stress psicofisico e conseguenze dannose per la salute;

assume essere pacifico che l’Azienda aveva rilevanti difficoltà derivanti dalla carenza di personale sicché era legittimo che in alcune occasioni gli infermieri avessero offerto al paziente una tipologia di assistenza infermieristica tale da sconfinare nelle mansioni affidate agli operatori socio-sanitari, al fine di tutelare la salute e le esigenze del personale ricoverato;

2. il motivo è infondato (si vedano i precedenti di questa Corte – Cass. 11 luglio 2022, nn. 21924 e 21942 – resi in vicenda assolutamente analoga e sovrapponibili quanto al percorso argomentativo delle sentenze hic et inde impugnate ed alle doglianze mosse dalla stessa Azienda Ospedaliera in questo e negli ulteriori motivi di ricorso);

è pacifico, infatti, che gli originari ricorrenti avevano agito denunciando l’avvenuto demansionamento sicché l’assegnazione in misura prevalente delle mansioni inferiori era un necessario presupposto della domanda;

dalla trascrizione della sentenza del Tribunale, contenuta alle pagine 34 e ss. dell’odierno ricorso, risulta, del resto, che i ricorrenti avevano esposto «di essere adibiti (a causa della carenza del personale di supporto), dal gennaio 1999, in via esclusiva a mansioni proprie del personale di categoria B/BS (OTA/OSS) e parzialmente ma significativamente allo svolgimento di mansioni di natura alberghiera di competenza del personale di categoria A…»;

alcun vizio di ultrapetizione o di violazione del principio di non contestazione è dunque addebitabile al giudice dell’appello;

la deduzione della violazione dell’art. 2103 cod. civ. (rectius: articolo 52 d.lgs. n. 165/2001) resta slegata dalle statuizioni della sentenza impugnata e, comunque, non si confronta con l’accertamento di fatto, compiuto dal giudice del merito, del carattere sistematico – e non già occasionale – della assegnazione delle mansioni dei livelli inferiori;

3. con il secondo motivo l’Azienda denuncia violazione o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., dell’art. 1 del Decreto 14 settembre 1994, n. 739 del Ministero della Sanità (adottato ai sensi dell’art. 6, comma 3, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 502), nonché dell’art. 1 della Legge 26 febbraio 1999, n. 42 ed ancora dell’art. 1 della Legge 10 agosto 2000, n. 251 e del conseguente Codice deontologico dell’Infermiere, approvato dal Comitato centrale della Federazione Nazionale Collegi infermieri con deliberazione n.1/09 del 10 gennaio 2009 e dal Consiglio nazionale dei Collegi Ipasvi nella seduta del 17 gennaio 2009 nonché del CCNL per le lavoratrici e i lavoratori del comparto del servizio sanitario nazionale, art. 19 (del CCNL del 7 aprile 1999) e allegato 1 (CCNL del 7 aprile 2009, come modificato dall’allegato 1 CCNL integrativo 20 settembre 2001 e dall’allegato 1 CCNL 19 aprile 2004);

si imputa alla sentenza impugnata di avere operato una ricostruzione della figura dell’infermiere professionale difforme dalle previsioni della legge e della contrattazione collettiva, a tenore delle quali tale figura opera al fine di fornire una generale cura al paziente, coordinando il personale di supporto, vigilando sul suo operato, collaborando con il medesimo al fine di apprestare un corretto intervento sulla persona del paziente;

si assume essere propria del profilo dell’infermiere professionale l’assistenza ai degenti inabili per una mobilizzazione corretta e l’intervento in caso di carenze dell’organico del personale di supporto;

4. il motivo è inammissibile;

da un canto esso deduce la violazione di delibere (la delibera del Comitato centrale della Federazione Nazionale Collegi Infermieri e del Consiglio Nazionale dei Collegi Ipasvi) che non hanno natura regolamentare e rispetto alle quali non può essere proposta denuncia ex art. 360, n. 3, cod. proc. civ.;

nel resto, la censura non si confronta con i contenuti della sentenza impugnata, che ha riconosciuto essere compito dell’infermiere professionale la mobilizzazione di degenti con specifiche esigenze cliniche e non ha negato i compiti di collaborazione del personale infermieristico con il personale ausiliario; tuttavia ha accertato che nella specie fosse stato superato il limite della prestazione esigibile (si veda a pagina 12 della sentenza, capoverso tre: «Dal quadro probatorio evidenziato, emerge che il ricorso agli infermieri professionali non fosse limitato, come dedotto dall’appellante, a rari casi, coincidenti con particolari esigenze cliniche, ma fosse, invece, costante ed imprescindibile…»);

5. con il terzo motivo l’Azienda denuncia violazione o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., dell’art. 2059 cod. civ. nonché dell’art. 2727 cod. civ., anche alla luce dell’art. 115, comma 1, cod. proc. civ.;

oggetto di censura è l’accertamento del danno in base alla prova per presunzioni;

si deduce che la Corte territoriale avrebbe riconosciuto la sussistenza di un danno non patrimoniale all’immagine professionale dei lavoratori in assenza di elementi atti a dimostrarlo;

6. il motivo è infondato;

la Corte di merito ha accertato il verificarsi del danno non patrimoniale alla immagine professionale ed alla dignità dei lavoratori attraverso la prova per presunzioni, fondata su elementi del tutto concludenti rispetti al fatto da accertare, quali le circostanze concrete della dequalificazione, foriera di uno stato di mortificazione del lavoratore;

nel resto, le conclusioni raggiunte costituiscono un tipico accertamento di merito;

7. con il quarto motivo l’Azienda denuncia violazione o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., degli artt. 1226 e 2056 cod. civ.;

si assume che la Corte d’appello non avrebbe operato una corretta applicazione del criterio equitativo nel liquidare il danno;

sulla premessa che il giudicante non può limitarsi al riferimento all’equità per giustificare la liquidazione – ma deve dar conto dell’iter logico argomentativo seguìto – l’Azienda ricorrente sostiene che dal contenuto degli atti di parte avversa e dalle risultanze dell’istruttoria non sarebbe emerso alcun elemento idoneo a sorreggere la valutazione equitativa del danno;

8. il motivo è infondato;

in conformità con l’orientamento di questa Corte, l’esercizio, in concreto, del potere discrezionale conferito al giudice di liquidare il danno in via equitativa non è suscettibile di sindacato in sede di legittimità, purché la motivazione della decisione dia adeguatamente conto dell’uso di tale facoltà, indicando il processo logico e valutativo seguito, restando, poi, inteso che al fine di evitare che la relativa decisione si presenti come arbitraria e sottratta ad ogni controllo, occorre che il giudice indichi, anche solo sommariamente e nell’ambito dell’ampio potere discrezionale che gli è proprio, i criteri seguiti, per determinare l’entità del danno e gli elementi su cui ha basato la sua decisione in ordine al quantum, senza però che egli sia tenuto a fornire una dimostrazione minuziosa e particolareggiata di un univoco e necessario rapporto di consequenzialità di ciascuno degli elementi esaminati e l’ammontare del danno liquidato, essendo sufficiente che il suo accertamento sia scaturito da un esame della situazione processuale globalmente considerata (Cass. 13 aprile 2022, n. 120095 e giurisprudenza ivi citata);

nella specie, la Corte di merito, ritenuto provato nell’an il danno all’immagine ed alla dignità professionale, ha fatto correttamente ricorso al criterio equitativo per la sua liquidazione, trattandosi di danno il cui preciso ammontare non è suscettibile di prova ed ha utilizzato un criterio oggettivo, quale è quello della misura percentuale della retribuzione;

9. con il quinto motivo l’Azienda denuncia violazione o falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., dell’art. 1218 cod. civ. in relazione all’art. 2103 cod. civ.;

sostiene la ricorrente che la Corte d’appello abbia erroneamente ritenuto l’Azienda responsabile della presenza nel reparto di un numero insufficiente di unità di personale di supporto alle attività infermieristiche;

deduce che, come allegato nell’atto di gravame, l’Azienda non disponeva di alcuna autonomia nella determinazione dell’organico del personale, rientrante nella potestà della Giunta regionale (LR. Sardegna 28 luglio 2006, n. 10, articoli 12, 13, 16, 18, 26) né nell’effettuare assunzioni, in ragione della legislazione di contenimento della spesa per il personale;

10. il motivo è inammissibile, in quanto la censura mossa non si confronta con la ratio decidendi della sentenza impugnata, che ha dichiarato inammissibile il motivo di appello proposto sul punto dalla Azienda «in quanto privo di specificità e ricalcante pedissequamente il contenuto della memoria difensiva», in assenza di critiche specifiche all’ accertamento compiuto dal Tribunale (pagina 17 della sentenza impugnata).

11. il ricorso deve, quindi, essere complessivamente respinto;

12. le spese di causa, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;

13. occorre dare atto, ai fini e per gli effetti indicati da Cass., S.U., n. 4315/2020, della sussistenza delle condizioni processuali richieste dall’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002.

 

P.Q.M.

 

Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 5.000,00 per compensi professionali oltre accessori di legge e rimborso forfetario in misura del 15%.

Ai sensi del d.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto, per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 07 febbraio 2023, n. 3700
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