Il verbale di conciliazione sottoscritto dal lavoratore per la necessità di mantenere il posto di lavoro è invalido per vizio di volontà. È  pacifico il diritto all’applicazione dell’art. 2112 c.c. nel caso di cessione di attività da una ad altra società, entrambe “in house”.

Nota a Trib. Napoli 30 novembre 2022, n. 6262

Giuseppe Catanzaro

Il Tribunale di Napoli (30 novembre 2022 n. 6262) ha annullato il verbale di conciliazione sottoscritto da una dipendente che, in occasione di una cessione di azienda, era stata costretta a rinunciare a far valere i diritti maturati verso l’azienda cedente nei confronti della cessionaria per ottenere l’assunzione alle dipendenze di quest’ultima, cui aveva comunque diritto ex art. 2112 c.c.

Il Tribunale non condivide l’eccezione di parte datoriale basata sul fatto che tali rinunce siano avvenute nel contesto di una sede protetta ai sensi dell’art. 2113 c.c. (nel caso specifico presso la Direzione Territoriale del Lavoro) in quanto in ogni caso non idonea a sanare le cause di annullabilità del verbale.

Pertanto, considera proseguito alle dipendenze della cessionaria senza soluzione di continuità il rapporto di lavoro della ricorrente. Inoltre dichiara cedente e cessionaria solidalmente responsabili per i crediti retributivi maturati fino alla data di trasferimento dell’azienda.

Ne consegue che:

– nella fattispecie, si è in presenza “di una novazione soggettiva, ossia di un mutamento soggettivo nella titolarità dal lato datoriale del rapporto di lavoro, tra società entrambe in house, espressamente prevista e disciplinata dalla legge e segnatamente alla procedura di mobilità ex art. 1 co. 563 e ss. della legge n. 147/2013”;

– l’art. 62, L. n. 29/1993 estende l’applicazione dell’art. 2112 c.c. anche ai casi di “passaggio dei dipendenti degli enti pubblici e delle aziende municipalizzate o consortili a società private per effetto di norme di legge, di regolamento convenzione che attribuiscono alle stesse società le funzioni esercitate dai citati enti pubblici ed aziende”;

– l’art. 31, D.Lgs. n. 165/2001, prevede che “nel caso di trasferimento o conferimento di attività, svolte da pubbliche amministrazioni, enti pubblici o loro aziende o strutture, ad altri soggetti, pubblici o privati, al personale che passa alle dipendenze di tali soggetti si applica l’articolo 2112 del codice civile e si osservano le procedure ei informazione e di consultazione di cui all’articolo 47, commi da 1 a 4, della legge 29 dicembre 1990, n. 428”.

Il giudice inoltre riporta le condivisibili argomentazioni della Corte territoriale (n. 2688/2021) secondo cui il comportamento datoriale è stato “chiaramente, seppur indirettamente, intimidatorio. In altri termini, è evidente che il consenso alla sottoscrizione del verbale di conciliazione sia stato indotto dal comportamento del futuro datore di lavoro il quale, … sostanzialmente minacciava la non prosecuzione del rapporto di lavoro nel caso in cui la non avesse accettato di essere assunta ex novo con rinuncia alle guarentigie dell’articolo 2112 c.c.”. E non si può dubitare dell’idoneità “di tale minaccia ad indurre alla sottoscrizione della conciliazione dal momento che alla lavoratrice è stata posta l’alternativa tra la perdita definitiva del lavoro (posto che in mancanza dell’accordo non sarebbe stata assunta) e la possibilità di continuare a lavorare anche se in spregio delle tutele apprestate dall’ordinamento in caso di trasferimento dell’azienda”.

Peraltro, “l’oggettiva ingiustizia della minaccia si concretizza nell’inesistenza del potere di procedere all’assunzione o meno, cui è correlato, per contro, il diritto della lavoratrice non tanto ad essere assunta, quanto a proseguire il rapporto di lavoro con la società subentrata nell’affidamento del servizio pubblico. Né è lecito ritenere esclusa la coercizione perché l’effetto della prosecuzione del rapporto sarebbe stato assicurato dalla legge: infatti la minaccia di un male ingiusto presuppone appunto la violazione di una norma di legge che attribuisce un diritto che viene esercitato al di fuori dei limiti consentiti, o che viene negato sebbene in presenza dei presupposti per il suo riconoscimento. L’esigenza di tutela giudiziaria, invocata anche in questa sede, nasce proprio dalla violazione dei diritti e delle garanzie che la legge mira ad assicurare”.

Inoltre, non si può dubitare che la condizione di debolezza contrattuale del lavoratore subordinato lo esponga maggiormente al condizionamento dell’altrui ingiusta coercizione e ciò soprattutto nel momento in cui è in discussione un bene primario della vita, quale il diritto al lavoro, come avviene, appunto, nel caso di specie”.

Conciliazione per non perdere il posto
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