Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 09 febbraio 2023, n. 3971

Lavoro, Contratti di solidarietà c.d. difensivi,  Trattenuta parziale di retribuzione, Ferie maturate durante la vigenza dei contratti di solidarietà difensivi, Integrazione salariale, Riproporzionamento della retribuzione feriale, Inammissibilità

 

Fatti di causa

 

1. Con sentenza n. 1114 pubblicata il 18.2.2020, la Corte di appello di Palermo, confermando la pronuncia del giudice della medesima sede e respingendo l’appello promosso da A.C. s.p.a., ha accolto la domanda di G.B. di accertamento della illegittima trattenuta (parziale) di retribuzione corrisposta dalla società in relazione ai giorni di ferie maturati durante la vigenza di contratti di solidarietà c.d. difensivi (stipulati tra il 2013 e il 2016) ma fruiti dopo la cessazione dell’ammortizzatore sociale.

2. La Corte di appello – premessi cenni di inquadramento normativo sui contratti di solidarietà c.d. difensivi, sia con riguardo al tipo A (che prevede l’integrazione salariale di norma del 60% della retribuzione persa per effetto della riduzione dell’orario di lavoro), stipulato dalla società in prima battuta in quanto appartenente al settore industria, sia al tipo B, del settore terziario (priva di integrazione salariale), nel quale successivamente la società è stata classificata, e sottolineato che, secondo le circolari INPS l’integrazione salariale può riguardare esclusivamente le ferie maturate e usufruite nel corso del decreto di concessione del contratto di solidarietà – ha rilevato che doveva ritenersi pacifico fra le parti il numero di giorni di ferie maturati dal lavoratore durante la vigenza dei contratti di solidarietà, ma che la società non aveva fornito la prova di aver erogato per intero (e non riproporzionati rispetto al ridotto orario di lavoro) gli importi a tale titolo e, comunque, vantando la ripetizione di parte delle somme spettanti a titolo di ferie godute dopo la scadenza del regime di solidarietà, aveva unilateralmente e illegittimamente prorogato gli effetti propri della riduzione oraria in un tempo in cui si erano giuridicamente riespansi nella loro totalità tutti gli obblighi giuridici annessi al contratto di lavoro; ha, infine, sottolineato che – spettando al datore di lavoro la facoltà di stabilire l’epoca di fruizione delle ferie dei dipendenti e dovendo, plausibilmente, ascriversi alla società la scelta di differire il godimento delle ferie oltre la scadenza del regime di solidarietà – la società non aveva titolo ad avvantaggiarsi ulteriormente del riproporzionamento della retribuzione.

3. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso la società sulla base di sei motivi; il lavoratore ha resistito con tempestivo controricorso.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, la violazione falsa applicazione degli artt. 1 e 2 della legge n. 863 del 1984 e 5 della legge n. 236 del 1993 nonché della regolamentazione di cui alle circolari INPS nn. 91 del 1986 e 212 del 1994, avendo, la Corte territoriale, trascurato che durante la vigenza del contratto di solidarietà le ferie maturano in proporzione all’effettivo orario svolto da ciascun dipendente (dunque in misura ridotta), come previsto dai contratti di solidarietà stipulati dalla società (pag. 3 degli Accordi 31/3/2012, 20/5/2014, 8/4/2015, 31/5/2016 e pag. 4 Accordo 18/12/2015), che vi è distinzione tra contratti di solidarietà di tipo A e di tipo B (occupandosi, le circolari INPS, esclusivamente di prevedere un’integrazione salariale delle ferie per la solidarietà di tipo A, senza porre alcun principio in base al quale le ferie fruite successivamente alla scadenza del solidarietà siano interamente a carico del datore di lavoro).

2. Con il secondo motivo di ricorso parte ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, omesso esame o erronea valutazione della documentazione prodotta in giudizio e conseguente difetto di motivazione circa un punto decisivo della controversia, in particolare omesso esame dei docc. da 1 a 6, 12 e 13 allegati alle memorie di costituzione, avendo, la Corte territoriale, trascurato non solo che il pagamento per intero della retribuzione feriale relativa ai periodi di solidarietà non è mai stato oggetto di contestazione da parte del lavoratore (e dunque si trattava di fatto pacifico che non necessitava di ulteriore prova) ma anche che la documentazione richiamata riportava analiticamente il dettaglio delle ferie maturate e non fruite nei periodi di solidarietà con i corrispondenti importi retributivi (rispetto ai quali, con una semplice operazione matematica, si poteva ricavare le somme effettivamente dovute).

3. Con il terzo motivo di ricorso parte ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, la violazione falsa applicazione della normativa in materia di contratti di solidarietà e riproporzionamento della retribuzione feriale durante i relativi periodi, avendo, la Corte territoriale, trascurato che tutti i contratti di solidarietà stipulati dalla società prevedevano esplicitamente che le ferie dovevano essere parametrate in proporzione alle ore effettivamente svolte dal dipendente, così come la relativa remunerazione; nei contratti difensivi di tipo A, i dipendenti ricevono due quote retributive concernenti le ferie, ossia il trattamento economico riproporzionato erogato dal datore di lavoro, e l’integrazione salariale corrisposta dall’INPS (integrazione corrisposta solo se le ferie vengono fruite durante il regime di solidarietà); nei contratti di tipo B, i dipendenti ricevono esclusivamente l’importo, riproporzionato, erogato dal datore di lavoro.

4. Con il quarto motivo di ricorso parte ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, la violazione falsa applicazione dell’art. 2697 cod.civ. circa l’omessa prova della volontà del lavoratore di fruire delle ferie dopo la vigenza del contratto, avendo, la Corte territoriale, trascurato che la società, quanto ai periodi di ferie, si è attenuta ai criteri fissati dal contratto collettivo applicato in azienda, ha sollecitato i dipendenti alla corretta fruizione delle ferie (con espresse comunicazioni che sottolineavano l’inserimento in busta paga di tre distinti contatori riferiti alla maturazione, fruizione e ai residui dell’istituto “ferie cds”), non ha mai ricevuto richieste di fruizione di ferie in periodi diversi da quelli effettivamente goduti dai singoli dipendenti; sicché non può ravvisarsi nessuna violazione dell’art. 36 Cost., essendo state, le ferie, riproporzionate alla quantità e qualità della prestazione resa dai lavoratori, né essendoci alcun obbligo normativo che imponga datore di lavoro il pagamento della quota del trattamento retributivo in eccesso; pertanto, l’unico momento di fruizione delle ferie non poteva essere che il primo momento utile di svolgimento della prestazione lavorativa e nessuno dei dipendenti ha mai richiesto di fruire di ferie in tempi o modi diversi da quelli indicati dalla società (vedi piano ferie invernale e piano ferie estivo).

5. Con il quinto motivo di ricorso parte ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, la violazione falsa applicazione degli artt. 112 cod.proc.civ. e 2697 cod.civ., in quanto la Corte territoriale – pure avendo menzionato il primo motivo di gravame (relativo alla violazione da parte del Tribunale del principio di corrispondenza del chiesto al pronunciato, in ordine all’onere della prova a carico della società di avere i lavoratori prestato un numero di giornate di lavoro inferiori a quelle che generalmente prevedono la garanzia di piena maturazione dei ratei, compresi quelli di ferie, durante i contratti di solidarietà) – ha trascurato che nessuna delle parti abbia mai messo in discussione di aver lavorato per un numero di giornate tale da comportare un ricalcolo (a livello retributivo) delle ferie, anche alla luce degli Accordi di solidarietà intercorsi, dato che, dunque, doveva ritenersi pacifico.

6. Con il sesto motivo di ricorso parte ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, la violazione falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod.proc.civ. e del d.l. n. 132 del 2014, dovendo comportare, la singolarità e complessità della questione trattata, la compensazione delle spese di lite.

7. Il secondo motivo di ricorso, che va prioritariamente valutato in considerazione della motivazione fornita dalla sentenza impugnata in punto di onere probatorio circa il fatto costitutivo della domanda di ripetizione di indebito, è inammissibile.

7.1. Anche volendo prescindere dai pur decisivi profili di difetto di specificità – mancando del tutto la trascrizione (quantomeno) delle parti rilevanti del ricorso introduttivo del giudizio in cui (a parere del ricorrente) la lavoratrice allegava la riscossione dell’intera retribuzione per le ferie maturate durante il regime di solidarietà e fruite successivamente a detto periodo (di cui illegittimamente la società aveva preannunziato la trattenuta) – l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053). È quindi inammissibile l’invocazione del vizio di cui all’art. 360, primo comma, n. 5 cod.proc.civ. per sostenere il mancato esame di deduzioni istruttorie o di documenti, o per lamentarsi di una “motivazione non corretta”. Difetta il presupposto del “fatto storico” dimostrato in giudizio, che la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare e che se valutato avrebbe determinato un diverso esito della lite, risolvendosi la esposizione del motivo nell’inammissibile richiesta di rivalutazione nel merito delle risultanze istruttorie, preclusa dai limiti dell’oggetto del giudizio di legittimità, circoscritto al solo controllo di legalità del provvedimento impugnato che è privo dei caratteri propri di un terzo grado di giudizio diretto al riesame del compendio probatorio in funzione di un nuovo accertamento in fatto della fattispecie controversa.

7.2. La Corte territoriale ha preso in considerazione il fatto costitutivo del diritto alla ripetizione di indebito rilevando – nell’ambito del giudizio di fatto ad essa riservato – che, nel caso di specie, non era stata dimostrata l’erogazione “per intero” delle somme spettanti per le ferie (maturate durante il regime di solidarietà e fruite successivamente); il giudice ha, dunque, esaminato il fatto “storico” e il ricorso si appunta, inammissibilmente, su una diversa valutazione degli elementi istruttori.

7.3. Né può riqualificarsi il motivo di ricorso ritenendo che si intendesse censurare la violazione dell’art. 115 cod.proc.civ. riguardo alla mancata considerazione dei fatti non specificamente contestati quali elementi da porre a fondamento della decisione, in quanto la non contestazione non riguarda i documenti bensì i soli fatti “allegati” che, come detto, non sono stati riportati neppure nei loro tratti rilevanti.

8. Si esaminano, per completezza, anche gli altri motivi di ricorso pur se il rigetto della doglianza di cui al motivo esaminato e relativa ad una delle ragioni su cui si fonda la sentenza impugnata rende inammissibile, per difetto di interesse, l’esame relativo alle altre, pure se tutte tempestivamente sollevate, in quanto il ricorrente non ha più ragione di avanzare censure che investono una ulteriore ratio decidendi, giacché, ancorché esse fossero fondate, non potrebbero produrre in nessun caso l’annullamento della decisione anzidetta (cfr., ex plurimis, Cass. n. 13956 del 2005; Cass. n. 12355 del 2010; Cass. n. 9752 del 2017; da ultimo Cass. n. 27094 del 2021). Ebbene, il primo e il terzo motivo, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono pure inammissibili.

8.1. Al di là del difetto di specificità, in violazione dell’art. 366, primo comma, n. 4 e n. 6 cod.proc.civ. per carenza di trascrizione e di indicazione della produzione, tanto meno specifica, delle circolari Inps (Cass. S.U. 18 marzo 2022, n. 8950; Cass. 19 aprile 2022, n. 12481), non sussistono le violazioni di legge denunciate, in quanto il meccanismo di applicazione dei contratti di solidarietà (in particolare di tipo A, con integrazione salariale percentuale, a differenza di quelli di tipo B, di essa privi) non è stato messo in discussione.

8.2. La decisione della controversia ha avuto, infatti, ad oggetto il trattenimento indebito (come denunciato con azione negativa di accertamento dal lavoratore e ritenuto da entrambe le Corti di merito) da parte della società datrice del pagamento ad orario pieno di una prestazione lavorativa integrale, eccedente rispetto al rateo di ferie maturato in misura ridotta (per effetto del riproporzionamento della retribuzione, e dei relativi istituti contrattuali collegati tra i quali le ferie, all’orario lavorativo inferiore prestato) in costanza di solidarietà, ma fruito dopo la sua cessazione: come rettamente inteso (in particolare, come qui interessa) dalla Corte territoriale e confermato dalla stessa società datrice (in particolare pag. 22-24 del ricorso).

8.3. Le censure, non cogliendo la ratio decidendi della sentenza (di assenza di prova della mancanza di causa della dazione della società agente in ripetizione di indebito, ancorché convenuta in un giudizio di accertamento negativo: dal quart’ultimo capoverso di pag. 6 al terzo di pag. 7 della sentenza) e così non confutandola, risultano pertanto prive del requisito di specificità, prescritto dall’art. 366, primo comma, n. 4 cod.proc.civ., che ne esige, a pena di inammissibilità, l’illustrazione, con esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (Cass. 3 luglio 2008, n. 18202; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; Cass. 23 gennaio 2019, n. 1845; Cass. 18 novembre 2020, n. 26277).

9. Il quarto e il quinto motivo, pure congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono parimenti inammissibili.

9.1. Quanto alla prima censura, al di là della spettanza all’imprenditore, a norma dell’art. 2109 cod.civ., di fissare il periodo di godimento delle ferie da parte dei dipendenti e quindi di modificarlo pur in difetto di fatti sopravvenuti, in base soltanto a una riconsiderazione delle esigenze aziendali, sul presupposto di una sua valutazione comparativa delle diverse esigenze, quale estrinsecazione del generale potere organizzativo e direttivo dell’impresa; al lavoratore competendo soltanto la facoltà di indicare il periodo entro il quale intenda fruire del riposo annuale (da ultimo: Cass. 19 agosto 2022, n. 24977, in motivazione sub p.to 11), la circostanza dell’omessa prova della volontà del lavoratore di fruire delle ferie dopo la vigenza del contratto di solidarietà è irrilevante. La società datrice non ha, infatti, assolto all’onere probatorio, indiscutibilmente a suo carico, in ordine alla ripetizione di indebito (sub specie di trattenuta sulla busta paga dei ratei di ferie in questione asseriti retribuiti in eccesso), essendo detta circostanza relativa ad argomentazione completiva della Corte territoriale (“D’altra parte … ”: dal penultimo capoverso di pag. 7 al primo di pag. 8 della sentenza): mero obiter dictum, ininfluente sul dispositivo della decisione (Cass. 18 dicembre 2017, n. 30354; Cass. 11 marzo 2022, n. 7995).

9.2. La seconda censura poi, quand’anche fosse fondata, è priva di decisività, posto che, al di là del numero di giornate lavorate, la Corte territoriale ha ritenuto (oltre all’inconfutata ratio decidendi del difetto di prova dell’indebito pagamento) neppure potere “ritenersi provato che le ferie fruite dai lavoratori fossero state retribuite per intero dall’azienda” (così al quartultimo capoverso di pag. 7 della sentenza).

10. Il sesto motivo di ricorso è inammissibile.

10.1. La liquidazione delle spese processuali rientra nei poteri discrezionali del giudice del merito, potendo essere denunziate in sede di legittimità solo violazioni del criterio della soccombenza o liquidazioni che non rispettino le tariffe professionali, con obbligo, in tal caso, di indicare le singole voci contestate, in modo da consentire il controllo di legittimità senza necessità di ulteriori indagini (Cass. 4 luglio 2011, n. 14542), essendo sindacabile in sede di legittimità nella sola ipotesi in cui il giudice di merito abbia violato il principio della soccombenza ponendo le spese a carico della parte risultata totalmente vittoriosa (Cass. 27 settembre 2002, n. 14023; Cass. 31 agosto 2020, n. 18128).

10.2. Nel caso di specie, il ricorrente ha invocato il criterio del riferimento al caso concreto, della delicatezza e della complessità della questione trattata, profili che involgono una valutazione discrezionale non censurabile in Cassazione.

11. In conclusione, il ricorso è inammissibile; le spese del presente giudizio di legittimità seguono il criterio della soccombenza, in ragione del valore della controversia dichiarato in ricorso.

12. Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R. 115 del 2002.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità pari a euro 200,00 per esborsi ed euro 1.600,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

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