Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 10 febbraio 2023, n. 4134
Lavoro, Qualificazione giuridica del rapporto di lavoro, Lavoro subordinato e a tempo indeterminato celato dietro lo schermo ripetuto di una molteplicità di successivi contratti di collaborazione autonoma, Regime forfettizzato del risarcimento del danno, Rigetto
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 4138 depositata il 13.11.2017, la Corte d’appello di Roma, in riforma della sentenza del Tribunale della medesima sede e in accoglimento del reclamo proposto da S.C., ha dichiarato che tra la predetta e la RAI – (…) s.p.a. (d’ora in avanti, RAI) è intercorso un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dall’1.4.2005 ed ha condannato la società a riammettere in servizio la ricorrente, riconoscendole l’inquadramento corrispondente al 5 livello del c.c.n.l. RAI, e a risarcirle il danno pari alle mensilità di retribuzione maturate dalla data di messa in mora, oltre accessori di legge.
2. La Corte territoriale ha ritenuto che le prove raccolte (documentali e testimoniali) dimostrassero il carattere subordinato del rapporto di lavoro svolto tra le parti e formalmente disciplinato da undici contratti di lavoro autonomo. In particolare, ha escluso l’applicabilità, alla fattispecie in esame, dell’indennità risarcitoria prevista dall’art. 32, comma 5, della legge n. 183 del 2010.
3. Avverso tale sentenza la RAI ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi. La lavoratrice ha resistito con controricorso. La causa, trattata inizialmente all’udienza del 19.6.2019 presso la Sezione Sesta, è stata rimessa in Sezione Quarta per la discussione in pubblica udienza. Parte ricorrente ha proposto istanza al Primo Presidente per l’assegnazione della causa alle Sezioni Unite, istanza che è stata respinta. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., primo comma, nn. 3, 4 e 5, la violazione e falsa applicazione degli artt. 2094, 2222, 1362, 2697 cod.civ., e degli artt. 115, 116, 421 c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e la nullità della sentenza per difetto di motivazione, avendo trascurato, la Corte territoriale, di dare conto delle ragioni per cui abbia ritenuto dimostrati, in base alle risultanze istruttorie, la soggezione della lavoratrice a puntuali e specifiche direttive datoriali (anche durante la cesura tra un contratto e l’altro) e lo svolgimento di un controllo costante e dettagliato sul disimpegno delle mansioni affidate, a fronte dell’assenza di un potere disciplinare dispiegato nei confronti della lavoratrice.
2. Con il secondo motivo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., primo comma, nn. 3 e 4, la violazione e falsa applicazione dell’art. 33 del c.c.n.l. RAI e la nullità della sentenza per difetto di motivazione, avendo, la Corte territoriale, riconosciuto la maturazione degli scatti di anzianità anche per i periodi non lavorati, intercorrenti tra un contratto e l’altro, nonostante l’art. 32 del contratto applicato in azienda ricolleghi tali aumenti all’effettivo svolgimento del rapporto di lavoro.
3. Con il terzo motivo viene dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., primo comma, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 32, comma 5, della legge n. 183 del 2010, sul rilievo che tale previsione, relativa alla forfettizzazione del danno, debba essere applicata anche ai casi di qualificazione del rapporto di lavoro autonomo come subordinato.
4. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
4.1. La qualificazione giuridica del rapporto di lavoro è censurabile in sede di legittimità soltanto limitatamente alla scelta dei parametri normativi di individuazione della natura subordinata o autonoma del rapporto, mentre l’accertamento degli elementi, che rivelino l’effettiva presenza del parametro stesso nel caso concreto attraverso la valutazione delle risultanze processuali e che sono idonei a ricondurre le prestazioni ad uno dei modelli, costituisce apprezzamento di fatto che, se immune da vizi giuridici e adeguatamente motivato, resta insindacabile in Cassazione (Cass. n. 14160 del 2014; Cass. n. 16038 del 2013; Cass. n. 3010 del 2012; Cass. n. 12984 del 2006).
4.2. A seguito della modifica del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ. (disposta dall’art. 54, comma 1, lett. b) D.LEGGE n. 83/12, convertito in legge n. 134/12, applicabile, in base al comma 3 della medesima norma, alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione, e dunque dall’11/9/2012), è deducibile solo il vizio di omesso esame di un fatto decisivo che sia stato oggetto di discussione tra le parti; il controllo della motivazione è, così, ora confinato sub specie nullitatis, in relazione al n. 4 dell’art. 360 cod. proc. civ. il quale, a sua volta, ricorre solo nel caso di una sostanziale carenza del requisito di cui all’art. 132, n. 4, cod. proc. civ., configurabile solo nel caso di ‘mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico’, di ‘motivazione apparente’, di ‘contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili’ e di ‘motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile’, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di ‘sufficienza’ della motivazione (cfr. Cass., Sez. Un., n. 8053/14).
4.3. Nel caso in esame i fatti controversi da indagare (da non confondersi con la valutazione delle relative prove) sono stati manifestamente presi in esame dalla Corte territoriale; sicché neppure potrebbe trattarsi di omesso esame, ma di accoglimento di una tesi diversa da quella sostenuta dal ricorrente.
4.4. Questa Corte ha, inoltre, da tempo consolidato il principio secondo cui una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non può avere ad oggetto l’erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo il fatto che questi abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti o disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, ovvero abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, o abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (cfr., Cass. S.U. n. 20867 del 2020; nello stesso senso, fra le più recenti, Cass. n. 6774 del 2022, Cass. nn. 1229 del 2019, 4699 e 26769 del 2018, 27000 del 2016), restando conseguentemente escluso che il vizio possa concretarsi nella censura di apprezzamenti di fatto difformi da quelli propugnati da una delle parti (Cass. n. 18665 del 2017) o, in più in generale, nella denuncia di un cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali, non essendo tale vizio inquadrabile nè nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, nè in quello del precedente n. 4, che, per il tramite dell’art. 132 c.p.c., n. 4, attribuisce rilievo unicamente all’anomalia motivazionale che si tramuti in violazione di legge costituzionalmente rilevante (Cass. n. 11892 del 2016).
5. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
5.1. La censura è prospettata con modalità non conformi al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione, secondo cui parte ricorrente avrebbe dovuto trascrivere nel ricorso sia il contenuto (quantomeno i tratti salienti) della perizia svolta dal consulente d’ufficio in ordine alle differenze retributive spettanti alla lavoratrice sia gli articoli del contratto nazionale invocati di cui si lamenta l’erronea interpretazione, fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il reperimento negli atti processuali, potendosi solo così ritenere assolto il duplice onere, rispettivamente previsto a presidio del suddetto principio dagli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod.pro.civ.
6. Il terzo motivo di ricorso non è fondato.
6.1. La censura è infondata per le ragioni già espresse da questa Corte, con orientamento prevalente, e che il Collegio condivide e a cui intende dare continuità. Si è al riguardo affermato che “Il regime indennitario istituito dalla legge n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, non si applica all’ipotesi di conversione in contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato di un contratto di lavoro autonomo a termine dichiarato illegittimo”, ciò sul rilievo che la disciplina dettata dalla citata legge n. 183 del 2010, art. 32, commi 5 e 6, riguarda “i contratti a termine e le altre tipologie contrattuali previste dalla legge n. 183 del 2010, art. 32, commi 3 e 4, tra cui non rientrano i contratti di lavoro autonomo, non potendo neppure invocarsi la disciplina di cui al citato comma 4, lett. d)” (v. Cass. n. 29006 del 2020; v. anche Cass. n. 20209 del 2016). Di analogo tenore le sentenze n. 11424 del 2021 e nn. 6224, 6577, 28825 del 2022 che hanno ribadito l’estraneità, alla disciplina dell’indennità risarcitoria citata legge n. 183 del 2010, ex art. 32 cit., “della fattispecie di un rapporto di lavoro autonomo accertato giudizialmente ab origine come di lavoro subordinato e a tempo indeterminato, celato dietro lo schermo ripetuto di una molteplicità di successivi contratti di collaborazione autonoma”. Si è inoltre sottolineato (v. Cass. n. 35675 del 2021) come tale interpretazione sia la sola coerente col testo dell’art. 32, comma 5 cit., che disciplina le conseguenze risarcitorie “nei casi di conversione del contratto a tempo determinato”, dovendo considerarsi la “conversione” comprensiva degli effetti operanti sul piano oggettivo – conversione del contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato – e sul piano soggettivo – rapporto alle dipendenze dell’utilizzatore e non più del somministratore-(in tal senso, v. Cass. n. 17540 del 2014), all’interno della medesima qualificazione, come subordinato, del rapporto di lavoro.
6.2. L’orientamento innanzi illustrato, da ritenersi ormai consolidato rispetto ad una isolata e risalente pronuncia di questa Corte (Cass. n. 20500 del 2018; diversamente, altre pronunce hanno avuto ad oggetto un contratto a termine di natura subordinata, sub specie di lavoro temporaneo ex legge n. 196 del 1997, Cass. nn. 1148 e 13404 del 2013, Cass. n. 8286 del 2015, Cass. n. 10317 del 2017, e sub specie di lavoro somministrato, Cass. nn. 17540, 18861, 21001 del 2014), si pone nell’alveo dell’interpretazione della disposizione normativa così come fornita dalla Corte Costituzionale (sentenza n. 303 del 2011), la quale – ritenendo legittima la forfetizzazione del danno nei casi di conversione del contratto a tempo determinato – ha escluso la sussistenza di profili di discriminazione tra fattispecie tra loro assimilabili, evidenziando che “il contratto di lavoro subordinato con una clausola viziata (quella, appunto, appositiva del termine) non può essere assimilato ad altre figure illecite come quella, obiettivamente più grave, dell’utilizzazione fraudolenta della collaborazione continuativa e coordinata”; il giudice delle leggi (punto 3.3.3. della sentenza) ha, dunque, tenuto distinte, da una parte, le ipotesi di conversione di un contratto di lavoro subordinato a termine in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e, dall’altra, la costituzione di un rapporto di lavoro subordinato, a tempo indeterminato, a seguito di illegittima stipulazione di contratto di lavoro autonomo, escludendo l’illegittimità costituzionale dell’art. 32, comma 5, della legge n. 183 del 2010 proprio in considerazione della insuscettibilità della omologazione di fattispecie diverse nella previsione legislativa, da circoscriversi all’applicazione ai rapporti di lavoro stipulati, ab origine, come subordinati.
6.2. Infine, non appare incoerente il consolidato orientamento di questa Corte che ritiene applicabile il regime forfettizzato del risarcimento del danno, di cui all’art. 32 citato, ai contratti a progetto ritenuti illegittimi per carenza del progetto ai sensi dell’art. 69, comma 1, del d.lgs. n. 276 del 2003 (Cass. nn. 24100 e 28294 del 2019, Cass. n. 5040 del 2020, Cass. n. 1015 del 2021), trattandosi di fattispecie che, per espressa previsione della disposizione legislativa, sono considerate di natura subordinata “sin dall’origine”.
6.3. In applicazione dei principi innanzi richiamati, risulta estranea al fenomeno di conversione la fattispecie oggetto di causa, in cui si è operata giudizialmente una diversa qualificazione del rapporto di lavoro ab origine, da autonomo a subordinato a tempo indeterminato.
7. In conclusione, il ricorso va rigettato e le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.
8. Sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1- bis dello stesso articolo 13, se dovuto.