Il carattere subordinato di un rapporto di lavoro si evince anzitutto dall’assoggettamento del prestatore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro e, in secondo luogo, da una serie di indici sussidiari.
Nota a Cass. (ord.) 23 gennaio 2023, n. 1095
Kevin Puntillo
In base all’art. 2094 c.c., la soggezione personale del prestatore al potere direttivo, disciplinare e di controllo del datore di lavoro “costituisce elemento essenziale, come tale indefettibile, del rapporto di lavoro subordinato, e criterio discretivo, nel contempo, rispetto a quello di lavoro autonomo”.
Tale soggezione “inerisce alle intrinseche modalità di svolgimento della prestazione lavorativa e non già soltanto al suo risultato” e non rappresenta un “dato di fatto elementare quanto piuttosto una modalità di essere del rapporto potenzialmente desumibile da un complesso di circostanze”.
Pertanto, qualora l’assoggettamento in questione non sia agevolmente apprezzabile, è possibile fare riferimento, ai fini qualificatori, ad altri elementi che rivestono carattere sussidiario e svolgono una funzione “meramente sussidiarai”. Sicché non assumono valore decisivo ai fini della qualificazione giuridica del rapporto, costituendo “indizi idonei ad integrare una prova presuntiva della subordinazione, a condizione che essi siano fatto oggetto di un valutazione complessiva e globale”.
Questi i principi ribaditi dalla Corte di Cassazione (ord. 16 gennaio 2023, n. 1095; conf., fra tante, Cass. n. 24154/2019) la quale specifica che i suddetti elementi “secondari” sono:
a) la continuità della prestazione;
b) il rispetto di un orario predeterminato;
c) il controllo orario e giornaliero della prestazione del collaboratore da parte del committente;
d) la disponibilità ad operare nelle fasce orarie richieste;
e) l’assenza in capo al lavoratore di rischio e di una seppure minima struttura imprenditoriale;
f) la percezione a cadenze fisse di un compenso prestabilito;
g) l’oggetto generico della collaborazione indicato nel contratto.