Con la Risposta n. 50 del 17 gennaio 2023 l’Agenzia delle Entrate si è espressa in merito all’assoggettabilità all’imposizione fiscale italiana di un contribuente che, nel periodo di emergenza Covid, aveva vista limitata la sua libertà di circolazione e di spostamento immediato nel paese estero in cui era residente la società che lo aveva assunto.
AdE Risp. 17 gennaio 2023, n. 50.
Stefano Quaranta
Interessante e attuale è la questione oggetto della Risposta in commento, emessa dall’Agenzia delle Entrate il 17 gennaio scorso, relativa a un interpello in materia di residenza fiscale connessa alle prestazioni di lavoro dipendente svolte, durante l’emergenza Covid, a favore di una società estera, da un soggetto fiscalmente residente in Italia.
Più in dettaglio, l’istante, residente in Italia sino al 2021, nel giugno del 2021 aveva sottoscritto un contratto di lavoro con una società irlandese con la quale aveva concordato, a causa dell’emergenza Covid, l’inizio della sua attività lavorativa in smart working e, poi, la continuazione della stessa in presenza solo a partire dal luglio dello stesso anno.
A trasferimento avvenuto nel mese di luglio 2021, il contribuente ed il suo nucleo familiare presentavano richiesta di iscrizione all’AIRE nel successivo mese di agosto.
Oggetto dell’interpello erano due questioni:
- la prima relativa all’individuazione della residenza fiscale dell’istante;
- la seconda relativa all’applicabilità della normativa di cui all’art. 51, 8 bis, D.P.R. n. 917/1986, riguardante la determinazione del reddito di lavoro dipendente prestato all’estero sulla base delle retribuzioni convenzionali.
L’Agenzia, con riferimento alla prima questione, richiama l’art. 2, co. 2, T.U.I.R., secondo il quale si considerano fiscalmente residenti in Italia i soggetti che per la maggior parte del periodo di imposta (183 giorni, ovvero 184 in caso di anno bisestile) risultano iscritti nell’anagrafe della popolazione residente, ovvero hanno dimora o residenza ai sensi del codice civile nel territorio dello Stato. Alla luce delle citate disposizioni, l’Amministrazione finanziaria ha ritenuto che l’istante fosse da considerare residente fiscalmente in Italia nell’anno 2021, essendo stato egli, come da sua ammissione, iscritto per più di 183 giorni nell’anagrafe italiana.
Non modifica tale conclusione, anzi la rafforza, neppure la vigente convenzione contro le doppie imposizioni (Convenzione Italia-Irlanda in tema di doppie imposizioni, ratificata con L. 9 ottobre 1974, n. 583) e in particolare l’art. 3, par. 1, lett. e) di tale Convenzione ai sensi del quale, qualora una persona fisica risulti fiscalmente residente in Italia secondo la normativa italiana (cfr. art. 2, co. 2, TUIR), tale residenza va comunque esclusa se tale persona non supera complessivamente i 91 giorni di presenza fisica in Italia nell’anno fiscale di riferimento. Orbene, tale circostanza non si è verificata, l’istante è stato residente in Italia per un periodo complessivamente superiore a 91 giorni. Viene chiarito che ai fini della verifica di tali requisiti non assumono rilevanza le limitazioni alla circolazione imposte dall’emergenza COVID-19. Tali norme sono ininfluenti a fini fiscali.
Ne deriva, pertanto, a parere dell’Amministrazione, che il reddito prodotto in Italia nell’anno 2021 per l’attività svolta in smart working debba essere assoggettato ad imposizione esclusiva dell’Italia; mentre, per il reddito prodotto oltremanica dopo il trasferimento in Irlanda, esso dovrà essere assoggettato ad imposizione concorrente in Italia (Stato-residenza) e in Irlanda (Stato-fonte, di svolgimento dell’attività lavorativa).
Quanto al secondo quesito, posto che con il primo è stata ritenuta sussistente la residenza fiscale in Italia, l’Agenzia, richiamando l’art. 51, co. 8-bis, T.U.I.R, esclude che nel caso di specie ne ricorrano le condizioni di applicabilità. In particolare, ai fini dell’applicazione del trattamento previsto dal citato co. 8-bis (ovverosia tassazione sulla base delle più favorevoli retribuzioni cd. convenzionali) manca il requisito del soggiorno nel paese estero per un periodo superiore ai 183 giorni in un arco temporale di 12 mesi ancorché suddivisi in due annualità di imposta. Nel caso di specie, l’istante è stato residente all’estero per meno di 183 giorni essendosi trasferito solo a luglio e avendo perfezionato il trasferimento solo ad agosto.