Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 febbraio 2023, n. 4330
Lavoro, Compensi professionali, Condanna restitutoria delle spese processuali in danno dei difensori distrattari, Ricorso per decreto ingiuntivo su scrittura privata, Opposizione, Rigetto
Fatto
1. Con sentenza 27 settembre 2018, la Corte d’appello di Trento, pronunciando sugli appelli riuniti proposti dallo Studio Legale P.A.P. avverso la sentenza di primo grado (il secondo relativo ad essa così come corretta, con successivo provvedimento del Tribunale, dall’errore materiale della liquidazione delle spese alla società, anziché ai suoi difensori distrattari), ha dichiarato inammissibile l’opposizione proposta da Bianchi s.r.l. al decreto con il quale il primo le aveva ingiunto il pagamento della somma di € 88.883, 83 oltre accessori, a titolo di compensi professionali per prestazioni rese in ambito stragiudiziale e in procedimenti civili e penali e condannato i difensori della società, distrattari delle spese del giudizio di primo grado, alla loro restituzione nella liquidata misura di € 11.877,60: così riformando la sentenza di primo grado, che aveva invece accolto l’opposizione e revocato il decreto ingiuntivo, accertando il complessivo credito dello Studio Legale P. in € 48.190,16 e condannando la società, tenuto conto degli acconti corrisposti, al pagamento, in suo favore, della somma di € 22.406,49 oltre accessori.
2. Preliminarmente disattesa l’eccezione di inammissibilità dell’appello, per la sua ravvisata conformità al paradigma legale, la Corte territoriale ha invece ritenuto inammissibile, per tardività, l’opposizione al decreto ingiuntivo, in quanto notificata (ben oltre il termine di quaranta giorni prescritto dall’art. 641 c.p.c. dalla sua notificazione, avvenuta il 17 dicembre 2014) in data 2 marzo 2015, con ricorso ai sensi dell’art. 702bis c.p.c. depositato il 22 gennaio 2015, non rientrando la controversia nell’ambito previsionale dell’art. 14 d.lgs. 150/2011 riguardante la liquidazione di compensi per prestazioni rese in procedimenti civili, a norma dell’art. 28 l. 794/1942 (per cui è previsto il procedimento sommario di cognizione), ma anche penali e stragiudiziali. Sicché, esso avrebbe dovuto essere impugnato con l’opposizione ai sensi degli artt. 641 e 645 c.p.c.
3. La Corte territoriale ha così ritenuto assorbita ogni altra questione e caducato, per effetto della riforma della sentenza del Tribunale, anche il capo relativo alle spese giudiziali, con l’effetto dell’obbligo (e della relativa condanna) di loro restituzione da parte dei difensori, benché non personalmente convenuti in giudizio, ancorché distrattari e perciò personalmente legittimati.
4. Con atto notificato il 9 novembre 2018, la società ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi, cui ha resistito lo Studio Legale con controricorso e memoria ai sensi dell’art. 380bis1 c.p.c.
5. La causa, inizialmente fissata con rito camerale ai sensi dell’art. 380bis1 c.p.c., a seguito di ordinanza interlocutoria 22 giugno 2022, è stata rimessa, per la rilevanza nomofilattica della questione, alla pubblica udienza, nuovamente fissata per quella odierna.
6. Il P.G. ha rassegnato conclusioni scritte, a norma dell’art. 23, comma 8bis d.l. 137/20 inserito da l. conv. 176/20, nel senso dell’accoglimento del ricorso e lo Studio Legale controricorrente comunicato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
1. In via preliminare, deve essere disattesa l’istanza di parte controricorrente, depositata il 28 aprile 2022, di riassegnazione della controversia ad altra sezione di questa Corte, in quanto estranea alla materia di lavoro.
È nota, infatti, la natura tabellare, meramente interna, della distribuzione delle cause fra le sezioni della Suprema Corte, che si ricollega a criteri di opportunità, che non assurgono a principi di competenza (Cass. 9 luglio 1980, n. 4373); sicché, una volta investita la sezione lavoro della Corte di cassazione dell’esame di un ricorso da devolvere, invece, ad una sezione civile ordinaria della stessa Corte (e viceversa), la necessità di dare applicazione al principio costituzionale sulla “durata ragionevole” del processo, unitamente alla constatazione dell’assoluta ininfluenza della circostanza sul piano delle regole processuali da osservare nel giudizio di legittimità, escludono la necessità di rimettere il ricorso al Primo Presidente della Suprema Corte per una eventuale riassegnazione (Cass. 16 aprile 2013, n. 9148; Cass. 7 agosto 2014, n. 17761).
2. Con il primo motivo, la ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 342, 348 c.p.c., per non avere la Corte territoriale dichiarato inammissibile l’appello proposto dallo Studio Legale avverso la sentenza di primo grado, avendo erroneamente ritenuto individuabili le parti impugnate della sentenza, nonostante la non corrispondenza dell’atto al paradigma legale.
3. Esso è inammissibile.
4. Al di là della non corretta deduzione del mezzo, che avrebbe dovuto essere più propriamente formulato alla stregua di error in procedendo, integrando il vizio denunciato un difetto di attività del giudice di secondo grado, da far valere dal ricorrente, non già come violazione di una norma di diritto sostanziale ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3 c.p.c. o vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., bensì attraverso la specifica deduzione del relativo error in procedendo (Cass. 27 gennaio 2006, n. 1755; Cass. 13 ottobre 2022, n. 29952), esso difetta di specificità, in violazione dell’art. 366, primo comma, n. 4 e n. 6 c.p.c.
4.1. Detto requisito è, infatti, necessario anche per accedere all’esame degli errores in procedendo, dovendo la censura conformarsi alla regola fissata da tale norma anche qualora il giudice di legittimità sia investito del potere di esame diretto degli atti, quale interprete del fatto processuale (Cass. s.u. 22 maggio 2012, n. 8077; Cass. 8 gennaio 2020, n. 134; Cass. 20 agosto 2021, n. 23192).
Nel caso di specie, manca la trascrizione degli atti processuali, in particolare della sentenza di primo grado e dell’atto di appello, sicché a questa Corte è preclusa la verifica in concreto del paradigma delineato dagli artt. 342 e 434 c.p.c. e soprattutto di apprezzare la specificità delle censure (Cass. 29 settembre 2017, n. 22880; Cass. 4 febbraio 2019, n. 3194): se correttamente articolate in modo da contrapporsi (senza necessità di un “progetto alternativo di sentenza”, né di adozione di una determinata forma, tanto meno di trascrizione integrale o parziale della sentenza impugnata: Cass. s.u. 16 novembre 2017, n. 27199; Cass. 30 maggio 2018, n. 13535), in virtù di compiute argomentazioni, alla motivazione della Corte territoriale (che, al di là del rispetto formale del dettato normativo, ha ritenuto chiaramente indicate, e comunque enucleabili, le parti impugnate della sentenza e le relative doglianze:
all’ultimo capoverso di pg. 11 della sentenza), idonee ad incrinarne il fondamento logico-giuridico (Cass. s.u. 9 novembre 2011, n. 23299; Cass. 22 settembre 2015, n. 18704; Cass. 15 giugno 2016, n. 12280).
5. Con il secondo motivo, la ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 288 c.p.c., per inammissibilità dell’appello (nel giudizio rubricato R.G. 179/2017, cui è stato riunito quello rubricato R.G. 238/2017) avverso il procedimento di correzione, in quanto inoppugnabile, anziché avverso la parte corretta della sentenza (relativa al provvedimento di distrazione delle spese processuali in favore dei difensori di controparte).
6. Con il quarto, essa ha dedotto violazione e falsa applicazione dell’art. 273 c.p.c. e nullità della sentenza d’appello, per avere la Corte trentina, dopo l’accertamento di inoppugnabilità del decreto ingiuntivo per tardività dell’opposizione e ritenuta assorbita ogni altra questione, omesso di pronunciarsi sull’inammissibilità dell’appello riunito rubricato a R.G. 238/2017 (relativo alla sentenza del Tribunale, così come dallo stesso corretta con successivo provvedimento dall’errore materiale di liquidazione delle spese alla società, anziché ai suoi difensori distrattari), per l’autonomia dei due giudizi anche dopo il provvedimento di riunione.
7. Essi, congiuntamente esaminabili per ragioni di stretta connessione, sono inammissibile il primo e infondato il secondo.
8. La prima censura difetta del requisito di specificità, in violazione del principio prescritto, a pena di inammissibilità, dall’art. 366, primo comma, n. 4 e n. 6 c.p.c., in assenza anche qui della trascrizione degli atti processuali, in particolare dell’atto di appello, a fondamento del motivo (sia pure interpretato in modo non eccessivamente formalistico, anche alla luce dei principi contenuti nella sentenza CEDU Succi e altri c. Italia del 28 ottobre 2021: Cass. 4 marzo 2022, n. 7186; Cass. s.u. 18 marzo 2022, n. 8950).
8.1. Essa è pure irrilevante, per non avere colto il ragionamento decisorio della Corte d’appello a base della condanna restitutoria delle spese processuali, in danno dei difensori distrattari, avendola essa disposta per l’effetto espansivo interno (art. 336, primo comma c.p.c.) del capo principale (di inammissibilità, per tardività, dell’opposizione al decreto ingiuntivo), di riforma integrale della sentenza di primo grado (così all’ultimo capoverso di pg. 16 della sentenza), sul capo dipendente delle spese giudiziali (Cass. 5 giugno 2007, n. 13059; Cass. 26 settembre 2019, n. 23985). Ad esso a propria volta accede, nel caso di specie, il capo di statuizione relativo al soggetto destinatario della liquidazione (di distrazione delle spese in favore dei difensori anticipatari), distinto da quello di liquidazione delle spese processuali (del quale è titolare, pur in presenza di un provvedimento di distrazione, la parte rappresentata, pertanto legittimata ad impugnare il capo della sentenza di primo grado relativo alle spese: Cass. 30 maggio 2017, n. 13516; Cass. 9 marzo 2021, n. 6481): per l’istituzione fra il difensore con procura della parte vittoriosa e la parte soccombente di un rapporto autonomo rispetto a quello fra i contendenti che, nei limiti della somma liquidata dal giudice, si affianca a quello di prestazione d’opera professionale fra il cliente vittorioso ed il suo procuratore (Cass. 12 novembre 2008, n. 27041; Cass. 21 maggio 2021, n. 14082).
9. La seconda censura scrutinata è invece infondata, pur sull’ovvia premessa che il provvedimento discrezionale di riunione di più cause, e la conseguente congiunta trattazione delle stesse, lascia(no) immutata l’autonomia dei singoli giudizi e non pregiudica(no) la sorte delle singole azioni, di modo che la sentenza che decide simultaneamente le cause riunite, pur essendo formalmente unica, si risolve in
altrettante pronunce quante sono le cause decise (Cass. 10 luglio 2014, n. 15860; Cass. 16 settembre 2022, n. 27295). Sicché, la sentenza, che in sede di impugnazione provveda su una pluralità di rapporti processuali (i quali, ancorché riuniti, conservano autonomia e individualità), è solo formalmente unica, scindendosi in tante pronunce quanti sono i rapporti che definisce: con la conseguenza che il giudice deve decidere su ogni singola impugnazione, senza che la pronuncia sull’una possa influenzare quella sull’altra, sì da potere ritenere l’una assorbita nell’altra, incorrendo altrimenti nel vizio di omessa pronuncia (Cass. 15 maggio 2003, n. 7519; Cass. 17 novembre 2005, n. 23257).
9.1. E tuttavia, in merito ai due giudizi di appello riuniti, la Corte tridentina ha esplicitamente ritenuto assorbita dalla decisione di inammissibilità dell’appello principale ogni altra questione devoluta con entrambi gli appelli (così al terz’ultimo capoverso di pg. 16 della sentenza). E pertanto, nel giudizio di legittimità introdotto a seguito di ricorso per cassazione non possono trovare ingresso, non essendo perciò esaminabili, le questioni sulle quali, per qualunque ragione, il giudice inferiore non si sia pronunciato per averle ritenute assorbite in virtù dell’accoglimento di un’eccezione pregiudiziale: con la conseguenza che, in dipendenza della cassazione della sentenza impugnata per l’accoglimento del motivo attinente alla questione assorbente, l’esame delle ulteriori questioni oggetto di censura va rimesso al giudice di rinvio, salva l’eventuale ricorribilità per cassazione avverso la successiva sentenza che abbia affrontato le suddette questioni precedentemente ritenute superate (Cass. 5 novembre 2014, n. 23558; Cass. 16 giugno 2022, n. 19442).
9. Con il terzo motivo la ricorrente ha dedotto violazione e falsa applicazione del combinato disposto degli artt. 14 d.lgs. 150/2011, 28 legge n. 497/1942, 645 c.p.c., per la compatibilità del processo sommario ai sensi degli artt. 702bis ss. c.p.c. con l’opposizione a decreto ingiuntivo, come espressamente previsto dall’art. 14 d.lgs. 150/2011 ed esattamente ritenuto dal Tribunale, che ha poi disposto la trattazione con rito ordinario, ai sensi dell’art. 702ter c.p.c. e richiamato il modello dell’art. 14 d.lgs. 150/2011 al solo fine della conciliabilità ratione materiae del procedimento sommario di cognizione con quello sommario speciale, ben potendo questo essere adottato non soltanto per la liquidazione dei compensi professionali nei procedimenti civili, ma anche in quelli penali.
10. Esso è infondato.
11. Per un corretto inquadramento della questione, giova premettere che, a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 14 d.lgs. 150/2011, la controversia regolata dall’art. 28 legge n. 794/1942, come sostituito dal d.lgs. cit., può essere introdotta con un ricorso: a) ai sensi dell’art. 702bis c.p.c., che dà luogo ad un procedimento sommario “speciale” disciplinato dagli artt. 3, 4 e 14 del menzionato d.lgs.; oppure: b) ai sensi degli artt. 633 ss. c.p.c., fermo restando che la successiva eventuale opposizione deve essere proposta ai sensi dell’art. 702bis ss. c.p.c. (Cass. 14 maggio 2019, n. 12796, con specifico riferimento, nel caso in cui l’opposizione sia stata proposta con citazione, alla previsione dell’art. 4 d.lgs. 150/2011, di disposizione da parte giudice del mutamento del rito e, in tale evenienza, della produzione degli effetti sostanziali e processuali della domanda secondo le norme del rito seguito prima del mutamento, ferme le decadenze e le preclusioni maturate secondo le norme del rito seguito prima del mutamento), integrato dalla sopraindicata disciplina speciale e con applicazione degli artt. 648, 649, 653 e 654 c.p.c.; essendo, invece, esclusa la possibilità di introdurre l’azione sia con il rito ordinario di cognizione sia con quello del procedimento sommario ordinario codicistico disciplinato in via esclusiva dagli artt. 702bis ss. c.p.c. (Cass. s.u. 23 febbraio 2018, n. 4485, in motivazione sub p.ti 8 e 15).
11.1. Occorre altresì ribadire che il procedimento speciale in questione è applicabile anche quando il cliente sollevi contestazioni relative all’esistenza del rapporto o, in genere, all’an debeatur (Cass. 29 febbraio 2016, n. 4002; Cass. s.u. 23 febbraio 2018, n. 4485, in motivazione sub p.ti 12.2, 12.3) e soltanto qualora il convenuto ampli l’oggetto del giudizio con la proposizione di una domanda (riconvenzionale, di compensazione o di accertamento pregiudiziale) non esorbitante dalla competenza del giudice adito ai sensi dell’art. 14 d.lgs. cit., dovendo la trattazione avvenire, ove si presti ad un’istruttoria sommaria, con il rito sommario congiuntamente a quella proposta ai sensi dell’art. 14 dal professionista e, in caso contrario, con il rito ordinario a cognizione piena (ed eventualmente con un rito speciale a cognizione piena), previa separazione delle domande (Cass. s.u. 23 febbraio 2018, n. 4485, in motivazione sub p.to 13.1).
11.2. Ma occorre altrettanto riaffermare che esso non è tuttavia applicabile, qualora la controversia abbia ad oggetto domande di compenso per attività svolte in giudizi diversi da quelli civili o per attività stragiudiziali non strumentali o complementari ad esse (l’applicabilità del rito sommario alla pretesa relativa al pagamento del dovuto per le sole “prestazioni giudiziali civili senza limitazioni” è pacificamente condivisa ed è stata ribadita anche da Cass. s.u. 23 febbraio 2018, n. 4485, in motivazione sub p.to 12.3), né domande cumulanti prestazioni inerenti giudizi davanti ad uffici diversi (Cass. s.u. 23 febbraio 2018, n. 4485, in motivazione sub p.to 16), per la competenza funzionale, ai sensi dell’art. 14, secondo comma d.lgs. 150/2011 dell’ “ufficio giudiziario di merito adito per il processo nel quale l’avvocato ha prestato la propria attività” (Cass. 11 gennaio 2017, n. 548, con richiamo in motivazione anche di Cass. 29 febbraio 2016, n. 4002).
12. Nel caso di specie, lo Studio Legale P. ha proposto un ordinario ricorso per decreto ingiuntivo, sulla base della scrittura privata 1° agosto 2013 (di definizione e riconoscimento di compensi professionali per assistenza in ambito stragiudiziale, in procedimenti sia civili, sia penali avanti a diversi giudici: così al primo periodo dello “svolgimento del processo” di pg. 7 della sentenza); e pertanto promosso un procedimento in via monitoria, a norma degli artt. 633 ss. c.p.c.
Sicché, è irrilevante che avverso il decreto ingiuntivo, ottenuto nell’ambito del procedimento speciale a norma dell’art. 14 d.lgs. 151/2011 (ndr art. 14 d.lgs. 150/2011) in combinata disposizione con l’art. 28 legge n. 794/1942 (come sostituito dall’art. 34, comma 16, lett. a) d.lgs. cit.), sia prevista la possibilità di opposizione, ai sensi dell’art. 702bis ss. c.p.c., integrato dalla sopraindicata disciplina speciale e con applicazione degli artt. 648, 649, 653 e 654 c.p.c. (Cass. s.u. 23 febbraio 2018, n. 4485, in motivazione, sub p.to 8): posto che si tratta della “controversia di cui all’art. 28 della l. n. 794 del 1942” che “ deve necessariamente introdursi con le due alternative forme da tale norma previste” (Cass. s.u. 23 febbraio 2018, n. 4485, in motivazione, sub p.to 7, in fine).
12.1. Ben si comprende come sia allora irrilevante nell’odierna controversia il principio, secondo cui, nei procedimenti disciplinati dal d.lgs. 150/2011, per i quali la domanda debba essere proposta nelle forme del ricorso e che al contrario siano introdotti con citazione, il giudizio sia correttamente instaurato ove quest’ultima sia notificata tempestivamente, producendo gli effetti sostanziali e processuali che le sono propri, ferme restando decadenze e preclusioni maturate secondo il rito erroneamente prescelto dalla parte; e che tale sanatoria piena si realizzi indipendentemente dalla pronunzia dell’ordinanza di mutamento del rito da parte del giudice, a norma dell’art. 4 d.lgs. cit., la quale opera solo pro futuro, ossia ai fini del rito da seguire all’esito della conversione, senza penalizzanti effetti retroattivi, restando fermi quelli, sostanziali e processuali, riconducibili all’atto introduttivo, sulla scorta della forma da questo in concreto assunta e non di quella che avrebbe dovuto avere: dovendosi così avere riguardo alla data di notifica della citazione, quando la legge prescriva il ricorso o, viceversa, alla data di deposito del ricorso, quando la legge prescriva l’atto di citazione (Cass. s.u. 12 gennaio 2022, n. 758).
12.2. Infatti, nell’odierna controversia non opera, per le ragioni dette, la normativa di mutamento del rito (art. 4 d.lgs. 150/2011), relativa ai giudizi introdotti con forme diverse da quelle ad essi proprie (con riguardo, in particolare per quanto d’interesse, a quelli regolati dal rito sommario di cognizione), in quanto essa è stata introdotta con procedimento monitorio, nel quale l’opposizione costituisce fase eventuale, a cognizione piena, di instaurazione posticipata del contraddittorio, a parti formalmente invertite rispetto alla loro qualità sostanziale (Cass. 5 giugno 2007, n. 13086; Cass. 3 maro 2009, n. 5071): radicandosi la domanda della parte nel ricorso introduttivo e non nell’atto (di citazione) in opposizione (Cass. 9 novembre 2021, n. 32792; Cass. s.u. 13 gennaio 2022, n. 927).
12.3. Né in senso contrario militano le argomentazioni di una recente sentenza che, in riferimento ad un’opposizione a decreto ingiuntivo (ottenuto da un avvocato, a titolo di compensi dovuti per l’assistenza prestata dal professionista in vari giudizi svoltisi dinanzi al giudice amministrativo, nei quali aveva difeso l’opponente) introdotta con atto di citazione, tempestivamente notificato ai sensi dell’art. 641 c.p.c. ma tardivamente depositato, ritenuto ammissibile nonostante la previsione del rito speciale regolato dall’art. 14 d.lgs. 151/2011 (ndr art. 14 d.lgs. 150/2011), in necessitata applicazione di tale principio sulla base del principio dell’apparenza (per avere “il Tribunale … disposto il mutamento del rito, sull’erroneo presupposto della sottoposizione della controversia al rito di cui al menzionato art. 14 … decisa con la forma di ordinanza e dal Tribunale in composizione collegiale”), “sebbene la decisione di trattare la controversia secondo le forme del rito sommario di cui all’art. 14 si riveli erronea, stante la materia trattata in assenza di deduzione dell’errore de quo da parte dei contendenti”, restando “ferma la regola della ricorribilità in Cassazione dell’ordinanza emessa dal Tribunale in composizione collegiale” (Cass. 9 agosto 2022, n. 24481, sub p.ti 4 e 4.1).
13. Chiarita dunque la corretta introduzione del giudizio dallo Studio Legale P., per compensi relativi alla prestazione di attività professionale non soltanto in procedimenti civili connessa o a questi e davanti a giudici diversi, con procedimento monitorio ordinario e non quale modalità alternativa nell’ambito del procedimento sommario speciale, a norma dell’art. 14 d.lgs. 151/2011 (ndr art. 14 d.lgs. 150/2011) in combinata disposizione con l’art. 28 legge n. 794/1942, occorre ribadire l’autonomia e la distinzione dei due procedimenti d’ingiunzione (artt. 633 ss. c.p.c.) e sommario di cognizione (artt. 702bis ss. c.p.c.).
Come è noto, entrambi sono previsti nel Titolo I (“Dei procedimenti sommari”) del Libro IV (“Dei procedimenti speciali”), ognuno con una propria disciplina predeterminata e tipicamente regolata: a) il primo, quale procedimento sommario trasformabile in uno di cognizione ordinaria, con instaurazione posticipata del contraddittorio, in quanto “suddiviso in due fasi, la prima a cognizione sommaria e la seconda a cognizione piena” (Cass. 18 settembre 2020, n. 19596), in virtù dell’opposizione prevista dall’art. 645 c.p.c. avente natura, non già di actio nullitatis o di impugnazione dell’ingiunzione emessa, bensì di ordinario giudizio sulla domanda del creditore, che si svolge in prosecuzione del procedimento monitorio, quale fase ulteriore, anche se eventuale, del procedimento iniziato con il ricorso per ottenere il decreto ingiuntivo e non quale giudizio autonomo (Cass. s.u. 13 gennaio 2022, n. 927, in motivazione sub p.to 5.4.2); b) il secondo, di cognizione piena per la riferibilità della sommarietà al rito, a causa della strutturale semplicità dell’oggetto del processo e della natura “non complessa” della sua istruttoria, che si risolvono in una trattazione della causa “semplificata” (Cass. s.u. 5 ottobre 2022, n. 28975, in motivazione sub p.to 7).
13.1. Ebbene, tali diversi ed autonomi procedimenti non sono contaminabili tra loro, come preteso dall’odierna ricorrente, se non per effetto di una disciplina, a propria volta speciale (al di là della sottolineata contestualità dell’entrata in vigore della legge n. 794/1942 con il codice di rito: Cass. s.u. 8845/2018, in motivazione sub p.to 3.3), come quella suddetta, peculiarmente connotata da un’esigenza di semplificazione e di celerità di trattazione, sintomaticamente rappresentata dal radicamento della controversia nello stesso ufficio giudiziario di svolgimento della prestazione professionale (in materia civile), di cui sia richiesto il pagamento del compenso.
13.2. Una diversa interpretazione, di commistione delle due discipline, sarebbe sostanzialmente abrogante quella, specifica ed espressamente regolata, per i crediti riguardanti “onorari per prestazioni giudiziali o stragiudiziali o rimborso di spese fatte da avvocati … ” (art. 633, primo comma, n. 2 c.p.c.), rispetto alla quale le prestazioni in materia civile rappresentano, per così dire, un “sotto – insieme”: appunto oggetto della disciplina speciale sopra illustrata (addirittura, secondo un più risalente indirizzo giurisprudenziale di legittimità e ancora attualmente sostenuto in dottrina, rigorosamente limitata alla sola “liquidazione” dei compensi sostanzialmente non contestati: Cass. s.u. 8845/2018, in motivazione sub p.ti da 9 a 11) e pertanto di stretta interpretazione.
Né la previsione, nell’ambito del procedimento speciale ai sensi dell’art. 14 d.lgs. 151/2011 (ndr art. 14 d.lgs. 150/2011), della successiva eventuale opposizione, nell’ipotesi di opzione alternativa del procedimento monitorio, a norma dell’art. 702bis ss. c.p.c. “integrato” (ovvero, secondo taluno, “adattato”), appare sintomatica di una più generale compatibilità del procedimento sommario di cognizione con l’opposizione a decreto ingiuntivo, confermandone anzi la peculiare specificità, doverosamente normata.
14. Ma il nodo che appare ineludibile è la tutela dell’esigenza di certezza delle regole processuali e dei loro effetti, in presenza di termini previsti a pena di decadenza (nel caso di specie: artt. 641 e 647 c.p.c.), che non possono essere rimessi alla scelta discrezionale di una delle parti, vanificando l’aspettativa di quella che su di essi abbia riposto il proprio affidamento sul legittimo consolidamento degli effetti conseguenti al percorso processuale intrapreso.
14.1. Di essa è espressione, sia pure sotto profili diversi ma pur sempre correlati alla certezza delle relazioni giuridiche, sociali ed economiche, il principio dell’“apparenza”, a tutela dell’affidamento della parte rispetto alla “forma” della decisione del giudice (Cass. s.u. 25 febbraio 2011, n. 4617; Cass. 13 febbraio 2015, n. 2948; Cass. 23 ottobre 2020, n. 23390; Cass. 21 giugno 2021, n. 17646: in specifico riferimento a quanto previsto dalla legge per le decisioni assunte secondo il rito in concreto adottato, in relazione alla qualificazione dell’azione effettuata dal giudice, a prescindere dalla sua correttezza o meno). Ed esso è addirittura prevalente sul principio cd. “sostanzialistico”, con il quale è pur da contemperare, perché non si ingeneri – nelle ipotesi in cui la forma e la qualificazione del provvedimento, sebbene non corrette, risultino determinate da una consapevole scelta del giudice, ancorché non esplicitata con motivazione espressa – un affidamento incolpevole della parte (Cass. 6 dicembre 2021, n. 38587, in particolare riferimento all’individuazione del regime di impugnazione di un provvedimento, dovendosi contemperare il principio secondo il quale il giudice non ha il potere di sottrarlo al gravame rivestendolo di una forma diversa da quella prevista dalla legge con quello che impone di non consentire alla parte di esperire un mezzo vietato).
Analogamente, nel medesimo senso depone pure il principio di “ultrattività del rito”, quale specificazione di quello più generale di individuazione del mezzo di impugnazione esperibile secondo il principio dell’apparenza, con riguardo esclusivo alla qualificazione anche implicita dell’azione e del provvedimento compiuta dal giudice (Cass. 9 agosto 2018, n. 20705, che, in applicazione del principio, ha confermato la sentenza della Corte d’appello che aveva dichiarato inammissibile l’impugnazione della decisione del tribunale proposta con atto di citazione anziché con ricorso, essendo stata trattata la controversia in primo grado con il rito del lavoro;
e inversamente, qualora una controversia sia stata erroneamente trattata in primo grado con il rito ordinario, anziché con lo speciale del lavoro: Cass. 14 gennaio 2005, n. 682; Cass. 11 luglio 2014, n. 15897).
14.2. In realtà, la tutela dell’esigenza di certezza della regola processuale e dei suoi effetti adempie ad una funzione ancora più importante, che ha a che fare con la sostanza e con l’apparenza al tempo stesso, nel governo della disciplina dei rapporti, la cui lesione procura un vulnus estremamente grave: di attentare alla stabilità e, prima ancora, alla credibilità dell’ordinamento, sotto gli essenziali profili di garanzia dei diritti e di tutela del traffico giuridico – economico tra i consociati, minando alla radice quella reciproca fiducia, che deve permeare e presidiare ogni civile convivenza giuridicamente regolata e che, sola, rende questa possibile.
15. Ritiene pertanto questa Corte che la Corte d’appello di Trento abbia esattamente applicato i principi di diritto suenunciati, in corretta e argomentata aderenza alla fattispecie processuale esaminata (dall’ultimo capoverso di pg. 12 al primo di pg. 16 della sentenza).
16. Pertanto il ricorso deve essere rigettato, con la compensazione delle spese tra le parti, per la rilevanza nomofilattica della controversia, in ragione dell’incerta selezione, anche nella giurisprudenza di legittimità, del rito correttamente ad essa applicabile e il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e dichiara compensate tra le parti le spese del giudizio.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.