Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 febbraio 2023, n. 4795

Lavoro, Sanzione disciplinare della sospensione dal lavoro e dalla retribuzione, Assenze ingiustificate, Licenziamento inviato all’indirizzo conosciuto, Lettera di contestazione disciplinare, Lavoratore agli arresti domiciliari, Principio di tempestività della contestazione, Accoglimento

 

Svolgimento del processo

 

1. La Corte d’Appello di Roma ha rigettato l’impugnazione proposta da P.F. nei confronti dell’Azienda Sanitaria Locale Roma 3, avverso la sentenza emessa tra le parti dal Tribunale di Roma.

Al lavoratore, dirigente medico dell’ASL Roma 3, era stata irrogata nel novembre 2017 la sanzione disciplinare della sospensione per sei mesi dal lavoro e dalla retribuzione a causa di assenze ingiustificate effettuate nel periodo dal 1° gennaio 2017 al 16 agosto 2017.

Nel procedimento disciplinare, il lavoratore era rimasto assente alla audizione che era stata fissata.

Successivamente, il 1° dicembre 2017, era intervenuta a carico del lavoratore una nuova contestazione, in relazione a 29 giorni di assenze ingiustificate che si erano verificate nel corso dell’anno 2016.

La suddetta contestazione, e la convocazione per l’audizione difensiva fissata per il giorno 11 gennaio 2018 come riferisce il ricorrente, erano stata inviata sia all’indirizzo di residenza, sia al carcere di R.C., dove, come era a conoscenza del datore di lavoro, si sarebbe trovato, detenuto in custodia cautelare, il P..

La struttura carceraria aveva risposto che il P. aveva ottenuto gli arresti domiciliari e non era più ristretto a R.C..

Il datore di lavoro, atteso che la spedizione della contestazione era stata effettuata anche presso la residenza del lavoratore e che si definiva con la computa giacenza presso l’ufficio postale, preso atto dell’assenza anche alla nuova convocazione a difesa, ritenuti fondati gli addebiti e contestata la recidiva, il 5 febbraio 2018 irrogava la sanzione del licenziamento senza preavviso.

2. Il lavoratore conveniva in giudizio l’Azienda Sanitaria dinanzi al Tribunale censurando il licenziamento sia per la lesione del diritto di difesa, sia per la violazione del termine di 30 giorni per la contestazione dell’addebito, sia per la tardività della contestazione, chiedendo la nullità o l’annullamento del licenziamento e la condanna della convenuta a reintegrarlo nel posto di lavoro e al pagamento dell’indennità risarcitoria con il versamento dei contributi previdenziali.

3. Il Tribunale rigettava la domanda.

4. La Corte d’Appello, dopo aver ricordato il contenuto normativo della disciplina che veniva in rilievo, ha affermato quanto segue.

Ha ritenuto non fondato il primo motivo di appello in quanto, seppure non esiste nell’ordinamento dell’impiego pubblico un onere positivo di comunicare al datore di lavoro ciascun cambio di domicilio, il ricorrente a fronte della presunzione di cui all’articolo 1355, cod. civ., non aveva dimostrato di essersi incolpevolmente trovato nella materiale impossibilità di venire a conoscenza dell’incolpazione. Di fatto, la comunicazione in atti della Comunità Incontro onlus, dove si trovava agli arresti domiciliari, si limitava a dichiarare che il P. era ospite della Comunità dal 26 ottobre 2017 per seguire un programma riabilitativo, senza minimamente attestare che gli fosse limitata la possibilità di comunicare con l’esterno.

Egli, quindi, avrebbe potuto delegare persone di sua fiducia al ritiro della posta.

Dunque, afferma la Corte d’Appello che trovava applicazione nella specie il principio secondo cui l’obbligo di preventiva contestazione, imposto dall’articolo 7, comma 2, della legge n. 300 del 1970, al datore di lavoro intenzionato ad adottare un provvedimento disciplinare contro il lavoratore, deve ritenersi soddisfatto in virtù dei doveri di correttezza e diligenza gravanti su entrambe le parti del contratto obbligatorio sinallagmatico, attraverso l’invio della contestazione all’indirizzo del destinatario, senza che questi possa contrapporre spostamenti reiterati e di breve durata.

Inoltre, la precedente incolpazione disciplinare, la cui notifica nella residenza del lavoratore si era perfezionata con la computa di giacenza, non era stata contestata dal destinatario.

Non vi era stata alcuna violazione dei termini a difesa tra la conoscenza dei fatti (7 novembre 2017) e la contestazione dell’addebito (1° dicembre 2017).

Premesso che il termine perentorio per la contestazione dell’addebito decorre da quando l’ufficio competente ha acquisito una notizia di infrazione, la Corte d’Appello ha osservato che non era rilevante che l’UOC risorse umane fosse in possesso da molto tempo delle informazioni occorrenti per stabilire che il lavoratore fosse risultato spesso ingiustificatamente assente, poiché non si tratta né dell’ufficio preposto ai procedimenti disciplinari ne del vertice della struttura organizzativa. Inoltre, il mero dato dell’assenze privo del riscontro sulla loro eventuale imputazione a ferie permesse malattie era disciplinarmente neutro ed era un mero frammento di possibili illecito.

Quindi il tempo trascorso fra l’illecito e la contestazione non poteva considerarsi un indizio di disinteresse dell’Azienda per la repressione dell’illecito. Ad avviso della Corte d’Appello la stessa contestazione di tardività era generica in quanto basata sul solo elemento indiziario della maggiore tempestività dell’incolpazione precedente, pur relativa ad un periodo successivo.

Il lavoratore non avrebbe dovuto limitarsi a osservare che i fatti del 2017 erano stati contestati prima dei fatti del 2016, elemento insufficiente a far ritenere la acquiescenza dell’amministrazione, ma, ad esempio avrebbe dovuto allegare una previa conoscenza dei fatti, nella loro interezza e rilevanza disciplinare da parte dell’UPD, o del proprio responsabile. Di talché l’incolpazione non poteva ritenersi intempestiva. Inoltre andava considerare la notoria complessità organizzativa della struttura.

5. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre il lavoratore prospettando tre motivi di impugnazione.

6. Il Procuratore Generale ha depositato le conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.

7. Resiste con controricorso l’ASL Roma 3.

8. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

 

Ragioni della decisione

 

1. Con il primo motivo di ricorso è prospettata la violazione e falsa applicazione dell’art. 1335, cod. civ., e dell’art. 284, cod. proc. pen., in relazione all’art. 360, n.3, cod. proc. civ., per avere la Corte d’Appello erroneamente affermato che il ricorrente non aveva provato di essere stato senza sua colpa nell’impossibilità di avere notizie della contestazione disciplinare spedita al suo indirizzo di Roma.

Il lavoratore ricorda che con lettera del 1° dicembre 2017 l’ASL n. 3 gli contestava 29 giornate di assenza ingiustificata relative all’anno 2016, e lo convocava per l’audizione di difensiva per l’11 gennaio 2018.

La lettera era spedita al ricorrente su richiesta dell’UPD presso l’Istituto penitenziario di R.C., ma l’Istituto con nota del 12 dicembre 2017 rilevava che il ricorrente dal 26 ottobre 2017 non era più detenuto ma agli arresti domiciliari.

Medesima lettera era stata spedita al ricorrente all’indirizzo di via (…), Roma, ma era stata restituita al mittente per compiuta giacenza.

Assume il ricorrente che il mancato recapito era conseguente al fatto che non scontava gli arresti domiciliari nella propria abitazione ma presso la Comunità Incontro in Amelia, cosicché non aveva potuto ricevere la lettera di contestazione, che aveva conosciuto solo dopo il licenziamento del 5 febbraio 2018, mediante accesso agli atti.

Tanto premesso il ricorrente rileva, in primo luogo che, essendo agli arresti domiciliari, non era obbligato a delegare ad altri il ritiro della posta; in secondo luogo che era onere dell’Azienda quando aveva ricevuto la mail da parte dell’Istituto penitenziario di R.C., articolazione dell’amministrazione penitenziaria, chiedere in quale luogo fosse stato trasferito per scontare la misura cautelare.

2. Il motivo è fondato e va accolto.

Occorre premettere che questa Corte (Cass., 25 settembre 2017, n. 22295) ha ritenuto valida l’intimazione del licenziamento inviata all’indirizzo comunicato all’azienda al momento dell’assunzione, nonostante fosse stato cambiato senza informarne il datore di lavoro, argomentando che il lavoratore ha l’obbligo di comunicare per iscritto le eventuali successive variazioni di residenza o di domicilio, rispondendo ciò, oltre che a una specifica obbligazione traente fonte dal c.c.n.l., a un principio di buona fede nel rapporto di lavoro, onde il licenziamento inviato all’indirizzo conosciuto è pienamente efficace, se effettuato entro i termini, operando la presunzione di conoscenza ex art.1335 c.c.; il medesimo principio vale anche in riferimento alla lettera di contestazione disciplinare, che si reputa conosciuta nel momento in cui perviene all’indirizzo originario del lavoratore, se quest’ultimo non abbia provveduto a comunicare il cambio di residenza (Cass., n. 20519 del 2019).

Si è anche affermato che tale presunzione non opera nell’ipotesi in cui il datore di lavoro sia a conoscenza dell’allontanamento del lavoratore dal domicilio e dunque dell’impedimento dello stesso a prendere conoscenza della contestazione inviata (Cass., n. 3984 del 2015).

3. Nella specie, si è verificata tale ultima evenienza, atteso che la stessa Amministrazione procedendo alla contestuale comunicazione presso l’Istituto penitenziario, metteva in dubbio l’effettività del luogo di abitazione ai fini della presunzione di conoscenza della contestazione, e veniva informata dall’Istituto penitenziario del regime di “arresti domiciliari” in cui versava il lavoratore, che non coincide con il domicilio dell’interessato, e dunque dell’impedimento concreto del lavoratore a prendere conoscenza dell’atto come inviato (cfr., Cass. n. 3984 del 2015), senza procedere in merito alle conseguenti verifiche, attesa la mancanza delle condizioni per la presunzione di conoscenza.

4. Con il secondo motivo di ricorso e dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 55-bis, commi 4 e 9-ter del d.lgs. n. 165 del 2001, in relazione all’art. 360, n.3, cod. proc. civ., per avere il giudice di appello erroneamente affermato che non c’era stata la decadenza dell’azione disciplinare derivante dalla lesione del diritto di difesa e dalla violazione del termine dei 30 giorni per la contestazione.

Nel caso di specie era stato compromesso il diritto di difesa del dipendente che non aveva potuto difendersi non avendo ricevuto la contestazione disciplinare, e i termini per la contestazione disciplinare sono perentori.

5. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 55 bis, comma 9-ter del d.lgs. n. 165 del 2001 in relazione all’art. 360, n.3, cod. proc. civ., per avere la Corte d’Appello erroneamente affermato che non era stato violato il principio di tempestività della contestazione. Il ricorrente osserva che il lavoratore aveva ricevuto una sanzione conservativa per le assenze ingiustificate del periodo gennaio 2017 agosto 2017. La contestazione che provocava il licenziamento riguardava assenze ingiustificate dell’anno 2016. Era quindi evidente che quest’ultima contestazione era tardiva perché i fatti erano intervenuti più di un anno prima. L’Amministrazione sapeva tutto di questi fatti del 2016 perché essi si ricavano agevolmente dai tabulati presenze che erano stati citati incautamente nella lettera di contestazione. Per coprire questa tardività l’Azienda aveva affermato che l’ufficio disciplina con nota del 2 novembre 2017 aveva chiesto questi tabulati del 2016 all’ufficio risorse umane che li aveva mandati il 7 novembre 2017. Ma sarebbe evidente l’erroneità di questo argomento, in quanto gli uffici di un ente pubblico non possono essere scollegati tra loro, sicché se l’ufficio risorse umane non comunica tempestivamente all’ufficio disciplina le assenze ingiustificate di un dipendente, la richiesta fatta dopo un anno dall’ufficio disciplina non può far diventare tempestiva la successiva lettera di contestazione.

L’UOC risorse umane possedeva i tabulati dal 2016 e quindi conosceva fin dal 2016 le assenze ingiustificate del ricorrente.

Ciò faceva ritenere intempestiva la lettera di contestazione la conseguente sanzione. Inoltre, l’organizzazione del datore di lavoro non era complessa, almeno in relazione al potere disciplinare, atteso che l’ufficio disciplina aveva chiesto i tabulati presenze all’ufficio risorse umane il 2 novembre 2017 e questo li aveva mandati il 7 novembre, 5 giorni dopo.

6. All’accoglimento del primo motivo di ricorso, segue l’assorbimento dei restanti motivi di ricorso secondo e terzo.

7. La Corte accoglie il primo motivo di ricorso.

Assorbiti gli altri motivi secondo e terzo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione, che si atterrà nel decidere la controversia ai principi sopra enunciati.

 

P.Q.M.

 

Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti il secondo e il terzo motivo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.

Giurisprudenza – CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 15 febbraio 2023, n. 4795
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